Suonare un corno d’ariete, mangiare sotto una capanna, rimediare ai propri errori. Non semplice ma molto affascinante provare a orientarsi fra le feste ebraiche, con i loro precetti da seguire e le particolari usanze che è bello onorare. A farci da guida è Miriam Camerini – nata nel 1983 a Gerusalemme e cresciuta a Milano, regista teatrale, studiosa di letteratura rabbinica e autrice del libro “Ricette e Precetti” (Giuntina, 2019) – che quest’anno torna a Molte Fedi sotto lo stesso cielo con il ciclo “Di sapienza ebraica”. Tre appuntamenti video in streaming sul sito di Molte fedi (25 settembre, 9 e 23 ottobre) per approfondire il significato religioso e il senso di alcune feste centrali del calendario ebraico e i riti che le accompagnano, spiegati alla luce della sapienza di una tradizione antica.
Come calcolare il tempo
Miriam Camerini si concentra sulle feste autunnali, delle quali capita di parlare meno rispetto alla Pasqua e alle feste di primavera. Ma prima, una doverosa premessa di “metodo”: “Mentre il calendario islamico è puramente lunare, il calendario ebraico segue le fasi lunari, ma c’è una correzione in modo da rimanere sempre nella stessa stagione. Questo fa sì che le feste rimangano sempre nello stesso periodo”, spiega Miriam Camerini. Secondo: tutte le feste cominciano dalla sera prima, come è previsto per lo Shabbat (ne avevamo già parlato qui). “Questo perché nella tradizione ebraica la giornata inizia la sera: ‘E fu sera e fu mattina’, com’è scritto nella Genesi”.
Rosh haShanah – Il capodanno ebraico
Secondo il calendario ebraico, il nuovo anno in arrivo è il 5580. Per calcolare il giorno in cui festeggiare si parte dalla data della Pasqua ebraica (Pesach, in ricordo della fuga dalla schiavitù d’Egitto). Il giorno in cui si festeggia Rosh haShanah (le due parole significano proprio testa e anno) è variabile, ma di solito tra il 6 settembre e il 5 ottobre. Quest’anno cade fra la sera di venerdì 18 e domenica 20 settembre.
“Nel Levitico 23-24 si prescrive di festeggiare nel settimo mese e di farlo a suon di tromba. Per questo un precetto da rispettare è sentire il suono di gloria dello shofar, antico strumento ricavato dal corno d’ariete. Viene suonato dall’officiante durante la preghiera del Capodanno, che è molto lunga. Non è uno strumento semplice, va imparato. Io lo suonerò quest’anno a casa dei miei genitori, visto che con le limitazioni del Covid sarà difficile andare in sinagoga”.
Melograni e buoni propositi
L’idea alla base del Capodanno è di raccogliersi in preghiera e fare il conto dell’anima, riesaminando le azioni commesse durante l’anno per essere pronti al Kippur. In un certo senso si fanno i buoni propositi per l’anno nuovo: “Nell’ebraismo non è prevista la confessione, si fa con sé stessi l’esame delle proprie azioni e si cerca di rimediare al male commesso. Ad esempio ci si scusa con le persone cui si è fatto un torto o si saldano i debiti”.
Naturalmente è prevista una grande cena, la prima sera, ma non si tratta di un rituale normato come la Pasqua. Ci sono cibi che è usanza consumare, come ad esempio il melograno, frutto dalla ricca simbologia in molte religioni: “Si dice contenda 613 chicchi, quanti sono i precetti nell’ebraismo, ma è anche simbolo di buone azioni e fertilità. Si consuma molto miele, perché sia un anno dolce. Alcuni usano mangiare la testa del pesce per idea del capo dell’anno. In tavola ci sono spesso i frutti d’Israele come fichi, datteri, uva”.
E il 31 dicembre?
Pur celebrando Rosh haShanah, molti ebrei festeggiano anche il Capodanno del 31 dicembre. “Era una delle poche feste celebrate in Unione Sovietica, e data la massiccia emigrazione dall’Urss in Israele è una festa molto sentita, in particolare in certe zone del Paese. Gli ebrei sono sempre stati abituati alla convivenza con diversi popoli. Pur non festeggiando il Natale, mi è capitato che a Gerusalemme mi mancasse l’aria natalizia e andavo nel quartiere arabo-cristiano per vedere le vetrine con i babbi Natale. Molti israeliani, anche ebrei, vanno a Betlemme alla Messa di mezzanotte”.
Yom Kippur – Il giorno dell’espiazione
È il giorno più solenne dell’anno, seguito anche dagli ebrei meno osservanti. Un po’ come i cattolici non praticanti che vanno alla Messa di Natale. Ma non si tratta di una festività “allegra”: Yom Kippur è letteralmente il “Giorno dell’espiazione”. Quest’anno cade fra domenica 27 settembre a lunedì 28. Anch’esso prescritto nel Levitico, prevede di espiare le proprie colpe rispettando cinque precetti: non mangiare, non bere, astenersi dai rapporti sessuali, non lavarsi, non profumarsi. In sintesi: annullare i piaceri del corpo.
“È il momento in cui si vede più folla nelle sinagoghe, anche gli ebrei più assimilati fanno la preghiera pubblica. È la festa più sentita insieme alla Pasqua, una sorta di richiamo all’ordine”. Alla fine di Kippur risuona ancora lo shofar e si sancisce la fine recitando l’Ecclesiaste: “Va’, mangia il tuo pane con gioia, e bevi il tuo vino con cuore allegro, perché Dio ha già gradito le tue opere”.
Sukkot – La festa delle capanne
Sukkot è la terza festa autunnale e fa parte anche delle feste dei pellegrinaggi, insieme a Pasqua e Pentecoste. Quest’anno inizia la sera del 2 ottobre e finisce la sera del 9 ottobre. La festa in Israele dura sette giorni (otto al di fuori) e ricorda i quarant’anni nel deserto del popolo di Israele. Durante il loro viaggio verso la terra promessa vivevano in capanne (sukkot) e un precetto di questa festa è proprio costruire una capanna. “Basta un pergolato con un tetto di frasche recise, nel Talmud è descritto meticolosamente come realizzarla. Con mio papà, ingegnere, la costruivamo da piccole io e mia sorella fuori da una piccola sinagoga vicino al parco Sempione, era molto divertente. Molti ristoranti kasher la realizzano al loro esterno. In teoria, tutti i pasti andrebbero consumati sotto la capanna. Stare nella capanna è un precetto positivo causato dal tempo, che tradizionalmente riguarda solo gli uomini, anche se negli ultimi cent’anni c’è un immenso dibattito sul tema”.
I primi due giorni di Sukkot vengono celebrati come giorni di festa piena, i cinque giorni successivi, invece sono di mezza festa. L’ultimo giorno, l’ottavo, viene celebrato come fosse una festa a sé e presenta delle preghiere e delle usanze particolari.
“Altro precetto è che ogni uomo deve dotarsi di un ‘lula’”, una sorta di mazzo di piante, cioè palma, mirto, salice e cedro, da tenere durante la festa. In certi momenti di preghiera si scuote il lulav nei quattro punti cardinali e in alto e in basso. L’idea è di significare la presenza di Dio in tutti i luoghi”.
Sukkot è una festa di pura gioia, che coincide anche con la fine della stagione agricola e le feste del raccolto. “E vi rallegrerete nelle vostre feste” (Lev. 23) sono giorni di ringraziamento, dedicati alla manifestazione di gioia interiore.