L’anima delle stazioni ferroviarie è gialla. Non so dare una spiegazione e non riesco a trovarla cercando su Google, ma fateci caso, se come me vi capita di raggiungere in treno la città di Bergamo, Brescia oppure Milano. Le stazioni dei paesi che sorgono lungo queste tratte sono tutte molto simili: edifici squadrati, a due piani, di un giallo più o meno scolorito.
Così è stata a lungo anche la stazione di Pioltello Limito, prima che la ristrutturassero e dipingessero di bianco. Per Andrea Barrica è cominciato tutto lì, da bambino, guardando i treni passare con la nonna. Quando ha preso la patente, ha iniziato a girare fiere ed esposizioni, a comprare modellini e a costruire qualche piccolo diorama («una stazioncina, quattro binari, roba da starci in garage»). A ventidue anni ha conosciuto il Gruppo Fermodellistico Orobico di Bergamo. Quasi dieci anni dopo, ne è diventato il presidente.
Modulo dopo modulo
Con Andrea Barrica ci diamo appuntamento in via Monte Gleno 13, nella sede di ATB. È qui, in un locale seminterrato adiacente al Museo dei Trasporti, che il venerdì sera, e negli ultimi tempi anche il mercoledì, si ritrovano i soci del GFO Bergamo. Il gruppo è nato nel 1984, in occasione di una prima mostra di modellismo ferroviario presso la sala d’attesa della stazione di Bergamo, e nell’arco di quarant’anni ha raccolto appassionati da ogni angolo della provincia. Oggi conta tredici soci, tutti uomini.
«È difficile trovare donne amanti dei treni, soprattutto di modellismo – ride Andrea – Però il nostro gruppo è aperto a tutti. Andiamo dai ventun anni ai settanta e oltre. Abbiamo il geometra, l’architetto, l’orafo, io che lavoro in qualità, il professore di chimica, di elettronica. Ognuno porta la propria competenza. Se c’è qualcosa che non va di elettronica, la do al professore che me la sistema in un attimo».
Insieme ad Andrea c’è Pierluigi, che di mestiere fa l’avvocato. Non sa dire come si è appassionato di treni, è successo e basta. «Conoscevo già il GFO, ma giocavo a calcio, avevo poco tempo. Poi otto anni fa ho deciso di venire». La coppia di amici mi accompagna tra scaffali traboccanti libri di storia ferroviaria, copie della rivista tuttoTRENO, e soprattutto grandi plastici di ferrovie, con tanto di locomotive, stazioni, depositi, ponti e gallerie. La nostra prima fermata si trova in fondo al seminterrato, sulla parete opposta alla porta d’ingresso.
«È il nostro plastico sociale» dice Pierluigi. Il plastico è composto da più moduli singoli di misura standard 120 per 80 cm ed è in continua costruzione. Lungo il tracciato ferroviario, in stile italiano, sorge l’immaginaria stazione di Biviglio, ispirata alla stazione di Treviglio, ma con un piano in meno. Si aggiungono pensiline per gli autobus, un’area parcheggi, ma anche uno scalo merci che comprende una rimessa e un fascio di quattro binari per la sosta e la composizione dei convogli: si chiama, naturalmente, «Biviglio scalo». E ancora, ci sono la torre di controllo, le cascine, le zone agricole e montane, una dettagliatissima raffineria. Sotto i moduli del plastico, invece, corrono dei cablaggi elettrici che permettono il passaggio della corrente.
«Possiamo collegare o ridurre i vari blocchi in base alle necessità – spiega Andrea – Chiaramente la stazione va tutta insieme, lo scalo va tutto insieme, però lavorare con questi moduli ci consente di adattarci meglio allo spazio che ci ospita». A fargli eco è Pierluigi, che ricorda fiero come in una recente esposizione a Carnate, il plastico del GFO Bergamo fosse “il più bello di tutti”. Nella sua interezza, è lungo trenta metri.
Non vedo treni correre sulle rotaie: le locomotive sono a riposo. Al lavoro sul plastico sociale, si mette Beppe, settantasei anni e un pezzo di carta vetrata in mano per uniformare il piano di appoggio ed eliminare le imperfezioni. Se i binari si trovano in commercio, così come i modelli dei convogli e le figurine dei passeggeri, la progettazione del plastico e la composizione dei singoli elementi sono interamente frutto della creatività dei soci del GFO. «La massicciata, quindi i sassolini che vengono messi sul binario, sono o sabbia di acquario oppure quella degli uccellini – rivela Andrea – Abbiamo usato anche la sabbia dei campi da bocce, debitamente colorata, incollata e poi verniciata con pazienza per invecchiarla».
Sulle rotaie delle valli bergamasche (h3)
Ci sono termini che, come ogni pendolare, ho sempre dato per scontati. Come “stazione” o “fermata”. «Si chiama “fermata” e non “stazione”, quando non c’è un raddoppio di binario. Quando il binario da singolo diventa doppio, allora parliamo di “stazione”» mi spiega Andrea. E quella che definiamo comunemente stazione – l’edificio vero e proprio – si chiama in realtà fabbricato viaggiatori.
Mi lascio accompagnare da Andrea, Pierluigi, Beppe e Gianfranco – l’ultimo arrivato – verso il lungo plastico al centro della sala, dallo sviluppo a serpente. Mentre il presidente del GFO Bergamo mi spiega di cosa si tratta, gli occhi gli brillano. È la riproduzione della ferrovia ormai scomparsa della Val Seriana, attiva tra il 1884 e il 1967, e della Val Brembana, elettrificata e datata 1906-1966.
Il viaggio cominciava allora dal capoluogo orobico, dalla zona che oggi ospita il capolinea della tranvia Bergamo-Albino e la rimessa degli autobus. L’area della stazione è riprodotta fedelmente come doveva essere a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, se non per la lunghezza leggermente ridotta di 60 cm.
Segue la fermata di Borgo Palazzo, l’unica in comune tra il tracciato ferroviario della Val Brembana (FVB) e quello della Val Seriana (FVS). Il ponte pedonale è stato demolito qualche anno fa per permettere il passaggio della linea tranviaria della TEB.
Seguo con gli occhi il correre di un treno immaginario, tra piccoli fabbricati viaggiatori, depositi, pubblicità e manifesti d’epoca, dal cartellone della Coca Cola alla scritta “L’Eco di Bergamo”, che campeggia sulla parete di un tunnel. Un bivio, su due livelli separati, divide poi le linee delle due valli. Osservo casette colorate, cotonifici, cartiere, gli abitati di Ponte Nossa e di Clusone rappresentati fin nei minimi dettagli. «Chi è venuto qua da Ponte Nossa è rimasto senza parole: è una fotografia del passato. Tutti questi fabbricati sono fatti da cartoncino o da fogli di legno molto sottili. Sono tutti realizzati a mano, assemblati, verniciati, incollati». Le fascette da elettricista sono tagliate e verniciate per dare vita a originalissime persiane.
La linea ferroviaria della Val Brembana, che arriva fino a Piazza Brembana, non è da meno in quanto a dettagli: tra i luoghi più belli tra quelli riprodotti in scala, ci sono i noti “ponti di Sedrina”. L’ambientazione è fissata in un periodo che precede il 1926, quando non erano ancora stati costruiti i nuovi ponti stradali, e la palificazione era ancora quella originale in legno. Se non fosse stato per Andrea, non mi sarei accorta dello specchio che, appoggiato sullo sfondo, sembra amplificare gli spazi all’infinito.
I moduli del plastico sono in scala H0, ovvero 87 volte più piccoli del reale, e sono stati realizzati a partire dal 1996 da Franco Bonomi, Sergio Morzenti ed Erli Pievani. «I tre soci che hanno costruito il plastico lo sentono proprio loro – spiega Andrea – perché hanno vissuto qui quando erano piccoli. Rincorrevano questi treni, ci salivano sopra, li fotografavano. Io non li ho mai visti, ma ritengo che questo sia una sorta di patrimonio storico che debba essere valorizzato».
Poso la mano su quella che mi sembra acqua. L’effetto lucido è simulato da un’apposita resina. «C’è chi dà una pennellata con la colla vinilica per simulare le increspature dell’acqua, chi la lascia liscia: ognuno ha la sua tecnica» racconta il presidente del GFO Bergamo. «Abbiamo un socio che è bravissimo a fare le rocce. Prende del gesso scagliola, lo vernicia con un po’ di colore grigio o bianco, quando è ancora fresco comincia a inciderlo tutto, e viene fuori una roccia che sembra reale. Poi dopo è colorata piano piano e si danno tutte le sfumature».
Il gruppo non propone corsi di modellismo o lezioni teoriche con libri o presentazioni a computer. «Per imparare a fare le cose, bisogna metterci le mani» ammicca Pierluigi, invitando i più curiosi a prendere contatto con l’associazione. «Ci sono tante persone che sono appassionate di treni, comprano le riviste, leggono qualche libro. C’è chi invece va a caccia di treni reali e magari si fa 400 chilometri per fare una foto a un treno che passa solo quel giorno lì. C’è chi invece, come me, dei treni reali non gliene importa niente, ma è appassionato di modellismo» aggiunge Andrea.
«È un’occasione per giocare» rivela infine candidamente Beppe. E sembra divertirsi davvero, mentre mette in funzione un piccolo autobus fermo alla pensilina di Biviglio. Mentre si aggira tra trenini che non sbuffano né stridono, ma come i loro modelli più grandi continuano a raccontare storie.
(Tutte le foto sono di Marialuisa Miraglia tranne dove indicato)