Amata dal pubblico, attrice tra le più famose e stimate, anche doppiatrice e scrittrice. Volto noto e voce inconfondibile, maestra d’ironia. Nota per i suoi monologhi, apprezzata per le sue interpretazioni sul palco e per le sue partecipazioni in tv e radio. Ma anche per il suo impegno civile e per l’attenzione verso la questione femminile ben prima che questa diventasse argomento di cronaca. In due parole Lella Costa.
Ospite gradita nella Bergamasca, in cui torna spesso (sarà anche nella nuova stagione di prosa del Teatro Donizetti, ultima data al Creberg con una nuova produzione dedicata ad alcuni ritratti di donne), anche quest’anno parteciperà a Molte fedi sotto lo stesso cielo. Quella all’edizione 2019 della rassegna culturale di Acli Bergamo sarà la decima presenza consecutiva. Una sorta di percorso che l’ha vista dare voce a vari testi, da “Il pranzo di Babette” di Karen Blixen a “La lettera ai giudici” di don Lorenzo Milani.
Questa volta però l’appuntamento avrà qualcosa di speciale, perché mercoledì 18 settembre alle 20.45 al Teatro Serassi di Villa d’Almè proporrà un lavoro inedito insieme al trombettista jazz Paolo Fresu (già direttore artistico del Bergamo Jazz Festival). Titolo: “Percorsi di pace e di speranza” . “Con Paolo – racconta – c’è un’intesa di lunga data e il nostro sarà un dialogo a due voci, un momento corale in cui la parola incontra la musica” (l’evento è soldout).
MV - Ci può svelare qualcosa di più?
LC - Visto il tema di quest’anno della rassegna abbiamo pensato di realizzare, e sarà una prima assoluta, un concerto-spettacolo che avrà per pezzo forte una versione da lui suonata e da me letta de “Il mondo salvato dai ragazzini” di Elsa Morante. È una bellissima cantata, un poema poetico, quasi epico, un po’ sognatore con una metrica non narrativa, con un grandissimo ritmo dentro e con immagini e giochi di parole: si presta moltissimo ad una versione parole e musica.
MV - Potrebbe essere un’occasione di scoperta.
LC - Spero che il pubblico riscopra un’autrice meravigliosa e un testo forse meno conosciuto rispetto ad altri di Elsa Morante. Sono parole che risentono del tempo in cui sono state scritte, uno specchio degli anni Sessanta in cui sono nate.
MV - L’attualità, il pensiero e la questione femminile sono alcuni dei temi a lei cari. Entrambi si ritrovano anche nel suo ultimo libro “Ciò che possiamo fare” (Solferino) in cui si confronta con Edith Stein (mistica e filosofa, nata nel 1891 da una famiglia ebrea, convertita al cattolicesimo, diventata suor Teresa Benedetta dalla Croce dell’ordine carmelitano, morta nel 1942 ad Auschwitz, ndr).
LC - Con questo libro ho potuto studiare, avvicinare e conoscere un personaggio immenso come Edith Stein, che conoscevo poco e in modo superficiale. È stato davvero un incontro straordinario che mi ha molto toccato, per la ricchezza, la profondità e la lezione che lei ha saputo lasciare. Spero di aver contribuito a farla scoprire per la testimonianza di vita, di studio e di assunzione di responsabilità che ha dimostrato. E soprattutto per il fatto che incarni in modo così clamoroso e paradossale l’insensatezza di ogni persecuzione, ogni discriminazione, ogni razzismo che mi sembra un tema da tenere sottocchio ancora oggi. Non bisogna pensare che non possa succedere mai più: ahimè, potrebbe succedere e in parte, in alcune zone del mondo, sta succedendo. Sta a noi raccogliere il testimone.
MV - E capire “ciò che possiamo fare”.
Il titolo del libro è una frase di Stein: “Ciò che possiamo fare in paragone a ciò che ci viene dato è sempre troppo poco”. È una riflessione che ci tocca tutti: qual è il pezzo di strada, l’assunzione di responsabilità che tutti noi, piccoli o grandi, dovremmo essere tenuti a fare. Ed è veramente lezione straordinaria.
MV - Osservando l’Italia in questo momento, quale potrebbe essere l’assunzione di responsabilità?
LC - Credo che tutti dovremmo fare la fatica di andare al cuore dei fatti, non accontentarci mai di una versione o di un racconto dei fatti parziale frettoloso. Bisogna cercare di andare il più possibile a fondo: se non scoprire la verità con la V maiuscola, almeno arrivare nei pressi e farci un’opinione e giudicare e agire secondo coscienza. Cose non da poco.
MV - Allargando lo sguardo verso l’Europa…
LC - Edith Stein, con il nome di Santa Teresa della Croce, è una dei sei patroni d’Europa, quindi dovremmo chiedere educatamente, ma con forza che l’Europa smetta di essere soltanto un’alleanza di tipo economico-finanziario, o che la governi, e rispecchi quella alleanza o relazione tra popoli che lo è di fatto nella vita quotidiana. Perché chiunque viaggi o abbia figli che viaggiano e studiano si rende contro che l’immagine dell’Europa è più profonda e naturale di quella a cui invece siamo portati a pensare per interessi, manovre, scelte che ci passano sopra la testa. Dovremmo partecipare tutti. Come diceva Giorgio Gaber: “Libertà è partecipazione”: partecipare al progetto dell’Europa oltre che ci spetta, ci tocca e ci conviene. Anche perché interessa il futuro, se non nostro, dei nostri figli e nipoti.
MV - La questione femminile, a che punto siamo?
LC - Un conto è quello che ci viene raccontato e un conto è la vita delle persone, nella fattispecie delle donne. Sicuramente ci sono state dei fatti come il movimento #MeToo che purtroppo non ha saputo dare voce, raggiungere il cuore del problema. Ossia molestie, soprusi, ricatti che le donne vere, nella vita vera, subiscono nei posti di lavoro, quotidianamente. È parso più elitario di quel che doveva essere, ma meno male che c’è stato perché ha scoperchiato un tema tabù, vittima di una specie di rimozione totale per cui tutti sapevano che c’era questo problema, ma nessuno ne parlava. Tuttavia credo che per quello che riguarda i diritti e le pari dignità ci sia ancora molta strada da fare.
MV - Ad esempio?
LC - Per quanto riguarda i diritti, anche quelli che pensavamo acquisiti una volta per tutte vengono continuamente minacciati da una crisi complessiva, ma pure da una prevalenza di testosterone nella politica. Penso alla gestione dell’ultima crisi politica: è stata tutta declinata unicamente al maschile. Non vuole essere una critica a priori, però ogni volta che si nega il contributo del pensiero femminile, dello sguardo femminile, del talento femminile si priva tutti, tutta la comunità, tutta l’umanità di qualcosa che invece potrebbe essere prezioso e risolutivo.
MV - Qualche soluzione?
LC - Dobbiamo insistere per la rappresentanza, ma non perché vogliamo le quote rosa. Davvero le donne sono, siamo, in molti campi la colonna portante, e comunque quelle che permettono al sistema Paese di andare avanti. Perché facciamo più lavori, perché ci facciamo carico dei lavori di cura dei bambini, degli anziani.
MV - Le donne madri, mogli e lavoratrici.
LC - Si lamentano della denatalità: provate a fare dei figli se non si hanno le spalle coperte dal punto di vista familiare. Questo nostro Paese la smetta di accusare le donne di non fare più figli e metta tutte le donne nella condizione di poter scegliere, ma veramente: queste sono le pari opportunità che chiediamo con forza. Perché non è tollerabile il carico di lavoro, di responsabilità, di richieste, di aspettative che cadono unicamente sulle spalle delle donne. Credo, quindi, ripartiremo da lì, dalla concretezza delle nostre scelte di vita. Sono abbastanza sicura che succederà perché le intelligenze e la scolarizzazione sono alle stelle, quindi prima o poi tocca a noi.
MV - Ma c’è qualcosa di molto concreto, nella quotidianità, da poter fare per realizzare una svolta?
LC - Usare anche un po’ di ironia e sarcasmo. Ogni volta che si svolgono consigli di amministrazione, dibattiti in cui si devono sviscerare questioni importanti, politiche, economiche, finanziarie andare a vedere quante donne ci sono, quante sono state invitate, a quante donne viene data la parola. E l’indignazione conseguente non sarà solo delle donne. Quindi partire da qui: vigilare, essere molto attente e non stancarci di chiedere che ci venga data la nostra sacrosanta parte di voce perché molte di noi hanno straordinarie competenze ed è un vero peccato, molto stupido, che di questi talenti e competenze non possa godere tutto il mondo, la società.
MV - In tutto questo secondo lei il teatro che ruolo ha?
LC - Sono assolutamente convinta che il teatro abbia un ruolo nella società, ma sono in pochi a pensarlo. Ogni volta che, non solo in teatro, avviene una comunicazione, un incontro, un racconto tra persone viventi vale di più di quando accade in modo virtuale, perché è un passaggio di testimone, è un coinvolgimento più diretto, è un essere lì e adesso e vivere totalmente quella comunicazione. Il teatro può avere questa funzione pedagogica, quasi motivazionale e soprattutto di condivisione di idee, di principi e di possibili soluzioni. Detto questo, non è che il buon teatro, il bel teatro deve per forza avere questi contenuti: io lo faccio perché è una mia scelta, ma si può fare del bellissimo teatro senza toccare direttamente o indirettamente questi temi della vita sociale, politica o di relazione.