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Dall’Oscar di «CODA» alla LIS, la comunicazione di chi non sente (ma parla eccome)

Intervista. C’è chi utilizza la lingua dei segni italiana, chi si esprime oralmente, chi fa entrambe le cose ed è per questo “bilingue”. Quello della sordità è un mondo da affrontare con delicatezza, senza pregiudizi. Lo spiega la dottoressa Sara Facheris, pedagogista, segretaria e collaboratrice dei progetti scolastici dell’Ente Nazionale Sordi – Bergamo

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Una parte del pubblico lo ha acclamato ruotando in alto le mani. Per il suo ruolo in «CODA» – film vincitore di tre Oscar disponibile su Sky Troy Kotsur è stato il primo attore sordo a ricevere un Academy Award. Tra le lacrime, ha utilizzato la lingua dei segni americana (ASL) per rivolgere un pensiero al regista del film, Sian Heder: «Di recente ho letto un libro di Steven Spielberg, che sostiene che la definizione migliore per un regista sia “un esperto comunicatore”. Sian Heder, sei il miglior comunicatore di sempre, e la ragione per cui lo sei è che hai messo insieme il mondo sordo e quello non sordo. Sei il nostro ponte, e il tuo nome resterà sempre su quel ponte».

In questo articolo, non mi soffermerò sul contenuto del film, la storia di Ruby, ragazza diciassettenne con la passione del canto, unica udente in una famiglia di persone sorde. Non l’ho amato particolarmente, forse per la sua sovrabbondanza di sentimentalismo o per le sue dinamiche da teen drama. Quello su cui voglio soffermarmi è quel “ponte” tra il mondo sordo e quello non sordo che «CODA» mi ha dato modo di conoscere e che persone come Sara Facheris – bergamasca, 26 anni – ogni giorno costruiscono.

Laureata in Scienze dell’Educazione nel 2018 e poi in Scienze Pedagogiche nel 2020, la dottoressa Facheris si è specializzata nel mondo della sordità e in particolare nella LIS, la Lingua dei Segni Italiana. «In università, ho sempre amato seguire i percorsi di Pedagogia Speciale, quindi tutto ciò che riguarda la disabilità. Mi sono focalizzata sulle disabilità sensoriali e interessata quindi alla sordità», racconta. «Conoscere la LIS con una persona sorda, se la conosce, ti apre un ponte di comunicazione enorme. È una lingua vera e propria: il punto cruciale della disabilità uditiva è la comunicazione, e penso che, se ognuno di noi ci mettesse del proprio, il divario tra un udente e non si potrebbe affievolire».

Sara Facheris lavora attualmente all’interno dell’Ente Nazionale Sordi (ENS) di Bergamo come segretaria e coordinatrice dei progetti scolastici. Pedagogista, propone spesso all’Ente dei laboratori, che consentono ai bambini di «sperimentare loro stessi facendo pratica, con materiali e situazioni diverse, usando sensi diversi dall’udito». Accanto al lavoro per l’ENS, la Dottoressa coltiva alcune collaborazioni esterne. «Se c’è una scuola o un privato che chiede queste attività, io sono disponibile. Mi sono anche specializzata nel metodo MA.VI, un metodo che consente alla persona di approcciarsi alla scrittura e alla lettura in un modo diverso da quello canonico, lavorando sul testo stesso, che sia di prosa oppure una favola».

MM: Comincio da qua, dalle scuole. Com’è la realtà scolastica italiana per gli alunni sordi?

SF: Domanda complessa. Prima i bambini sordi andavano tutti in una classe differenziata, adesso (meno male!) i tempi sono cambiati e i bambini stanno tutti nella stessa classe. In ogni scuola si adottano metodologie differenti: in alcune aule, si cerca di far stare il bambino sordo nelle prime file perché magari è più concentrato e riesce a leggere il labiale. Ci sono però alcuni bambini sordi che stanno tranquillamente in fondo. Di sicuro, la figura dell’assistente alla comunicazione aiuta, perché fa da ponte tra il bambino sordo e l’insegnante e tra il bambino e i suoi coetanei. Personalmente, dovevo già iniziare a formarmi come assistente alla comunicazione l’anno scorso, ma per via del Covid il corso è stato posticipato. Credo molto però in questo tipo di figura, come credo nella figura dell’interprete, essenziale in un museo per godere di una mostra.

MM: La interrompo subito per chiarirmi un dubbio. Continua ad utilizzare il termine «sordo». È preferibile usare il termine «sordi» rispetto a non udenti? O sordomuti?

SF: La terminologia corretta è «sordo». Molte volte si pensa che il termine «sordo» sia offensivo. Non lo è: dire «sordomuto» è offensivo, perché le corde vocali di un sordo non sono compromesse, non c’è mutismo. Il fatto che alcune persone non parlino è perché hanno scelto di fare un percorso di educazione diverso: magari non sono andati dal logopedista, non hanno fatto un percorso logopedico di approccio alla lingua orale. Ma comunicano in altro modo. Ci sono sordi che “segnano”, usano quindi la LIS. Ci sono sordi che parlano, usano la lingua orale e non sanno “segnare”. Ci sono sordi che sanno segnare e parlare, e quindi sono “bilingui”.

MM: Come si struttura la Lingua dei Segni Italiana?

SF: C’è tutto un mondo da scoprire. La struttura base è “soggetto oggetto verbo”. Il verbo va alla fine come nel tedesco. Poi, ad esempio, gli articoli e le preposizioni non ci sono.

MM: Non tutti sanno che la Lingua dei Segni non è universale, ma ne esistono diverse… un francese o un indiano capirebbero la LIS?

SF: Io conosco la LIS, non saprei quindi dirti nulla sulle altre. Esistono comunque delle differenze, come ce ne sono nella lingua orale. È come se andassi in Francia. Magari riuscirei a comunicare, posso andare a logica, ma le parole sono diverse. È lo stesso meccanismo. All’interno della Lingua dei Segni Italiana è importante anche dire che i segni cambiano sia nel tempo che rispetto alla zona geografica. Io abito a Bergamo: alcuni segni a Bergamo sono diversi dai segni di Milano, o quelli della Lombardia rispetto alla Sicilia. È un po’ come i dialetti: io sono italiano, ma conosco il bergamasco…

MM: I genitori di un bambino sordo conoscono la Lingua dei Segni Italiana o si affidano a un interprete? Da quanto ha visto, com’è questa dinamica?

SF: Ho visto di tutto. Ci sono genitori che non accettano la sordità del figlio. Il sostegno dei genitori è importante e spesso occorre far capire loro che si può cercare una soluzione alle difficoltà. Ho visto invece genitori che da subito si sono interessati alla LIS, l’hanno imparata… Poi dipende sempre se il genitore è sordo oppure udente. Se c’è il genitore sordo, sa spesso come approcciarsi al figlio. Un genitore udente con figlio sordo può avere difficoltà che è bene saper come gestire. Per questo, credo che le consulenze siano importanti, anche per capire che tipo di possibilità e che strumenti si hanno. Come pedagogista, attuo consulenze pedagogiche: se ci sono genitori che hanno difficoltà perché magari non si sono mai approcciati alla sordità, fornisco loro il mio appoggio. Poi il genitore decide liberamente come fare. Ma almeno sa, conosce. La conoscenza è la base, così che si possa agire di conseguenza.

MM: Il lavoro di sensibilizzazione è quindi molto importante…

SF: Esatto. Recentemente, ho aperto una pagina Instagram e una pagina Facebook dove cerco di diffondere alcune conoscenze sulla Lingua dei Segni Italiana e sulla cultura sorda… questo perché molte volte, se una persona udente incontra una sorda, adotta un approccio sbagliato. Basterebbe conoscere un po’ questo mondo per comportarsi nel modo corretto.

MM: L’Italia è stata l’ultima tra i paesi europei ad aver riconosciuto la propria Lingua dei Segni... un riconoscimento che è arrivato solo un anno fa. Come mai questo ritardo?

SF: Quello che conta è che ci siamo arrivati. Vorrei puntare l’attenzione sul traguardo, rendendoci conto che ci è voluto molto tempo ma ce l’abbiamo fatta. Ora, a livello politico, ma non solo, dobbiamo far sì che la Lingua dei Segni sia inclusa realmente nella nostra quotidianità. Anche a scuola, perché non fare delle “pillole di LIS”? Potrebbero aiutare all’inclusione, essendo la LIS una lingua vera e propria. I bambini poi sono come spugne: imparano, si divertono e scoprono cose nuove.

MM: C’è un aneddoto relativo al suo lavoro con i bambini che ci vuole raccontare?

SF: I bambini sono curiosi, in un modo che ci sorprende e ci insegna anche molte cose. Una mamma mi raccontava di suo figlio sordo, ad esempio, e mi diceva che sua sorella udente non ha mai chiesto il perché fosse così. Qua si vede l’innocenza dei bambini, il voler bene: nonostante magari ci sia qualcosa di diverso da me, lo accetto per quello che è. Anche io, come professionista, mi rendo conto di come un bambino si approccia in modo diverso a questa difficoltà, mentre gli adulti spesso sono più imbarazzati, non sanno come comunicare…

MM: Ha dei progetti in cantiere?

SF: L’idea dell’ENS di Bergamo è di includere più bambini e persone possibili. Infatti, il prossimo laboratorio che vorrei organizzare sarà aperto sia ai sordi che ai bambini udenti, e spero che pian piano riusciremo a far conoscere ancora di più questa realtà. Dal canto mio, sto cercando uno spazio che mi consenta di fare qualcosa nel periodo estivo dove mettere in atto questo approccio inclusivo, magari giocando o facendo arte… Seguo attualmente dei bambini come educatrice a domicilio costruendo un “percorso su misura” per ogni bambino, sulla base delle difficoltà di ciascuno. Il mio obiettivo è quello di aprire uno studio mio e magari diventare un punto di riferimento sia per bambini sordi che per bambini udenti che hanno altri disturbi dell’apprendimento.

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