“Osservare le dinamiche macroscopiche del filantrocapitalismo aiuta anche a capire cos’è successo qui in provincia di Bergamo, ad Alzano, a marzo”: è un riferimento celato, quello di Nicoletta Dentico durante l’intervista per Eppen, ma si spiega da sé. La situazione di cui parla è quella, indagata in modo esaustivo dal New York Times in un articolo di pochi giorni fa, che ha portato la provincia di Bergamo a perdere giorni preziosi prima di annunciare il primo lockdown, trasformando i primi contagi da coronavirus nella tragedia che tutti conosciamo. Le pressioni delle lobby imprenditoriali bergamasche perché non si chiudessero le fabbriche sono un buon esempio di “microcosmo che riproduce le dinamiche del macrocosmo”, quello della politica che subisce interferenze private.
A livello globale, le dinamiche sono più complesse. Nicoletta Dentico le ha analizzate nel suo libro “Ricchi e buoni? Il volto oscuro della filantropia globale”, che presenterà a Molte fedi sotto lo stesso cielo, in diretta streaming alle 20.45 di lunedì 7 dicembre. L’incontro includerà un messaggio di Vandana Shiva e svelerà i meccanismi, poco conosciuti – sebbene operanti spesso in piena luce – del filantrocapitalismo.
“Filantrocapitalismo”: per definire l’oggetto di studio, Dentico usa un termine diverso da quello, ben noto, di “filantropia”, l’“amore per l’umanità”, meccanismo ricorrente nella nostra storia. Il filantrocapitalismo, invece, è “una forma organizzata della solidarietà che prende i modelli del mercato e li attacca all’idea della beneficenza”, spiega Dentico. È dono, sì, ma tutt’altro che disinteressato. È uno strumento nelle mani dei più ricchi imprenditori per la “prosecuzione del proprio business attraverso altri mezzi”, meno trasparenti, più subdoli.
Per capire come funziona, afferma Dentico, “dovremmo innanzitutto chiederci com’è che questa gente è diventata così stratosfericamente ricca: molta di questa ricchezza ha a che fare con l’elusione o l’evasione fiscale vera e propria e con abusi delle proprie posizioni di dominio nel mercato”. Parliamo di quella fetta della popolazione mondiale che, secondo i dati Oxfam relativi al 2019, costituisce l’1% più ricco sotto il profilo patrimoniale e che detiene più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone.
Il problema principale nasce dal fatto che “diventate ricche, queste persone usano le leve della globalizzazione per incidere sulle regole della politica mondiale”. Puntano le aree deboli della governance globale, delle Nazioni Unite, per penetrarle lentamente e stabilirsi in posizioni di potere.
Ricostruisce Dentico: “Vent’anni fa, con la Conferenza di Seattle, la globalizzazione economica e finanziaria trovava una prosecuzione nella società civile, che chiedeva una globalizzazione dei diritti”. È qui che interviene la filantropia: “con il Global Compact, gli attori economici, le grandi multinazionali, possono entrare nella struttura delle Nazioni Unite e partecipare ai processi politici e alle consultazioni”.
Il multilateralismo si trasforma nel multistakeholderismo, in cui “il conflitto di interessi non viene assolutamente messo in campo” e possono presentarsi occasioni che vedono “una multinazionale del cibo discutere sulle politiche del cibo”. Per i grandi imprenditori questo significa un maggiore controllo nel settore economico, ma si tratta anche di una nuova cultura politica.
Dentico sostiene che la politica non abbia più consapevolezza di sé: l’azione dei filantrocapitalisti “contribuisce in maniera inesorabile alla privatizzazione dei diritti e dell’agenda politica. I filantrocapitalisti sono tutti monopolisti nei loro settori di riferimento”, spiega. Sono abituati all’esercizio incontrastato del proprio potere economico e finanziario, all’interno di un modello di sviluppo “fondato su una sola regola: l’assenza di regole”.
Facciamo qualche nome. Non si può parlare di filantropia globale senza nominare l’ur-filantropo, Bill Gates. Attore imprescindibile nel settore sanitario, con la sua Fondazione “è stato primo finanziatore in assoluto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2013, è tornato ad esserlo nel 2015 e lo è di nuovo quest’anno dopo che Trump ha congelato i finanziamenti degli Stati Uniti”.
E non si può parlare di Gates senza fare accenno alla questione del vaccino anti covid-19. Nel 2015, ricorda Dentico, “Gates aveva annunciato che la grande ondata virale ci sarebbe stata” e aveva fatto di tutto per informare la comunità internazionale. “Non lo hanno ascoltato, ma lui non si è fatto trovare impreparato: ha costruito una rete di investimenti nel settore farmaceutico, soprattutto in quelle piccole realtà del settore biotech che oggi sono al cuore dell’innovazione per il vaccino contro covid-19”.
Il maggiore risultato, in termini di riconoscimento internazionale, gli giunge però da un’iniziativa concepita in seno alla sua Fondazione, l’ACT-Accelerator. “È l’unica cooperazione internazionale esistente in materia di covid-19”, spiega Dentico, “e la Fondazione Gates compare tra i suoi promotori, alla stregua di un’organizzazione multilaterale, al pari cioè di OMS, Banca mondiale e Commissione europea”.
Di certo, Gates non è solo. Al suo fianco, tra i filantrocapitalisti, troviamo per esempio Ted Turner, fondatore della CNN e presidente della Fondazione delle Nazioni Unite, che oggi “si ritrova dentro il Palazzo di vetro e dentro lo staff del segretario generale dell’ONU: controllerà l’appannaggio dei dati sull’implementazione dell’agenda sullo sviluppo sostenibile”. Oppure Mark Zuckerberg, che “attraverso la sua iniziativa di digitalizzazione nei quartieri più marginalizzati degli Stati Uniti, sta acquisendo dati sui poveri su cui i poveri stessi non avranno diritto di utilizzo”.
Alla base c’è un modello di sviluppo che produce disuguaglianze: da un lato, “giganti imprenditoriali”; dall’altro, “il deserto, miseria e impoverimento. Questa disuguaglianza, che nasce dalla divaricazione nell’accesso alle ricchezze, diventa disuguaglianza di opportunità, disuguaglianza sociale, disuguaglianza di generazioni, disuguaglianza di genere, disuguaglianza che dipende da dove vivi, se nelle città o nelle zone marginali”.
È in questo contesto, in cui povertà è “impossibilità di autodeterminazione” e “impoverimento delle possibilità di scelta”, che “si muovono gli uomini ricchi, pensando di dovere e potere risolvere i problemi della desertificazione che in parte hanno contribuito a produrre”, riassume Dentico. La buona notizia è che “tutto sommato, il filantrocapitalismo ha una storia breve”: nella forma attuale, non ha più di 25 anni. È ancora un fenomeno ribaltabile.
“Bisogna prima di tutto sapere che esiste: bisogna disambiguarlo, scrostare le sue ipocrisie”, sostiene Dentico. “A noi cittadini”, prosegue, “spetta un esercizio di coscienza e di conoscenza, ma soprattutto di domanda politica: chiedendo alla politica di cambiare rotta, sia a livello italiano che europeo, ma anche globale, possiamo avviare un processo di reversibilità”.
Il primo passo è ambizioso, ma, secondo Dentico, assolutamente necessario: fermare la libera circolazione dei capitali. “Il fatto che i capitali possano muoversi liberamente, senza freno, da una parte all’altra del mondo, senza che nessuno li possa controllare”, spiega, “toglie terreno a qualunque forma di politica, che diventa sempre più debole e condannata all’inazione”.
È tutto nelle nostre mani. Conclude Dentico: “La Storia va oltre noi, oltre la nefandezza di quello che vediamo in questo momento. Il mio libro è un urlo di disperazione, ma è anche una speranza. La storia non finisce qua. Sta a noi costruirla da capo”.