Non una consolatoria ricetta della felicità, ma una possibilità per guardare al futuro con uno sguardo diverso è quella che propone Miguel Benasayag, ospite di Bergamo Festival “Fare la Pace” il 18 maggio alle 18.30 in Piazza Vecchia a Bergamo Alta (evento spostato, causa pioggia, al Centro Congressi Giovanni XXIII).
Davanti a un futuro che non è più una promessa, ma una fonte di timore, il filosofo e psicanalista argentino nel suo libro “Oltre le passioni tristi” racchiude un cambio di prospettiva. Dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa, Benasayag auspica un cambio di prospettiva e lo fa partendo proprio da ciò che turba e genera disagio a un numero sempre maggiore di persone.
Il suo sguardo si concentra sui giovani, ma il suo pensiero e gli strumenti che il filosofo propone possono rientrare nella cassetta degli attrezzi di ognuno di noi.
“Impotenza è sentire di non avere possibilità di agire. Vergogna è il senso di disagio davanti all’idea di fare o aver fatto qualcosa che gli altri giudicheranno negativamente. E poi ancora timore, odio, invidia, disperazione. Ecco alcune delle passioni tristi, quelle che ci ‘diminuiscono’, ci fanno sentire meno di quello che siamo e che potremmo essere” – spiega Benasayag.
Così davanti a un presente insoddisfacente e ai condizionamenti della paura, all’impossibilità di progettare il futuro e a un domani minaccioso dominato dall’incertezza “sperimentare queste sensazioni può essere realmente paralizzante in una società che si è profondamente e rapidamente trasformata”.
La riflessione continua quella portata avanti ne “L’epoca delle passioni tristi”, scritto a quattro mani con Gérard Schmit, docente di Psichiatria infantile all’Università di Reims. In quel volume Benasayag – partendo da ciò che ci blocca, ci atterrisce e ci fa sentire limitati – apriva alla possibilità di una vita che si può ancora progettare nonostante tutto.
Ciò accade grazie alla spinta delle passioni gioiose, del valore delle relazioni e da un approccio creativo all’esistenza. Una visione che acquisisce ulteriore complessità nel recente “Funzionare o esistere?”, dove il filosofo disseziona i meccanismi di una società che richiede sempre più risorse umane e sempre meno esseri umani.
SV: Davanti a un presente di incertezza, cosa comporta il prevalere delle passioni tristi?
MB: Molte persone annegano nel risentimento. Lo sguardo si volge indietro in un’azione di revisione della propria vita. Di quello che si è fatto e non si è fatto e delle possibilità consolatorie di essere qualcun altro. Di vivere in un altro luogo, in un altro tempo. Tutte queste prospettive diventano soluzioni desiderabili quanto impossibili.
SV: E si arriva alla frustrazione.
MB: Sì, da qui la frustrazione. La paralisi e la sensazione di essere incatenati alla propria storia, alle proprie origini e a quello che siamo stati fino a quel momento. Un profondo senso di assenza di alternative ci porta a regredire a una vita intesa come lotta per la sopravvivenza. Dove sull’incontro domina lo scontro e il nostro presente è invaso da una lacerante attesa del peggio che deve ancora arrivare. Davanti al quale non si può fare niente.
SV: Le passioni tristi trasformano in legami in catene. Urge un cambio di prospettiva…
MB: La grande forza distruttiva delle passioni tristi, di questo sentirci ripiegati su noi stessi, in realtà ignora un aspetto fondamentale della nostra vita. Quelle che noi sentiamo come catene e che vorremmo rompere, in realtà potrebbero essere considerate in un altro modo. Ossia come legami, che non sono limiti dell’io, ma ciò che conferisce potenza alla mia libertà e al mio essere.
SV: Come possiamo trasformare le catene in legami quindi?
MB: Quando ci sentiamo incatenati a una situazione, a un vissuto o a una relazione, è fondamentale cercare di comprendere che in realtà incatenati non lo siamo. Ma che tutto questo è ciò che ci ha reso quello che siamo nel bene e nel male. Questo è un cambio di prospettiva fondamentale che ognuno di noi può metter in atto.
SV: Ci sono legami vissuti come catene e legami che invece sono già positivi…
MB: È normale considerare la nostra storia e il nostro passato come catene che ci segnano per sempre. Soprattutto se l’esperienza che ci hanno lasciato è molto negativa, quando in realtà tutto questo ci compone, più che legarci. Riconoscerlo è un primo passo per riuscire a trarre forza anche dalle situazioni più dure. Una risorsa per chiunque, in qualsiasi fase della propria vita si trovi. Poi certo, fortunatamente accanto a questo aspetto trasformativo c’è anche una connotazione positiva dei legami intesi non come limite, ma come appartenenza. Parlo delle relazioni positive fondamentali per non arrendersi alle passioni tristi: relazioni da coltivare, dove il rispetto, l’ascolto e la libertà delle persone sono la base di un esistere gratificante e pieno, che porta a sentirsi riconosciuti e parte di qualcosa.
SV: Come è possibile lasciarci alle spalle le passioni tristi e abbracciare quelle gioiose?
MB: Quelle gioiose sono passioni che liberano. Ci traghettano da una sensazione di paralisi alla nostra riattivazione come persone. Se la nostra storia non è una catena, ma la nostra base di partenza, ci troviamo più vicini alla realtà delle cose di quello pensiamo. Potrà non essere semplice ammetterlo, ma rivela quanto in realtà abbiamo delle possibilità e possiamo riprendere in mano la nostra vita. E costruirla alla luce della nostra molteplicità in senso creativo.
SV: Cosa significa vivere in modo creativo?
MB: La creatività di cui parlo non è intesa in senso artistico, ma generativo. Creare la propria vita significa imparare a immaginarsi nuovamente, a inventare. A fare tentativi consapevoli che potrebbero non contenere la soluzione definitiva. Dare spazio a tutto questo è un antidoto alla preoccupante spinta di chiusura che attraversa la nostra società in questi anni e che ha pesanti conseguenze non solo individuali, ma anche sociali. Rompere i legami di solidarietà, allentare le relazioni, isolarsi e chiudersi va di pari passo con un senso di perdita di futuro e di progressiva perdita di sé. Essere creativi è una strategia di resistenza a tutto ciò che rischia di appiattirci. Dall’utilitarismo che ci prosciuga, alla paura che indebolisce adulti e giovani e porta a vedere minacce e nemici ovunque. Restringendo e limitando sempre più il nostro campo di azione.
SV: In “Funzionare o esistere?” c’è un altro fattore che limita il nostro agire e la nostra identità.
MB: Tutti noi oggi ci troviamo a fare i conti con il conflitto tra funzionare ed esistere. La prevalenza del primo termine sul secondo è causa di grande malessere per molte persone. Se le cose vanno male in qualche modo il mondo circostante e i suoi valori ci hanno convinti che la colpa è per forza e totalmente nostra. Non funzioniamo abbastanza bene in relazione alle richieste della società.
SV: Siamo “funzionari”, insomma.
MB: Questa idea dell’essere funzionanti unicamente in quanto persone dotate di competenze rischia di ridurre uomini e donne a essere considerati e considerarsi solo come “risorse umane”. Vi è un forte squilibrio tra una visione simile e la possibilità dell’esistere come persone. Il nostro funzionamento non dovrebbe essere un valore assoluto, ma essere al servizio del nostro esistere. Del nostro benessere e della nostra realizzazione come esseri umani, che sono molto, molto di più di quello che viene ritenuto utile. Quando questo viene a mancare, in una società dell’incertezza lavorativa e non solo, come quella in cui viviamo, il senso di sentirsi nulla è un rischio reale, che può avere conseguenze molto serie.
SV: Quale alternativa abbiamo quando ci troviamo in una situazione simile?
MB: Ricordarci della nostra molteplicità. Sforzarci di concentrarci su di noi. E pensare a ciò che siamo, oltre quello che ci definisce in termini di “saper fare”. Una persona non è la somma delle sue competenze e va oltre un inquadramento che ne valuta le performance e i risultati in senso numerico. L’esperienza di ognuno di noi non è riducibile solo a una raccolta di informazioni, dati anagrafici, fiscali e statistiche. Così come il cammino di una vita è molto di più del proprio piano di carriera professionale.