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Eroico è partire, ma lo è ancora di più restare. San Antonio del Sur, 25 anni di missione

Articolo. Lo scorso anno ho riaccompagnato Padre Luigi Manenti nella sua missione a San Antonio del Sur a Guantanamo, Cuba. Lui è stato il primo, con Padre Mario Maffi, ad aprirla e a viverla. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, con una resistenza stoica alle provocazioni della propaganda di partito. Avevo scritto questo report per il bollettino di Oltre il Colle, il paese da cui Padre Luigi viene. Ora che si festeggiano i 25 anni della missione lo ripropongo a integrazione dei ricordi istituzionali, per dare il sapore di un vissuto religioso e umano di un’intensità profondissima

Lettura 9 min.
Padre Luis con una famiglia di San Antonio

Rispetto a un anno fa la situazione è peggiorata e molti dei ragazzi di San Antonio che avevo incontrato ancora lo scorso anno sono partiti. Qualcuno è in Spagna, uno di loro è qui a Bergamo, uno è in Messico al confine con gli Stati Uniti da più di sei mesi ad attendere un passaggio qualsiasi, altri hanno già superato il confine. Li sentiamo spesso, non li perdiamo, perché dalla missione nasce anche l’amicizia.

Con Padre Luigi Manenti nel 2023

Dove sono andati tutti?

In effetti c’è silenzio la sera a San Antonio del Sur. Nemmeno una musica che viene da lontano. Se ne sono andati. È accaduto tutto negli ultimi anni. Nel 2022, circa 250.000 cubani, più del 2% della popolazione, sono emigrati negli Stati Uniti. Non era mai successo con questi numeri. Nel 1980, 125.000 persone abbandonarono il Paese durante il cosiddetto esodo di Mariel, mentre nel 1994 furono circa 35.000 i cubani che lasciarono l’isola a bordo di zattere di fortuna sfidando le onde e gli squali. Questi due fenomeni durarono però un annetto, mentre l’attuale flusso migratorio non si sta arrestando.

Stanno partendo soprattutto i cubani più giovani e in età lavorativa e questo apre le porte a un futuro demografico in cui gli anziani saranno la parte più numerosa della popolazione cubana che già conta una delle popolazioni più longeve.

Se inventan

I giovani che restano vanno ad alimentare il fenomeno dei “neet”, ragazzi che non studiano e non lavorano. Certo, non si chiudono in camera attaccati alla playstation, se non altro perché la corrente manca parecchie ore al giorno e il computer non ce l’hanno. Di loro si dice che “si inventano” qualcosa da fare per guadagnare qualcosa.

Peggio del periodo Especial

Nel 2022 ha preso avvio il regime di riforma monetaria che ha eliminato la moneta turistica lasciando un’unica moneta nazionale. Obiettivo era eliminare le diseguaglianze tra cubani e stranieri, il risultato sono le file ai bancomat e le speculazioni sul mercato nero.

Oggi 1 euro costa nel mercato informale 330 pesos cubani al mercato nero (la banca paga decisamente meno). Ma quanto costa la merce? 1 libbra di pollo (0,454 kg) costa 380 pesos, 1 libbra di zucchero 300 pesos, 1 libbra di riso 300 pesos, 30 uova 4.000 pesos, 1 libbra di fagioli 350 pesos. Un paio di scarpe non di marca può costare anche 10-15.000 pesos mentre un paio di pantaloni 5000 pesos.

Il salario minimo di un dipendente statale è di 1500 pesos, quello di un medico (che è il più pagato) è di 5000 pesos. Come dice il cubano medio, «chi lavora con lo Stato deve pensare bene a come spendere il suo stipendio».

Hoy no hay

Per compensare la mancanza di denaro circolante sono state autorizzate le Mipimes (piccole e medie imprese). Conseguenza necessaria della loro apertura dovrebbe essere un aumento del denaro circolante e del denaro depositato in banca. Però nessuno deposita più nulla in banca perché non si può riscuotere e ci sono file infinite fuori dalla banca per quando arriva, di tanto in tanto, della liquidità.

Mipime vuol dire che chiunque può aprire la porta di casa trasformandola in negozio vendendo qualsiasi cosa. Quello che hai in casa, quello che ti manda qualche parente dagli Stati Uniti o dal Nicaragua sperando che qualcuno compri. Nessuno studio di marketing per scegliere la merce (quel che c’è, spesso merce inutile), nessun sistema di credito alle spalle: non puoi chiedere un prestito e nemmeno depositare in banca il ricavo perché la banca non rilascia “effectivo” (ovvero il “contante”).

No es facil

Ufficialmente il 40 % del terreno di Cuba è definito «ozioso. La canna da zucchero, immagine iconica della penisola, resta sempre più bassa perché manca il fertilizzante».

Alcuni amici della missione coltivano eroicamente frumento sperando che qualche volta arrivi dell’acqua per irrigare. Altri coltivano banani sul letto del fiume con levatacce alle cinque del mattino per tener pulite le piante e lasciar lo spazio giusto ai caschi di banane, che sono preziosissimi visto il valore che hanno raggiunto sul mercato, almeno finché lo Stato non li ritira ad un prezzo politico per redistribuirli con la libreta nacional. Questi ragazzi hanno la pelle bruciata dal sole e faticano come bestie da soma. La loro frase tipica è: «No es facil ma es asì».

Il rientro a San Antonio del Sur

Questo comune fa parte della provincia di Guantanamo, ad Oriente di Cuba (la parte più desertica e più povera dell’isola) e si estende su un’area di 585 kmq (un poco più di un quinto della provincia di Bergamo). Comincia con la frazione Acqueducto e arriva a quella di Macambo al confine con Imias, parrocchia saldamente nelle mani di Padre Mario Maffi.

Judailer e Aramita attendono Padre Luis da chissà che ora. E lui attende (da quando è partito da qui) di tornare protagonista della sua vocazione. Sarebbe bello poter raccontare della banda del paese che lo accoglie e del tappeto rosso steso per lui. Ma la vita non è un sogno e a volte ad averla vinta sono le vergini stolte della parabola del Vangelo che prendono il sopravvento su quelle prudenti.

Qualcosa scricchiola. Aperta la porta di casa vediamo che la cioccolata spedita a settembre dello scorso anno è rimasta in casa, quindi non c’è stata la possibilità di distribuirla. Il prezzo del pane è salito alle stelle e non ce n’è. La cisterna sul tetto che porta l’acqua in casa non è stata riempita. Il calcare occlude i buchi del doccino e dei rubinetti. I due custodi si sono ammalati.

C’è calcare sui tubi, ma soprattutto nei cuori. Dopo un anno e due mesi di assenza forzata è normale. La comunità non è una macchina che funziona a prescindere dal carburante. E Padre Luis, che è un carburante facilmente infiammabile, risulta decisamente insostituibile per far muovere un motore abituato a una certa potenza.

Il tempo non si è fermato senza Padre Luis. È accaduta la vita e anche la morte, sono partiti in tanti da San Antonio. Quello che è mancato però, nel sentire comune, è stato il custode di colui che accoglie speranze e pene.

Nella messa di benvenuto in cui a distanza di una settimana Padre Luis è stato salutato ufficialmente, ha detto: «Sono tornato perché ho bisogno della mia famiglia, della mia comunità. Che non è più bella o più buona di un’altra in un’altra parte del mondo. Però è la comunità che mi è stata affidata e a cui ho affidato la mia vita».

Ventiquattro anni della parrocchia di San Antonio del Sur

Per descrivere cosa è questa parrocchia parto da concetto che “c’è un fuori” e “c’è un dentro” la parrocchia di Padre Luis in San Antonio del Sur.

Dentro ci sono le piastrelle in terracotta. C’è il pavimento, le piante ornamentali e la pianta di noci. Ci sono i bagni puliti, i materassi, un magazzino dove amici hanno spedito le fatiche e l’affetto per la famiglia del loro amico Luis. Dentro c’è un calciobalilla nuovo, un tavolo da ping pong, un microfono e una sala computer. La mensa con uno spazio cucina e il sorriso di Aramita con la sua cucina magica che rende qualsiasi piatto gustoso. Dentro c’è il gioco delle carte e un frigorifero con l’acqua fredda per chi viene da lontano e vuole dissetarsi.

Dentro c’è la casa di Dio e un lumicino sempre acceso dove lui abita. C’è un orecchio che ascolta, accoglie e perdona e c’è una mano che aiuta. Dentro, nella cucina dove mangia il Padre, c’è un muro con i segni dell’altezza dei bambini che sono cresciuti e che crescono tra queste mura.

Fuori c’è San Antonio con le sue scritte militanti, le sue file davanti ai negozi vuoti e alle banche vuote. Fuori ci sono bar senza bibite e pasticcerie chiuse. Fuori c’è una casa della cultura senza cultura, una mostra senza opere esposte, un museo in cui non cambia mai nulla.

Fuori c’è San Antonio che aspetta l’autobus, un camion, un cavallo o un passaggio qualunque per qualunque posto e un ospedale dove per un’operazione chirurgica bisogna portare garze, anestetico, ago e filo oltre a una cassetta di pomodori e una di patate.

Fuori c’è un’ingegnera in agraria che ha la stessa età della missione di San Antonio e che punta a partire per qualche missione all’estero e per ora alleva qualche maiale per conto terzi. Fuori c’è un apicoltore che è caduto da cavallo mentre andava al lavoro e per arrivare al Pronto Soccorso con la spalla e la testa rotta ha impiegato un giorno intero perché non c’erano trasporti. Più un altro giorno per monitorare la testa e un altro per sistemare il braccio fratturato in tre punti.

Cosa fanno i missionari a Cuba?

Gli altri non lo so. Padre Luis e Padre Mario restano. E sono qui fermi da 24 anni. Ascoltano le persone che a volte sono matte davvero con la loro disperazione senza logica e il sincretismo culturale e religioso.

Bastano un caffè, un bicchiere d’acqua, una saponetta e si tranquillizzano. Più lo sforzo per arrivare alla casa del Padre è stato grande e più la fede che si percepisce è forte. Poi c’è chi passa da professionista per sistemare il condizionatore, il frigorifero rotto, il tubo. Anche per loro non è un lavoro come un altro quello che fanno per il Padre. Ma non lo diranno mai.

Dopo una settimana

In una settimana la cucina di Padre Luis è diventata un magazzino di frutta e caffè. Entra ed esce merce che viene dirottata verso chi non può permettersi nemmeno quella. Aramita conosce dal profumo e dalla dimensione la frutta che viene da Puriales, da Lo Cacaos, da Mamellales. E sempre lei conosce chi ha bisogno di cosa. Aramita è madrina di battesimo di almeno trenta persone. È lei il braccio operativo del Padre.

Quando Padre Luis è stato in Italia per la leucemia (qualche anno fa), lei ha continuato a preparare a suo nome la merenda per 250 ragazzi ogni giorno. Un giorno dava il pane con la maionese, un altro con la marmellata, un altro con il cioccolato o con il prosciutto. Lei curava il corpo, Padre Mario lo spirito dei parrocchiani con la Messa domenicale.

Ora non è più compito suo quello della merenda, ma delle suore. Eppure ancora oggi, che il pane non si trova, inventa, almeno per un giorno alla settimana, qualche cosa da mangiare per gli anziani del paese. Non ha mai smesso. Tornando alla parabola delle vergini prudenti che attendono lo sposo, penso a lei.

Come è iniziata la missione?

Si portava un’immagine del Sacro Cuore di Gesù o della Madonna in alcune case. Chi si riconosceva in quelle immagini ci chiedeva di parlare un po’. Qualcuno aveva conservato nascoste delle immagini simili da prima della rivoluzione del 1959 e l’ha ritrovata.

La prima comunità domestica è stata aperta ad Alto del Ramon. Cinque fratelli avevano invitato Padre Luis per il compleanno del loro papà. Gli hanno offerto del rum. Quando lui lo ha bevuto tutto di un fiato, il figlio maggiore gli ha detto «Questa è casa sua. Iniziamo a pregare». Era il 1999.

Prima che arrivassero Padre Luis e Padre Mario, mi raccontano quello che successe nel paese di San Antonio dopo la visita a Cuba di Giovanni Paolo II. Alcune persone cominciarono a parlarsi di un bisogno di stare insieme a pregare, una cosa che non si faceva da quarant’anni. «Cominciammo a trovarci clandestinamente in quella che fu la prima casa abitata dai due missionari. Avevamo paura e ci chiudevamo dentro in due, poi in tre, poi in quattro e poi è arrivato Padre Luis. Mai avremmo immaginato il dono di un sacerdote italiano fra di noi. Ora non abbiamo più paura».

Il vescovo di Guantanamo Baracoa di quegli anni 2000 era l’esuberante monsignor Carlos Baladron. Al momento dell’incarico a Padre Luis e Padre Mario ha chiesto loro: «Siete disposti a stare qui per moltissimi anni?». Era una domanda non compresa tra quelle del diritto canonico.

«Si Dios quiere» ha risposto Padre Mario. «Y se la patientia me lo permite» ha aggiunto Padre Luis.

Così è stato.

Le motivazioni che hanno messo a dura prova la pazienza dei due missionari sono molteplici. Non possiamo elencarle tutte. Basti citare le difficoltà burocratiche di avere una casa e un tetto per la chiesa.

Dopo aver trascorso i primi tempi in una casa frutto di una donazione testamentaria alla chiesa di Guantanamo di un defunto, i due sacerdoti sono stati sfrattati a causa di un testamento successivo che avrebbe rivisto la volontà precedentemente espressa.

Trovata una seconda casa con la medesima modalità del testamento, è ricominciata la ristrutturazione che, una volta terminata, ha visto un nuovo testamento che richiedeva la riconsegna. Con la minaccia di dormire e cucinare per strada, è stato concesso un terreno per la costruzione della missione attuale. Una casa a due piani con un tetto per la chiesa.

Eroico è partire, ma lo è ancora di più restare. Questa è la missione di San Antonio del Sur dopo 24 anni.

Stavamo bene e non lo sapevamo

Chiudo con una tra le frasi frequenti di questo viaggio, oltre a quelle citate, c’è questa: «Stavamo bene e non lo sapevamo». Mah! Faccio un esempio. Fino a 10 anni fa i festival di Natale e di Pasqua erano l’appuntamento tra tutte le comunità domestiche presenti nella parrocchia di San Antonio. Oggi i trasporti sono diventati molto più complicati perché non si trova il carburante e quindi ogni zona celebra le sue ritualità. Non ci si incontra più tutti.

La memoria delle grandi feste tutti insieme è ancora presente in chi ha seguito lo sviluppo della parrocchia e ora ne ricorda la dimensione festosa. Ora sembra che i tempi fossero migliori e forse lo erano.

Ricordo, però, e me le confermano alcuni pionieri delle comunità della montagna, i timori che le comunità domestiche hanno vissuto. Ci volle davvero tanto coraggio per portare per le vie di San Antonio la Virgen del Cobre. La sanzione era, ma forse lo è ancora (anche se oggi c’è molto meno da perdere), la perdita di prestigio sul lavoro, le penalizzazioni a fronte di premi periodici dello stato, la minaccia di carcerazione. Adesso a fermare la Madonna non è più la paura, ma è la mancanza di benzina.

Almeno questo stop per una volta non è confessionale visto che ha fermato anche la storica manifestazione nazionale del primo maggio che non si è tenuta per mancanza di carburante. O per la mancanza di cubani che avevano voglia di festeggiare il lavoro che non c’è.

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