Sulla scrivania c’è un mappamondo. Non di quelli antichi, impolverati, con i paesi in rilievo che ci giocheresti per ore fino a perdere la cognizione del tempo. Un mappamondo più recente, grande, dai colori accesi, che racconta viaggi ancora da compiere più che viaggi già compiuti. Sulla parete una stampa di Steve McQueen tratta dal film «La Grande Fuga». C’è il casco che ha accompagnato una “piccola” Honda Monkey 125 da Albino a Capo Nord. E poi, nascoste solo in parte dall’onnipresente pila di carte, innumerevoli fotografie di lunghi itinerari in moto.
L’ufficio di Guido Acerbis, CEO di Acerbis Italia, è l’ufficio di chi ha fatto anche del proprio lavoro un’avventura. Un concentrato di «soul and passion», come recita il motto dell’azienda, e come sanno rivelare quelle tante maglie incorniciate di team professionistici sponsorizzati. «Acerbis nasce dalla passione. Una passione che mio padre Franco nutriva per le moto e per lo sport. Alla passione non può che unirsi l’anima: l’anima è vivere in maniera intensa quello che facciamo. L’anima dà intensità, dà concretezza e alimenta la passione».
Fondata da Franco Acerbis nel 1973 come produttrice di materiali plastici per il mondo delle moto – da parafanghi e paramani a serbatoi e fari quadrati – l’azienda bergamasca ha allargato negli anni la propria produzione anche ad altri settori industriali, come l’abbigliamento sportivo e gli accessori. Ha fatto dell’eterogeneità, della varietà, della voglia di varcare i confini, la propria forza. «In questo momento contiamo 450 collaboratori in tutto il mondo – racconta Guido – Quello che ricerchiamo sono sempre figure che completino altre figure: la disomogeneità è ciò che ci arricchisce. Vogliamo indirizzare ogni figura nella posizione giusta, perché possa esprimere le proprie caratteristiche».
Al suo cinquantesimo anno d’età, oggi Acerbis vende in 100 paesi, conta un’unità produttiva in Repubblica Ceca, oltre che ad Albino, e due unità distributive, negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ha allargato gli orizzonti, senza tuttavia dimenticare il territorio su cui è nata. Per questo l’azienda ha scelto di sostenere come technical partner (e vivere in prima persona) la Millegradini, la camminata culturale non competitiva in programma sabato 16 e domenica 17 settembre. «Il territorio sono le nostre radici. Un esempio che faccio spesso è quello per cui si dovrebbe viaggiare dal lunedì al venerdì e il sabato e la domenica tornare a casa, perché le radici non vanno mai dimenticate, sono alla base di quello che siamo. Il piacere di appartenere a un territorio ti dà anche più consapevolezza e forza per andare in altri territori. Siamo inoltre una provincia che ha e sviluppa delle capacità e degli atteggiamenti che sono vincenti. Il territorio è tutto questo. Nulla ci vieta poi di aprirci, di rivolgere lo sguardo altrove».
La mia chiacchierata con Guido Acerbis comincia qua. Dalle radici, che serve restino salde anche quando si cresce.
MM: Essere un imprenditore significa saper cogliere le novità, non avere paura di innovarsi, uscendo spesso anche dalla propria zona di comfort. Come inseguire l’innovazione senza perdere di vista la propria storia e i propri valori?
GA: È l’aspetto che ha bisogno di più cura, perché davanti all’innovazione c’è sempre il rischio di perdere di identità. È un lavoro che viene fatto nel quotidiano: un continuo aggiustamento del nostro operato per mantenere la direzione che ci siamo dati. Dietro “soul and passion” ci sono altri cinque valori, su cui ci basiamo: integrità, responsabilità, semplicità, evoluzione e squadra. L’integrità è la coerenza, la riservatezza, il rispetto delle persone. Tutti i nostri stakeholders meritano di essere trattati in maniera corretta, chiara e trasparente. Responsabilità vuol dire invece che tutto quello che facciamo viene preso sul serio: la qualità del nostro operato genera i nostri risultati. La semplicità è ciò che ci contraddistingue anche nei rapporti: dobbiamo lavorare sempre per rendere le cose semplici. Per agevolare il quotidiano, semplificare aiuta. L’evoluzione è l’innovazione, la predisposizione al cambiamento. Squadra significa infine rispettare i ruoli, riconoscere l’importanza di ognuno, condividere gli obiettivi prima di partire a svolgere un progetto, trovare soluzioni insieme e non imporle. Il lavoro di squadra, la condivisione, è alla base di tutto.
MM: Per evolvere credo occorra anche un altro valore, che ha citato più volte: la cura. Cura delle relazioni, dell’ambiente in cui si lavora, della comunicazione, della propria identità.
GA: Quando uno pensa all’innovazione, spesso pensa che sia una lampadina che si accende. No, per noi non è così. L’innovazione arriva giorno per giorno, facendo ragionamenti, lavorando insieme. Ognuno, nella sua diversità, ha delle idee. Le porta avanti finché si arriva a un punto in cui l’innovazione è lì, si vede. Non abbiamo il genio, nessuno di noi è un genio. Noi lavoriamo, e la cura e l’attenzione che mettiamo nelle cose ci fanno percepire i segnali attorno a noi. Quando razionalizziamo i segnali, allora ecco sopraggiungere l’innovazione.
MM: Quanto in lei c’è di “sognatore” e quanto occorre essere pragmatici?
GA: Serve un equilibrio, perché la parte del sogno è alla base. Se non c’è un sogno, non c’è un progetto, non c’è niente. Poi è la concretezza a farti arrivare fino in fondo, la determinazione. Il mondo si muove sulla solidità, la credibilità stessa di un’azienda è data dalla solidità delle cose e dei progetti. Ma prima viene il sogno: se non sogni non hai nessun elemento tangibile per cui fare un’innovazione. Il nostro sogno è quello di essere presenti nel mondo dello sport, inteso a 360 gradi.
MM: Non solo quindi il motorsport, non solo la squadra professionistica. Il vostro obiettivo è prendervi cura dello sportivo in quanto tale.
GA: “Sport” è una parola corta, stretta, ma dice tutto e tantissimo. Vogliamo occuparci di sport che sia “x al quadrato”, perché oggi nascono sport continuamente. L’anno scorso, ad esempio, abbiamo lanciato una collezione tutta dedicata al padel. La cosa che ci sorprende sempre è che pensiamo che gli sport siano già tutti definiti, invece ne nascono di nuovi costantemente, anche nel 2023.
MM: La riporto indietro nel tempo, a quando è entrato in azienda, all’età di vent’anni. Cosa è stato per lei lavorare accanto a suo padre? Quali sono gli insegnamenti che ancora oggi guidano il suo lavoro?
GA: Indubbiamente mio padre è il mio maestro. È il maestro di tutti quanti: tutto quello che ha fatto ci è stato trasmesso. Poi mi sento di dire che abbiamo evoluto un po’ le cose secondo la contemporaneità. Alla base c’è il suo lavoro, ci sono i suoi valori. Noi li abbiamo scritti, decriptati, ma sono quello che ci ha sempre caratterizzato. In più, la nostra famiglia ha la fortuna di andare d’accordo, perché abbiamo tutti l’amore per questa azienda, per questo marchio. Lasciamo inoltre da parte le questioni personali quando siamo al lavoro: viviamo l’azienda come un ente a sé, che va gestito e curato.
MM: Da suo padre ha ereditato anche la passione per la moto.
GA: Nutro una grande passione per i motori, per lo sport in generale. La stessa passione che mi e ci dà la forza di venire qua e di fare sempre meglio. Senza passione non lavorerei così. Non avrei la stessa determinazione.
MM: Nel 2007 ha concluso la Sei Giorni Internazionale di Enduro in Cile in squadra con l’amico Gio Sala. Che esperienza è stata?
GA: Mi sono divertito tantissimo. Ho sempre guidato la moto, fin da bambino. Ma queste esperienze internazionali, come il Cile, lasciano il segno. La partenza è stata emozionante. Essere un italiano all’estero, in Cile, mi ha dato grande soddisfazione, accanto al piacere di correre in un luogo che non avevo mai visto. Ricordo la prima prova speciale. Ero su una spiaggia, mi sono detto: «Ma io sono in paradiso». Non mi era mai capitato di correre su una spiaggia…
MM: Ma da bambino sognava di fare il motociclista? Oppure si vedeva già in azienda?
GA: Mi piacciono le moto, mi piace correre, ma ho amato sempre tantissimo l’azienda. C’è un aneddoto, in particolare, che forse casualmente ha fatto scattare questo amore. Acerbis nasce sotto casa mia, nel centro del paese. Ero un bambino: ricordo i macchinari, i rumori notturni, che per qualcuno potevano essere fastidiosi, ma in me sortivano l’effetto di una ninnananna. Ricordo che l’azienda dopo cinque o sei anni si è trasferita in un luogo più adeguato, in uno stabilimento più grande. Quei rumori di fondo mi mancavano tantissimo: era la musica che mi faceva addormentare. Di quei giorni ho un ricordo vivissimo: ero spaesato, era cambiato tutto, non riuscivo a dormire. Credo che quel momento di distacco mi abbia fatto capire quando fossi affezionato all’azienda. Correre in moto mi piace, ma alla fine la mia vera vocazione è l’azienda: in quel momento mi è mancata e quel distacco probabilmente ha scatenato in me tutta l’affezione che nutro ancora oggi.
MM: Da bambino, sognava anche di entrare nel Guinness dei Primati. Il progetto AC50 lo ha permesso: avete costruito infatti il più grande serbatoio moto del mondo, un serbatoio da 108 litri che ha permesso alla vostra special Honda Monkey 125 a quattro tempi di coprire la distanza da Albino a Capo Nord con un solo pieno di carburante.
GA: Volevamo fare qualcosa per il cinquantenario dell’azienda e abbiamo immaginato di costruire il serbatoio da benzina più grande al mondo per un motociclo. Ma non ci siamo fermati qua: volevamo arricchire questo record di passione, di avventura. Da lì è nata l’idea di raggiungere Capo Nord, una meta classica per un motociclista europeo. Abbiamo allestito un team di persone che ha lavorato sia sugli aspetti tecnici, su come e chi dovesse guidare il mezzo, sia sull’impostazione del percorso. Ho seguito il viaggio passo dopo passo, senza guidare la moto, ma accompagnandone i piloti. È stato un viaggio impegnativo. Si viaggiava circa sedici, diciassette ore al giorno, ma non ho patito la stanchezza: mi sono divertito vedendo un gruppo di persone affiatate e tese verso un obiettivo, persone che hanno fatto il massimo per l’azienda e per questa impresa. Come tanti, da piccolo leggevo il libro dei Guinness World Records. E quando siamo arrivati a Capo Nord sono tornato bambino. Ricordo il vento, il freddo, tutte quelle cose che è giusto succedano in un’avventura. La commozione, il desiderio e la soddisfazione di aver fatto qualcosa che non era mai stato fatto prima.
MM Dalla nascita di Acerbis, sono passati 50 anni. Se dovesse guardare avanti, verso i prossimi cinquanta, cosa vede?
GA: La passione. E la capacità di modificarci continuamente per essere contemporanei anche fra cinquant’anni.