Verso la metà del Duecento Tommaso d’Aquino, affrontando nella “Summa Theologiae” la questione se l’uomo possieda il libero arbitrio, portava l’esempio di altri esseri viventi, che agiscono con un certo giudizio ma non liberamente: “Infatti la pecora, al vedere il lupo, giudica con discernimento naturale e non libero che sia necessario fuggirlo”; l’uomo invece, mediante l’esercizio della ragione, è in grado di confrontare possibilità alternative, cosicché non è costretto “per un istinto naturale a determinare una cosa fissa particolare da farsi”.
Quattro secoli dopo Tommaso, tuttavia, Baruch Spinoza ritornava nella sua “Ethica” sullo stesso argomento, sostenendo che la nostra impressione di poter agire liberamente avrebbe un carattere illusorio. Per Spinoza, le ragioni con cui giustifichiamo ufficialmente i nostri comportamenti sono sempre “in ritardo” rispetto agli affetti e agli appetiti corporei: “Così il bambino crede di desiderare liberamente il latte, e il fanciullo adirato di volere la vendetta, e il timido la fuga. Parimenti l’ubriaco crede di dire per libero decreto della sua mente ciò che poi, da sobrio, vorrebbe aver taciuto; così colui che delira, la chiacchierona, il fanciullo e moltissima gente della medesima risma credono di parlare per libero decreto della mente, mentre, invece, non possono frenare l’impulso che hanno a parlare; sicché la stessa esperienza, non meno che la ragione, insegna che gli uomini credono di essere liberi solo perché sono consapevoli delle proprie azioni ma ignari delle cause da cui sono determinati”.
Ha appunto un titolo in forma di domanda, “Che significa Libertà?”, la videolezione di Massimo Cacciari che trovate al termine di questo articolo, tratta dal XXVIII Corso di Filosofia dell’associazione Noesis. In apertura, il saluto del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori (modalità di iscrizione al corso nel sito noesis-bg.it).
Già deputato, europarlamentare e sindaco di Venezia, Cacciari è professore emerito della facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; tra le sue pubblicazioni più recenti, ricordiamo “Le sette parole di Cristo” (il Mulino, pagine 60, 12 euro, ebook a 8,49 euro), un volume – in forma di dialogo con il direttore d’orchestra Riccardo Muti – in cui le ultime parole che i Vangeli attribuiscono a Gesù morente sulla croce sono riconsiderate attraverso la pittura di Masaccio e la musica di Haydn.
“Nella videoconferenza – anticipa Cacciari – cercherò di ripercorrere alcune linee di pensiero sul tema della libertà, mostrando come questo concetto non sia qualcosa che possiamo dare per acquisito, naturale, scontato. Al contrario: per certi versi, la questione della libertà è un caput mortuum della filosofia, una nozione residuale di cui, da un punto di vista scientifico, non si sa bene che fare. Dimostrare che noi uomini saremmo liberi è decisamente complicato, se non impossibile: in quanto enti naturali, come potremmo sottrarci alle leggi della biologia e della fisiologia? Dunque, la nostra esperienza soggettiva della ‘libertà dello spirito’ è veridica o illusoria? Non potrebbe dipendere semplicemente dalla nostra ignoranza di quali cause ci spingano ad agire in un certo modo?”.
GB: La tradizione dell’umanesimo occidentale, però, non si basa sull’assunto che noi siamo almeno in parte responsabili delle nostre azioni? Tommaso argomenta che, se non possedessimo il libero arbitrio, “vani sarebbero i consigli, le esortazioni, i precetti, le proibizioni, i premi e le Pene”.
MC: Però la stessa tradizione filosofica dell’Occidente, a più riprese, ha posto radicalmente in questione il concetto della libertà. Spinoza ricorre a una famosa immagine, per smentire l’esistenza del libero arbitrio: l’uomo che creda di essere libero nei suoi comportamenti è paragonato a una pietra che fosse capace di pensare.
GB: E che si illudesse di muoversi di sua iniziativa?
MC: Sì, invece che per l’azione di una causa esterna. Proprio questo approccio problematizzante alla questione della libertà, forse, costituisce uno dei più grandi meriti del pensiero filosofico europeo. D’altra parte, dobbiamo riconoscere che la libertà ci è necessaria: senza questa idea noi non sapremmo vivere. Nietzsche definiva la credenza nella libertà del nostro volere “un errore originario”, antico quanto l’umanità; io ritengo che sia un “errore” tanto antico, quanto necessario: questa convinzione è radicata in noi, fa parte della nostra natura. Rispetto a tutti gli altri animali, solo noi uomini tendiamo a pensare di poter decidere, di dover rispondere delle nostre scelte.
GB: Qualche volta si concepisce il libero arbitrio come una semplice “indeterminatezza”, per cui, arrivati a un bivio, potremmo indifferentemente svoltare a sinistra oppure a destra.
MC: Una volta che si sia dato credito all’idea della libertà, è chiaro che la sua versione più povera, più miserevole è quella per cui esseri liberi significherebbe “fare ciò che si vuole”. Ciò che i grandi filosofi ci hanno insegnato a prendere sul serio, magari anche mettendolo in dubbio, non è la semplice nozione di una “libertà da”. Semmai, l’unico modo per “confermare” il nostro sentimento di essere liberi è di agire in un modo “liberante”, tentando di affrancare noi stessi e il nostro prossimo dal bisogno, dalla sofferenza, dall’ignoranza: un comportamento pratico di questo tipo attesta, se non la verità effettiva, la coerenza logica e la vitalità dell’antico concetto della libertà umana.