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Il nuovo Rettore Sergio Cavalieri: “Grazie all’Università, Bergamo sarà sempre più internazionale”

Intervista. Dato come outsider alla vigilia, il professore di Ingegneria Gestionale, dell’Informazione e della Produzione ha assunto la carica di Rettore dell’Ateneo di Bergamo

Lettura 6 min.
Sergio Cavalieri (foto Laura Pietra)

Lo abbiamo intervistato, spaziando dalla squadra di Prorettori a maggioranza femminile fino a come sono cambiati gli studenti in vent’anni di docenza. In mezzo internazionalità, mismatch, futuro e tecnologie.

LB: Innanzitutto complimenti.

SC: Grazie.

LB: Nuovo Rettore dell’Università di Bergamo. Quali sono state le prime emozioni?

SC: Sono momenti difficili da descrivere in poche parole. È un misto di sensazioni fra stupore, timore, consapevolezza di una grande responsabilità per aver raggiunto un traguardo che in ambito universitario è importante. Essere eletto rettore è una dichiarazione di fiducia nei miei confronti come persona che dovrà gestire un Ateneo così prestigioso. Fortunatamente non sarò da solo, a mio fianco come per ogni rettore ci sarà una squadra di Prorettori.

LB:Che sono in maggioranza donne. Va considerato come un segnale di rivalsa delle donne in ambito accademico o è una questione di meriti?

SC: Il discorso di fondo è quello di superare la contrapposizione di genere ma ragionare sulle competenze, ciascuno per il ruolo che assumerà. Devo essere sincero: nel comporre la squadra di prorettori non ho badato al genere, tanto che questa maggioranza di donne me l’ha fatta notare un giornalista nella conferenza stampa di presentazione della squadra. Non è stata una scelta in termini numerici, ma in base alle capacità di gestione delle persone che ho scelto. Attenzione però: non è esattamente una novità. L’Università di Bergamo ha comunque una forte presenza di donne a capo degli uffici dipartimentali, per la precisione c’è una parità quattro a quattro fra donne e uomini e tante sono le donne fra docenti e personale tecnico.

LB: Rimane comunque un segno importante.

SC: Certamente, un segno dell’evoluzione del nostro Ateneo, che non è fatto solo di bravissime docenti e bravissime ricercatrici. Ma anche di donne che hanno tutte le migliori qualità per assumere compiti di gestione.

LB: Inoltre le deleghe ai prorettori suggeriscono una forte attenzione all’internazionalità più che al territorio…

SC: In realtà quando ho pensato alla mia squadra di prorettori non ho ragionato su “territorio” e “non territorio”. L’università è un luogo di formazione, di sapere, che si confronta con più territori. Quello di Bergamo, che in realtà è composto a sua volta da più territori differenti, con il quale l’Università mantiene salde le sue radici economiche, sociali e culturali. E l’esterno, l’ambito regionale, nazionale e internazionale. L’università non è un ente locale, è un’istituzione che si occupa di ricerca e si rivolge ad altri territori, che pubblica su riviste internazionali, che è aperta nelle collaborazioni con altre università dentro e fuori l’Italia. Nel ranking internazionale delle università abbiamo una buona posizione anche per la nostra capacità di aprirci all’esterno. La provenienza anagrafica del rettore e dei prorettori va considerata alla luce dei tanti anni di militanza nell’Università di Bergamo. Ad esempio per quanto mi riguarda sono vent’anni che lavoro in Università, anni in cui ho conosciuto le peculiarità e le potenzialità del territorio. Bergamo deve farsi conoscere come un territorio importante non solo sotto il profilo economico ma anche culturale, allora l’internazionalità deve essere una delle pietre miliari del nostro operato.

LB: Sarà questa una delle sue priorità nei primi 100 giorni da rettore?

SC: Le mie priorità vanno oltre i 100 giorni. Non ho l’ansia di portare subito dei risultati, perché l’Università è solida nei fondamentali, non è necessario fare salti mortali. Per prima cosa è importante confermare quanto di buono è stato fatto. Ho iniziato a incontrare in questi primi giorni tutti i prorettori per condividere un metodo, uno stile di governance, prendendo atto che siamo un grande Ateneo con ventiquattro mila studenti e quasi settecento fra docenti e personale tecnico. Nei prossimi sei anni sarà importante garantire processi decisionali snelli e agilità nella collaborazione con altri atenei di pari dimensioni. Abbiamo la necessità di adottare processi decisionali più partecipativi, maggiore comunicazione interna, più deleghe decisionali, più capacità di programmare rispetto a una gestione precedente che, ahimè, negli ultimi mesi ha portato a prendere decisioni d’emergenza, non sempre proattive.

LB: Nelle scorse settimane abbiamo affrontato, in occasione del Festival Città Impresa, il tema del mismatch fra istruzione universitaria e lavoro. A che punto è in questo senso l’Università di Bergamo? Che cosa c’è da migliorare?

SC: Sicuramente c’è qualcosa da migliorare sul mismatch, bisogna ancora trovare la giusta calibratura fra università e aziende. L’università ha un compito delicato e cruciale, cioè quello di formare le future classi dirigenti, di mettere a disposizione della società nel suo complesso persone in grado di affrontare la complessità del presente con un’ottica di lungo periodo. L’università non può rispondere nell’immediato ai problemi delle aziende. Mi spiego meglio: molto spesso le aziende hanno bisogno da subito del professionista che sia in grado di lavorare nel contesto aziendale, utilizzando il proprio capitale formativo. Ma l’università non può formare gli studenti per qualsiasi tipo di azienda x o y, semmai dare conoscenze e strumenti metodologici. Oltre alla formazione in ateneo, un neo-professionista va formato nelle sue funzioni specifiche direttamente in azienda, unendo così la formazione universitaria a quella aziendale, il bagaglio formativo e quello esperienziale. Il mismatch si può superare se da entrambe le parti c’è l’umiltà di formare la persona secondo le proprie possibilità specifiche. Già in ambito magistrale l’Università di Bergamo comincia a costruire collaborazioni fra studenti e aziende, ponendo ai primi dei problemi da risolvere in dialogo con l’azienda.

LB: Nella sua lettera d’insediamento descrive gli obiettivi dei suoi sei anni da rettore. Fra questi la necessità per l’Università di “contribuire ad aprire nuove frontiere, a interrogarsi sui ‘futuri’ della società. Quali sono i “futuri” che immagina e che ruolo dovrà avere l’Università di Bergamo?

SC: Questo è un punto importante per me. Il PNRR è molto inquadrato sul fare ricerca applicata, cioè sul risolvere problemi che già conosciamo molto bene, è un tema ricorrente nel Piano, che è tutto votato al futuro. Inoltre il bello per me è interrogarsi sulle nuove frontiere del sapere, l’università ha il compito di capire e dare una visione su quelli che possono essere gli scenari futuri, i nuovi trend, anche di un futuro remoto. È difficile delineare un futuro certo in questo momento di grandi cambiamenti. Faccio un esempio: l’intervista di Zuckerberg sul passaggio da Facebook a Meta apre degli scenari, che possono essere utopici o distopici a seconda dei punti di vista. Tuttavia è compito dell’università capire e incanalare questi scenari, interrogandosi attraverso la ricerca scientifica. Secondo questa evoluzione prospettata da Zuckerberg ogni persona avrà un suo avatar online, una sorta di alter ego digitale. Ciò può creare un futuro utopico o distopico per l’umanità, ed è anche la ricerca universitaria che può influenzare tutto questo, trasformando questi progressi tecnologici in qualcosa di utile, altrimenti potrebbero rivoltarsi contro di noi.

LB: La questione, in altre parole, è etica. E riguarda anche il dialogo tra materie scientifiche e umanistiche, la cosiddetta Terza via…

SC: Questo connubio è fondamentale. Solo con il dialogo fra materie scientifiche e umanistiche possiamo affrontare i futuri possibili. C’è da dire che l’Università di Bergamo ha già sperimentato questo tipo di dialogo, penso ad esempio al progetto Bergamo 2035, e le potenzialità emerse sono enormi. Questo può essere un metodo di lavoro molto virtuoso, che s’inserisce come punto di forza in quella internazionalità di cui dicevamo prima. In Bergamo 2035 hanno dialogato materie molto differenti fra loro, dall’antropologia all’ingegneria, passando per l’epistemologia e la giurisprudenza. All’inizio il dialogo può sembrare difficile, ma poi diventa un modo molto proficuo di influenzarsi reciprocamente.

LB: In questi 20 anni di Università di Bergamo come sono cambiati gli studenti nel corso del tempo?

SC: Di certo gli studenti hanno preso sempre più consapevolezza che il mondo non si chiude a Bergamo, che le frontiere sono ben più ampie. Da un radicamento al territorio di un po’ di anni fa sono passati ad avere una mentalità da cittadini del mondo, questo anche grazie alle famiglie che hanno alle spalle. Avere come compagno di banco uno studente di Napoli o di Padova, oppure proveniente dalla Turchia, dalla Cina, dall’Iran è un’esperienza di multiculturalità molto importante, che corrisponde all’apertura di Bergamo al mondo che ho visto negli ultimi anni. Questa esperienza di multiculturalità può essere molto utile in un mondo del lavoro sempre più multiculturale. Anche questo è un punto di forza del nostro Ateneo.

LB: Per finire, mi tolga una curiosità: vent’anni all’Università di Bergamo, eppure quando i media hanno annunciato la sua nomina a rettore hanno sottolineato il suo essere siciliano…

SC: A Bergamo, come a Milano, lavorano tantissime persone che vengono da fuori. E non è una cosa degli ultimi anni, ma accade da molto tempo. Semmai oggi è diventato un segno dei tempi: Bergamo ha maledettamente bisogno di risorse e cervelli che vengano da fuori, perché ha un tasso di disoccupazione molto basso, dunque è ineluttabile che queste persone arrivino. Nelle aziende come nella nostra Università questo bisogno c’è e si concretizza. Anche nelle istituzioni, ai vertici, ci sono persone non bergamasche. Ripeto: è il segno dei tempi, un’altra angolazione da cui guardare l’apertura di Bergamo al mondo. Poi a volte i giornalisti hanno bisogno di un dettaglio per fare un titolo: il rettore siciliano, la squadra di prorettori a maggioranza femminile… è normale, può essere un elemento di curiosità.

Sito Università di Bergamo

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