Patti Smith nel 2017 ha ricevuto la laurea ad honorem in «Lettere classiche e moderne» all’Università di Parma. In occasione dell’evento, l’orchestra sinfonica dell’Ateneo ha suonato alcuni dei pezzi più famosi dell’artista americana. A dirigere i musicisti c’era Stefano Zinetti, 38 anni, originario di Casazza in provincia di Bergamo, dal 2010 trasferito nella città emiliana per seguire la sua passione per la musica. È a lui che Patti Smith ha fatto i complimenti per gli arrangiamenti sinfonici dei brani come «Break it up» e «Because the night», parte del programma del concerto organizzato per la cerimonia.
Oggi Zinetti affianca alla direzione orchestrale la collaborazione con il CAPAS – Centro per le Attività e le Professioni delle Arti e dello Spettacolo dell’Università di Parma e l’insegnamento nelle scuole ed è convinto che l’educazione musicale debba cominciare appena possibile: «quando i ragazzi sono grandi è già tardi – spiega – questa disciplina è fondamentale nel plasmarne la personalità». Esperienza sensoriale, stimolo per il senso del ritmo, del tempo e della motricità, aiuto nella socializzazione con gli altri e nel miglioramento del linguaggio. Tutto questo è la musica per i piccolissimi, un valido alleato nel loro sviluppo cognitivo, fisico e psicologico.
Un’esperienza che per Stefano Zinetti comincia a soli 5 anni, quando si avvicina alla propedeutica musicale entrando a far parte della Scuola dei Piccoli Musici di Casazza, «molto conosciuta a livello nazionale grazie al suo coro e al direttore Mario Mora, un personaggio di spicco nel movimento corale, che con la sua realtà strizza già l’occhio al professionismo: si giocava tanto, ma c’era molta sapienza e pochi fronzoli, l’approccio non era da Conservatorio, ma poco ci mancava». I Piccoli Musici, infatti, faranno scambi con conservatori italiani, si esibiranno in diretta tv sulla RAI e parteciperanno a importanti manifestazioni europee come il Festival d’Ambronay, quello di Basilea e il Festival MiTo.
Prima di portarlo su un palco però la musica per Zinetti nasce in famiglia dalla passione del padre, che non ha avuto possibilità di imparare a suonare uno strumento, ma che insieme alla madre decide di avviare i figli allo studio di «clarinetto per me e flauto traverso per mio fratello». In salotto si ascoltano Battisti, Venditti e la musica anni Sessanta e Settanta, più una passione materna che sarà fondamentale per il musicista: i Tre Tenori, Plácido Domingo, José Carreras e Luciano Pavarotti.
In casa poi il fratello porta Jethro Tull e molto prog, Stratovarius, Deep Purple e Led Zeppelin. Stefano ascolta anche quello e durante gli anni delle superiori esplora la musica a trecentosessanta gradi; si appassiona alle sonorità alternative, tra reggae, ska e punk italiano e suona in un gruppo in levare, ma è quando arriva all’università che la passione per la classica diventa qualcosa di più degli esercizi al clarinetto: «ero già diplomato e insegnavo strumento, ma la folgorazione è arrivata nel 2005 durante un concerto in Calabria – ricorda – Sul palco c’era un gruppo metal sinfonico, i Rapsody of Fire, che mi hanno colpito per come erano riusciti a portare la classica in un genere che a me pareva così lontano».
Dopo quell’incontro Zinetti avvia un percorso a ritroso: torna alla sua formazione classica, rivede passaggi barocchi e ascolta in modo approfondito autori che aveva sempre e solo studiato, riscoprendoli. «In quegli anni ho cominciato davvero a sentire quanto la musica facesse parte della mia vita e ho iniziato ad appassionarmi di direzione. Nel 2010 ho lasciato Bergamo e mi sono spostato a Parma, dove mi sono specializzato in repertorio lirico e sinfonico, sempre con il clarinetto».
Ed è proprio nella città emiliana che il musicista si avvicina nella pratica alla direzione d’orchestra. Il primo passo sarà suonare nell’ensemble del corso di direzione d’orchestra del Conservatorio, «dove ho toccato con mano cosa volesse dire creare un concerto partendo da zero». Poi sono arrivate le esibizioni con l’Orchestra Regionale dell’Emilia-Romagna e date in tutta Italia, infine una masterclass con il maestro Michele Santorsola, la sua prima in direzione d’orchestra.
Da quel momento in avanti la strada è segnata. «Semplicità e chiarezza. Più fai e più danno fai». Questo è il mantra di Zinetti nella direzione orchestrale, una carriera che è ancora tutta in divenire: «le prime esperienze forti sono state con le colonne sonore dei film – ricorda – è fondamentale essere essenziali, non un gesto di più, oltre ovviamente a conoscere tutti gli strumenti che hai davanti, come se dovessi suonare le parti di tutti». A questo si aggiunge l’eredità dei suoi studi di architettura al Politecnico di Milano: «da quegli anni porto con me l’approccio progettuale, che è utile per costruire uno spettacolo: si parte da un’idea, che si sviluppa, per poi arrivare alla definizione del tutto».
Il rapporto tra musica e cinema per il musicista bergamasco non è solo il primo passo nel mondo concertistico, ma anche lo strumento con cui apre le porte della materia ai suoi ragazzi: «far calare dall’alto la musica classica dicendo loro “Guarda come è bella” è fallimentare – spiega – gli adolescenti hanno bisogno di capire a cosa serve e dove li porta. Lavorare sulle colonne sonore con loro funziona molto più che insegnare il tradizionale flauto. Se comprendono la grammatica del linguaggio musicale poi sono in grado anche di realizzare piccole composizioni in autonomia».
La classica però può essere ostica anche per gli adulti, se l’orecchio non è allenato. La difficoltà principale secondo Zinetti è «fare una sorta di reset rispetto a quello che siamo abituati ad ascoltare e che non scegliamo, ma subiamo passivamente», come una radio che passa le hit del momento, sentita distrattamente. «Noi conosciamo Vivaldi solo perché sua è la musica di attesa di un centralino o abbiamo sentito parlare di Verdi perché ha scritto “La donna è mobile”».
Per provare ad avvicinarsi a questo mondo, invece, il musicista e direttore d’orchestra propone tre ascolti, che si trovano tutti su Youtube: un pezzo d’opera, gli «Arredi festivi» di Giuseppe Verdi, «per scoprire la potenza della musica e quanto questa possa essere ammaliante»; il «Secondo movimento della Settima Sinfonia» di Beethoven, «perché è un brano di una forza universale» e infine la «Sheherazade» di Rimskij-Korsakov, « un racconto all’interno di una cornice musicale».
Se invece ci si vuole accostare alla musica attraverso le vite dei suoi protagonisti, Zinetti suggerisce un libro bellissimo e molto accessibile, «Mozart era un figo, Bach ancora di più – Come farsi sedurre dalla musica classica, innamorarsene alla follia e diventarne dipendenti per sempre» (Salani, 2014) di Matteo Rampin e Leonora Armellini. Nelle sue pagine si incontra un Beethoven che non era solo un genio, ma che un giorno sì e uno no faceva rissa con qualcuno o un Mozart che aveva il vizio del gioco d’azzardo e spendeva un sacco di soldi per bere. «Tutte cose che sui libri di storia della musica non ci sono e non solo sono parte della personalità degli autori, ma che influenzano anche le loro produzioni».
Un altro fatto poco noto che Zinetti ricorda è la relazione tra il grande bergamasco Donizetti e il notissimo Verdi: «quando il secondo arriva a Vienna, sarà proprio il primo ad accoglierlo e scrivergli lettere di raccomandazione per teatri e produzioni, giusto per dare l’idea della sua grandezza. – racconta – Vivendo a Parma, patria di Verdi, ho avuto modo di rendermi conto di quanto la città abbia lavorato sul valorizzarne la figura. A Bergamo questo è accaduto relativamente di recente con Donizetti e mi auguro che la visibilità che ha questo grande artista sia sempre maggiore. Il festival donizettiano è un evento molto importante, ma si può fare ancora di più».