È calato nuovamente il sipario sulle realtà culturali d’Italia. Inutile ora discutere quanti focolai siano effettivamente nati nei teatri, nei cinema, tra le sale dei musei o ascoltando un concerto, e quindi, quanto questi luoghi siano effettivamente “pericolosi”. La questione è l’emergenza sanitaria, che trascina con sé un’emergenza economica e una sociale, e se la socialità va limitata, se la cultura deve andare in panchina per evitare che la gente si incontri, esca, faccia gruppo, non sta a noi dire se sia giusto o sbagliato. Ne prendiamo atto, augurandoci che nemmeno un posto di lavoro del settore venga perso e che lo scompiglio generato sia occasione per dare voce e volto a una categoria – quella dei lavoratori dello spettacolo – troppo spesso indefinita dalle stesse regole del lavoro.
Ma quando tutto sarà passato, quale sarà lo spettacolo davanti agli occhi? Può davvero tornare tutto come prima o anche chi fa cultura deve trasformarsi, cambiare pelle, capire che la pandemia non si può semplicemente archiviare? Cosa resterà dei collegamenti, degli eventi in streaming, che effetti avranno sul pubblico il timore e la paura? E non ultimo, quanta meraviglia è andata persa? Riusciremo a non impigrirci e riempire gli stessi luoghi della cultura della cui chiusura ora ci indigniamo?
Domande troppo estese e generali a cui poter dare delle risposte, per questo proviamo a rifocalizzare e a tarare il tiro su Bergamo, una città e una provincia che brulica di cultura, spesso all’insaputa degli stessi bergamaschi. Nello specifico abbiamo parlato con l’assessora del Comune di Bergamo Nadia Ghisalberti, provando a capire dove eravamo, dove siamo e verso cosa andremo.
L’estate è effettivamente andata benino
Quella del 2020 sembrava un’estate da cancellare con l’indelebile nero in partenza, invece il Covid ha dato tregua e, complice la consapevolezza del tributo che Bergamo e la sua provincia avevano pagato, con un po’ di attenzione e il desiderio di spensieratezza qualcosa si è fatto. Cosa va salvato di quell’esperienza? “In quel periodo abbiamo scelto di metterci in pista subito, con le regole stringenti che allora c’erano e prendendoci il rischio di un fallimento – spiega Nadia Ghisalberti – perché non sapevamo se la gente sarebbe tornata volentieri a vivere dei momenti insieme. Per questo ancora durante il periodo di lockdown abbiamo avviato un lungo dialogo con le associazioni culturali bergamasche per cercare di capire innanzitutto come si stavano muovendo loro, poi capendo i danni subiti dalla chiusura e infine concentrandoci su due interventi principali”.
Il primo è stato Lazzaretto on stage, “con il palco estivo dove abbiamo richiamato quei festival le cui rassegne erano state cancellate fra marzo e giugno, chiedendo loro di prendere degli spettacoli e portarli sul palco. In quel caso il committente eravamo noi che davamo alla città e al pubblico fedele di quel festival la possibilità di ritrovare, almeno in parte, l’evento culturale perso. Ha funzionato molto bene, considerando anche che di solito il meteo incide molto su questi eventi, a conti fatti abbiamo cancellato un solo spettacolo sui 21 serali e 3 pomeridiani, con tanti sold out e la possibilità per rassegne normalmente più piccole di ampliare il proprio pubblico”.
Lazzaretto on stage non è stata solo la rassegna estiva della città: “Abbiamo dato un’idea di sicurezza percepibile e per la prima volta abbiamo unito su uno stesso palco eventi molto diversi fra loro, creando una rassegna particolare”. Poi c’è stato Affacciati alla finestra “per dare un sostegno ai tanti artisti che erano fermi da mesi e che non sapevano a quali incertezze andavano incontro, tra l’altro una situazione che si sta riproponendo ora. In quel caso abbiamo coinvolto 76 artisti, tra musicisti, attori, danzatori il cui unico requisito discrezionale era la residenza a Bergamo o nei comuni limitrofi. Da lì sono nate 120 performance di eventi molto veloci, di 20 minuti l’uno, perché l’obiettivo era quello di non creare assembramenti. Ci sono state incursioni nei cortili di 20 quartieri, con 40 location diverse ed è stata una presenza nei quartieri che ha funzionato, perché le persone non erano abituate ad avere musica e spettacoli sotto casa”. Infine c’è stata l’esperienza del drive-in “che ha avuto un suo ruolo, raccogliendo un contributo per l’associazione ‘Aiuto donna’ a cui tenevamo particolarmente, perché il periodo di lockdown ha messo in evidenza anche il problema della violenza di genere in casa”.
Non si sopravvive a una seconda chiusura
Se ciò che è successo tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera ha colto tutti di sorpresa e ha evocato una sorta di responsabilità collettiva, la verità è che pochi o pochissimi possono davvero sopravvivere a una chiusura delle attività culturali così lunga. Gli aiuti ci sono, ma vanno distribuiti, come spiega ancora Ghisalberti: “A fine estate la stagione è caratterizzata dai bandi, bandi di sostegno per sopperire alle perdite dovute al Covid e bandi per cercare di mettere in pista nuovi progetti. Qui, però, bisogna fare un po’ di attenzione per capire cosa si intende concretamente per perdite, nel senso che l’amministrazione comunale non può ristorare le perdite presunte di un mancato sbigliettamento. Noi possiamo ristorare solo le spese rendicontabili”.
Da qui l’idea del Bando ristoro: “è stato pensato per coprire le perdite della cultura. Naturalmente ora non è più sufficiente, quindi stiamo pensando, alla fine di questo nuovo lockdown, di programmare un altro bando. Con che risorse cercheremo di capirlo. Ma è importante, al di là del ristoro e del sostegno sulle perdite, incentivare una nuova programmazione e un sostegno al futuro”.
L’assessora sta parlando del bando per la promozione di progetti d’innovazione culturale e “nasce da un’alleanza fra la Fondazione Comunità Bergamasca e il Comune, che hanno messo 50 mila euro ciascuno per progetti culturali e artistici con un carattere di innovazione e sostenibilità, in cui venivano valorizzati alcuni criteri ben precisi: l’innovazione del contenuto, ovvero la presenza di una nuova proposta culturale e un’attenzione all’efficientamento dei costi così, come lo sviluppo di modelli di gestione efficaci. Perché una cosa che abbiamo notato in questi anni è che molte associazioni culturali hanno un buon direttore artistico, sono in grado di produrre eventi artistici di qualità, ma sono molto deboli sul modello di gestione e rendicontazione e spesso non accedono ai contributi perché non hanno i bilanci a posto. Questo invece è un aspetto di crescita pratica importante, soprattutto in tempi difficili”.
10 i contributi concessi sulle 32 richieste arrivate “e sono contenta. perché pensavo fosse un bando molto difficile, in realtà ci sono progetti molto nuovi che, se funzioneranno, potranno essere replicabili”. Per questi nuovi progetti appuntamento al 2021.
Non basta fare cultura, occorre essere efficienti, sostenibili e digital
La questione sollevata in merito alla rendicontazione e alla sostenibilità economica dei progetti artistici è una grande verità e molte associazioni culturali dovrebbero essere capaci di autoanalisi, soprattutto all’affacciarsi di momenti bui.
Ma c’è un’altra questione che la pandemia ha sollevato e riguarda le possibilità dello streaming, strumento che allarga pubblici e orizzonti da un lato, di difficile comprensione dall’altro.
“L’obiettivo del digitale era uno di quelli che molte istituzioni avevano in mente, ciò che è successo ha dato un’accelerata a questo obiettivo. Alcuni lo hanno utilizzato molto bene, capendo innanzitutto che se vuoi trasferire un contenuto sul digitale lo devi cambiare e ci sono stati esempi interessanti come quello di Radio GAMeC, molto innovativo, tanto che poi hanno deciso di continuarlo anche con la riapertura; altri hanno semplicemente replicato contenuti live sul digitale con meno successo. Credo che in futuro il digitale accompagnerà sempre più gli eventi in presenza purché ci siano dei contenuti studiati appositamente per l’una e l’altra fruizione. Chiaro che chi è più piccolo fa più fatica, perché il digitale ha bisogno di mezzi e risorse per essere fatto bene. Ad esempio, il Donizetti Opera, che ora andrà in streaming, si avvale di piattaforme speciali e di riprese particolari, dietro cui c’è un investimento importante. In ogni caso, questo tema del digitale ricorre anche nel Recovery fund e anche il ministro Franceschini lo ha sottolineato più volte, perciò bisognerà essere pronti con i progetti a raccogliere queste risorse”.
Uno sguardo al futuro e alla direzione verso cui si muove la cultura bergamasca
Bergamo non è Milano, né Brescia, non ha la capacità e forse la volontà di accogliere i grandi eventi, ma negli anni ha dimostrato di poter diventare il centro culturale di appuntamenti più specifici, meno mainstream, ma comunque in grado di attrarre pubblici diversi. Forse raggiungere Torino, vera capitale italiana dell’unconventional è troppo, ma può essere questa una strada da seguire?
“Certamente è una via su cui già ci troviamo – conferma Ghisalberti – Già se vediamo, i festival che riescono ad avere un pubblico internazionale a volte sono poco conosciuti nella stessa Bergamo, come Bergamo Film Meeting che ha un suo pubblico che arriva appositamente in città per quei giorni del festival. Questo significa costruire un’attrattività culturale della città. È una linea importante che la qualifica, oltre a essere un modello di crescita che mischia pubblici diversi e li distribuisce lungo l’anno. Parallelamente vedo crescere, e vorrei dare un contributo per questo, una rete culturale dei quartieri affinché i cittadini diventino attivatori di eventi ed esperienze culturali, con un pubblico consapevole e dalla partecipazione attiva. Questo è un lavoro più lungo, ma io credo che Bergamo possa bene avviarsi a questo tipo di attività perché in parte lo è già”.
L’idea è in conclusione è doppia: ricalibrare gli eventi e fare rete fra città. “Credo che tutti i festival bergamaschi abbiano il dovere di lavorare a quello che vogliono essere rispetto al panorama della città e rispetto al panorama di festival e istituzioni analoghe presenti in altre città, perché il ripetere in ogni luogo lo stesso modello non ha senso, occorre invece creare un movimento fra istituzioni culturali nello stesso territorio. Se penso a Brescia e Bergamo, mi interesserebbe far crescere un movimento di persone che creano turismo culturale fra una città e l’altra”.
Quando il problema sanitario sarà superato Bergamo avrà bisogno di un grande evento da cui ripartire
“Penso che la città se lo aspetti e noi lo avevamo pensato con l’inaugurazione del teatro Donizetti, poi adesso si è rimesso tutto in discussione. Ma un grande evento che dia un’iniezione di fiducia e un segnale che si è usciti dall’incertezza e dalle paure di questo momento credo sia necessario, anche a livello simbolico, perché tutti abbiamo bisogno di momenti di passaggio. Vedremo cosa si potrà fare con le risorse a disposizione”.