«Una delle cose che mi piacciono della recitazione è che, in qualche modo strano, ritorno ad essere me stesso». Questa frase, attribuita a Bill Murray, porta dentro di sé un sogno che ognuno di noi ha fatto almeno una volta: vivere nei panni di qualcun altro, per uscire dai canoni della propria quotidianità e, per assurdo, sentirsi davvero sé stessi in un ambiente più stimolante.
Un desiderio celato dentro di noi, ma talmente persistente da presentarsi in tantissime sfaccettature diverse nell’arte narrativa contemporanea. Nel film «Essere John Malkovich» di Spike Jonze, ad esempio, i protagonisti bramano di poter vivere nel corpo del noto attore John Malkovich, mentre in «Midnight in Paris» di Woody Allen abbiamo il protagonista che non vuole cambiare se stesso ma desidera invece vivere in un’altra epoca in compagnia di persone diverse.
Nel mondo Geek, questa voglia di «cambiare vita» ha dato origine ai giochi di ruolo, una categoria ludica in cui i giocatori assumono il ruolo di uno o più personaggi e, tramite la conversazione e il rispetto di regole precedentemente concordate, generano avvenimenti all’interno di un’ambientazione immaginaria. Per saperne di più, ho partecipato personalmente a una serata del collettivo « Polentology », una realtà bergamasca nata durante la pandemia con l’obiettivo di far conoscere il gioco di ruolo nelle sue varie forme.
Una serata nel quartiere di Boccaleone
Arrivo allo Spazio Giovanile del quartiere Boccaleone alle 20.30 di martedì, ovvero il giorno in cui, due volte al mese, «Polentology» utilizza questa location per far giocare gli avventori. Ad attendermi trovo Alice Fumagalli, fondatrice del collettivo, che mi introduce in sala. Vengo subito messo davanti alla scelta del tavolo in cui cominciare a giocare e mi viene spiegato che tipo di avventure andrò ad affrontare a seconda del gruppo di gioco scelto.
Se da un lato la classica tavolata di «Dungeons & Dragons» attira l’attenzione del piccolo nano guerriero che c’è in me, vengo ammaliato però da «Baaphomet», un gioco incredibilmente bizzarro in cui i giocatori interpretano dei demonietti che, a turno, devono prendere il controllo di una pecora per farle compiere ogni tipo di azione. Mi siedo quindi al tavolo con Adam e Nicolò, due ragazzi diciannovenni che frequentano già da un po’ queste serate. A guidarci nell’avventura c’è Luca Lenzi nel ruolo di Master, ovvero la figura che in molti giochi di ruolo funge da narratore e da arbitro. Luca chiede a me e ai ragazzi di decidere un tipo di ambientazione e, di comune accordo, optiamo per far vivere alla nostra pecora un’avventura in un mondo post atomico popolato da zombie. Mi viene quindi chiesto di scegliere in segreto tre obiettivi da raggiungere durante la partita e di scriverli su di un foglio. Decido di giocare sull’assurdo, quindi scrivo che la pecora dovrà stringere amicizia con gli zombie, formare un’associazione riconosciuta e infine diventarne il loro capo.
Non credo serva spiegare il sistema di punteggi che decide chi, di turno in turno, ha il controllo dell’ovino o i singoli momenti della partita, ma posso garantire che il livello di nonsense che questo gioco riesce a raggiungere è altissimo. Io, Adam e Nicolò passiamo circa un’ora a far fare alla povera pecora qualsiasi cosa, sino a farle comandare un’armata di zombie che nell’ordine ha: bruciato un palazzo, trovato un insediamento di sopravvissuti (anch’esso bruciato per errore), fatto esplodere una fogna ed eletto quattro nuovi leader in cinque minuti. Lo ammetto, il gioco in sé è stranissimo ed è molto facile «esagerare» ma, a ben pensarci, credo sia un ottimo esercizio per sviluppare la narrazione.
Rendendoci conto che manca ancora un po’ di tempo alla fine della serata e che, nel tavolo di fianco, un nano e un paladino stanno litigando per le conseguenze di una rissa scoppiata in una taverna, decidiamo di giocare a «Saboteur», un gioco da tavolo molto semplice in cui dei nani devono costruire una galleria per arrivare a una pepita. La componente ruolistica viene data dalla presenza di un sabotatore, ovvero un personaggio selezionato in segreto da una pescata di carte e quindi ignoto al resto del tavolo che dovrà mettere i bastoni tra le ruote al gruppo. Ovviamente i tempi e le strategie di gioco sono totalmente differenti da quelli di «Baaphomet», però devo ammettere di essermi ritrovato a mio agio nei panni del sabotatore ignoto che giustificava ogni sua mossa sbagliata con qualche problema o per mancanza di carte.
Data l’ora tarda, saluto i presenti ed esco dallo Spazio Giovanile accompagnato dalle grida del nano che non ne voleva sapere di risarcire il locandiere per i danni causati. Ancora oggi, a distanza di qualche settimana, credo che il nano avesse ragione.
Il collettivo «Polentology»
È Alice Fumagalli, la fondatrice di «Polentology», a soddisfare le mie curiosità: voglio capire innanzitutto come le è venuto in mente di creare un gruppo di giocatori di ruolo. «Polentology nasce post pandemia come canale Twitch, seguendo la falsariga di InnTale, un canale italiano molto famoso legato ai giochi di ruolo. Dopo la rimozione delle restrizioni anti-Covid, io e altri amici abbiamo deciso che era giunto il momento di cominciare a vederci e giocare di persona. Il problema era che a Bergamo, a differenza delle province vicine, non esisteva nessuna associazione che si occupasse di eventi simili, per cui ci siamo chiesti “perché non lo facciamo noi?”».
Chiarito questo aspetto, domando ad Alice cosa «Polentology» porta oggi sul territorio. «Oltre alle serate in Boccaleone, organizziamo anche i GDR&Beer, ovvero eventi organizzati solitamente di venerdì sera al NemBeer Pub di Nembro, in cui i partecipanti possono passare la serata giocando, mentre bevono una birra o mangiano un panino. L’affluenza a questi eventi è piuttosto alta, si aggira intorno alla sessantina di giocatori suddivisi tra i vari tavoli».
Avendo fatto parte anche io per molti anni di associazioni legate al gioco, so bene che la creazione di eventi «serializzati» porta gli organizzatori a studiare, di tanto in tanto, qualche serata particolare. Chiedo quindi se anche per Polentology valga lo stesso principio. «Poco tempo fa abbiamo organizzato il RuolaQueer, un evento le cui sessioni di gioco sono state precedute da un talk sulla rappresentazione della comunità LGBTQIA+ e delle tematiche queer all’interno dei giochi di ruolo. Ai tavoli sono state proposte avventure basate sulle tematiche queer ed è stato molto interessante vedere giocatori appartenenti alla comunità LGBTQIA+ o semplicemente interessati all’argomento che si trovavano al tavolo da gioco per la prima volta».
È ormai chiaro come per Alice il gioco di ruolo non sia solo una passione ma anche un metodo per creare socialità e lanciare messaggi. L’unica cosa che mi resta da capire è come sia nato in lei l’amore per questa particolare forma di intrattenimento. «Ho iniziato a giocare relativamente poco tempo fa, giusto qualche mese prima dell’inizio della pandemia. Il primo gioco a cui mi sono approcciata è stato “Sine Requie”, un gioco italiano ambientato in un 1957 alternativo in cui il secondo conflitto mondiale è stato interrotto da un evento particolare che ha stravolto il mondo e ha messo in pericolo la razza umana. Proprio questo gioco mi ha accompagnato durante la pandemia, in cui io e amici abbiamo portato avanti una sessione durata molte serate e ora, a distanza di qualche anno, eccomi qui»
I prossimi eventi di «Polentology» e perché giocare
La mia esperienza personale e la mia chiacchierata con Alice mi hanno portato a una conclusione: il gioco di ruolo è una sorta di esercizio mentale che, oltre a scaricare lo stress, abbatte le barriere che noi stessi andiamo a creare nelle relazioni sociali.
I giocatori con cui ho trascorso le mie due ore di gioco erano studenti diciannovenni, una dozzina di anni più giovani del sottoscritto. In situazioni normali sarebbe stata normale una certa sensazione di disagio. Grazie alle bizzarre avventure di una pecora, invece, ho potuto ridere e scherzare con loro alla pari, cosa sulla carta normalissima, ma impensabile in altri ambienti. Il mio stesso Master aveva sette anni in meno di me ma, per tutta la partita, è stato il mio assoluto punto di riferimento, altra cosa tanto banale nella teoria quanto difficilmente replicabile nella pratica per una mera questione di «etichetta sociale».
È del mio stesso parere anche Luca, che mi racconta di come si fosse appassionato a questi giochi da dodicenne grazie alle partite con cugini più grandi. Un’ulteriore conferma è arrivata poi da Simone Granata, un altro avventore della serata di cinque o sei anni più anziano di me, che mi ha spiegato come un suo professore universitario lo avesse introdotto a «Dungeons & Dragons» molti anni prima.
Viene dunque il dubbio che Bill Murray, nella citazione a inizio articolo, ci avesse preso alla grande. È possibile che solo recitando una parte, togliendosi quindi la maschera che portiamo ogni giorno della nostra vita per indossarne una nuova, riusciamo ad infrangere le barriere che ci siamo costruiti tutto intorno a noi e a diventare davvero noi stessi? Per scoprirlo, non resta che partecipare al prossimo GDR&Beer che si svolgerà al NemBeer Pub di Nembro il prossimo 22 dicembre o, in alternativa, seguire le pagine social di «Polentology», perché sta per essere annunciato un evento molto importante che si terrà a gennaio.