Il termine intersezionalità, coniato nel 1989 dalla femminista e giurista Kimberlé Williams Crenshaw, identifica l’interconnessione tra l’identità di genere, di etnia e di classe. L’analisi sottolinea come il nostro sistema sociale favorisca le diseguaglianze portando a considerare le identità in quanto singole, con il risultato di sottovalutare o ignorare le discriminazioni interconnesse.
La ricerca dell’intersezionalità introduce infinite, ed altrettanto legittime, realtà sociali. Il femminismo intersezionale può essere definito un’unione delle lotte dove, più nello specifico, la battaglia al sistema patriarcale – ed alle derivanti manifestazioni – si lega ad ogni altro movimento in difesa dei diritti. Françoise Vergès, nel suo saggio “Un femminismo decoloniale” sostiene non possa esistere femminismo “senza interesse alla questione ambientale, allo sfruttamento, alla vulnerabilità di classe ed al razzismo; che non agisca in modo condiviso con altri movimenti a favore della decostruzione dell’attuale sistema”.
Lo scorso febbraio, Legambiente Bergamo, ha organizzato “L’ecofemminismo nel mondo”, una serie di incontri in collaborazione con l’associazione Donne per Bergamo-Bergamo per le Donne, l’associazione Politeia-Laboratorio Donne e Politica e il gruppo La città delle Mille con il patrocinio del Comune di Bergamo, volti a sensibilizzare sul tema dell’ecofemminismo, fornendo strumenti di analisi e dibattito. La forza motrice e organizzativa è Luisa Carminati Cremaschi, femminista ed attivista, laureata in Scienze della formazione e componente di diverse associazioni e organismi istituzionali.
CD: Qual è il tuo percorso politico? Come ti sei avvicinata al pensiero ecofemminista?
LC: Ho avuto la fortuna di incontrare il femminismo degli anni ’70, ha significato iniziare un percorso politico che mi accompagna tutt’oggi. Un pensiero nuovo, ricco, molteplice, che mi dava la libertà di riflettere, cercare, agire su ciò che mi stava attorno con uno sguardo “altro”, di donna. Anche l’interesse nei confronti dell’ecologia è cresciuto nel tempo, a partire dai fatti di Chernobyl, di Seveso, dai testi di Laura Conti e di Alexander Langer, dalla conoscenza dei drammi alle persone, agli animali, alla natura che avvenivano in tante parti del pianeta, principalmente causati dall’incuria e/o dagli interessi umani. E la conoscenza di quanto le donne, in particolare a livello locale, cercavano di fare per salvare il loro territorio, il loro pezzo di mondo.
CD: Da lì, immagino, il tuo interesse per l’ecofemminismo…
LC: Ad un certo punto ho capito quanto fosse importante e necessario che il pensiero e l’azione femminista incontrassero la salvaguardia dell’ambiente. Ho fatto e faccio parte di collettivi, gruppi, organismi istituzionali, fino ad approdare a Legambiente che ha accolto la mia proposta di portare a Bergamo il tema dell’Ecofemminismo.
CD: Esistono diversi rami che si basano su approcci ed analisi differenti, tra cui l’ecofemminismo liberale, quello spirituale-culturale e l’ecofemminismo materialista. Hai dei riferimenti personali a riguardo?
LC: Il comune denominatore nella riflessione su questo tema è il collegamento tra l’emergenza climatica, la rapina delle risorse del pianeta, l’oppressione e le violenze agite sulle donne di ogni cultura e latitudine e le violenze sugli animali. Sono tante le autrici i cui testi ritengo valga la pena studiare: Laura Cima, Rachel Carson, Carolyne Merchant, Vandana Shiva, per dirne alcune. Le attiviste lavorano in particolare sui territori aggregate a gruppi, associazioni; di loro, un solo nome: Greta Thunberg, diventata ispiratrice di un movimento globale, portando all’attenzione dei potenti del mondo il problema del cambiamento climatico. La sua forza comunicativa è di grande ispirazione.
CD: Se ciò che determina lo sfruttamento – delle donne e del pianeta – è il capitalismo, considerando che nell’approccio capitalistico e patriarcale, il depauperamento delle risorse naturali a favore degli esseri umani e la prevaricazione nei confronti delle donne hanno la stessa matrice, quali sono le pratiche attuabili?
LC: Lo sfruttamento – delle donne e del pianeta – è determinato non solo dal capitalismo ma soprattutto dal patriarcato, per cui ogni essere è di suo dominio e al suo servizio. Nel tempo e con fatica, sia per quanto riguarda la natura che gli animali che gli esseri umani, battaglie sono state fatte e miglioramenti sono stati raggiunti, ma tanto c’è ancora da fare. Da un punto di vista ecologico si ricordano: le lotte contro lo sfruttamento dei suoli, le lotte per il clima, le lotte contro le deforestizzazioni e contro le monoculture. Per quanto riguarda il femminismo: il faticoso e impegnativo lavoro fatto dalle donne per cambiare la “cultura” patriarcale, millenaria e resistente, di cui si hanno alcune piccole incrinature. Siamo ancora lontane dal riconoscimento della parità di genere. Le pratiche attuabili sono possibili nel momento in cui si lavora sui territori per risolvere situazioni locali e, contemporaneamente, si opera perché nei ministeri chiave ci siano ministre competenti e appassionate, che abbiano come criterio delle loro scelte il concetto della “cura” di sé, della comunità, del mondo.
CD: “Ecofemminismo e il mondo”, di cosa si tratta?
LC: Dalla locale Legambiente mi era stato chiesto, l’estate 2019, di lavorare sulla presentazione a Bergamo dell’Ecofemminismo, tenendo conto che non era chiara la risposta d’interesse da parte della città. Si era formato nel frattempo all’interno dell’associazione un gruppo di donne desiderose di approfondire e sicure di avere accoglienza. Ho voluto partire dalla ricostruzione della storia dell’ecofemminismo nel mondo e in Italia, in particolare dagli anni Settanta, per cui il progetto prevedeva incontri con alcune eco femministe di vecchia data (Laura Cima, Monica Lanfranco, Franca Marcomin) e ricercatrici attuali.
CD: E da lì siete partite…
LC: Il percorso, iniziato a febbraio, ha visto la presenza di una cinquantina di persone, quasi tutte donne, ma ha dovuto essere interrotto a causa del lockdown. Visto l’interesse suscitato e intenzionate a non bloccare quanto iniziato, nell’attesa di poter ri-partire, il gruppo donne di Legambiente ha in un primo tempo lavorato sui temi emersi da questo incontro, poi, ha trasformato gli stessi in domande che ha inviato a donne occupate in ruoli “di governo” variamente istituzionali. Ricevute le risposte, ha iniziato a pubblicarle sul sito di Legambiente. Ora, visto che siamo nella seconda fase della pandemia, si è deciso di riprendere in remoto il percorso e sabato 23 gennaio, Monica Lanfranco, la direttrice di Marea, sarà in contatto con noi.
CD: Il Covid-19 ha portato pesanti conseguenze negative anche sulla femminile partecipazione al mercato del lavoro. Il Rapporto Istat 2020 ha evidenziato un aumento della disparità occupazionale. Di nuovo, a seguito di eventi distruttivi per l’intero pianeta, a pagarne il prezzo più alto sono le donne.
LC: Una volta di più le donne pagano: sia prima, che durante, che dopo una crisi, sia questa militare (una guerra), sia questa una pandemia. Pagano e non solo perché perdono il lavoro. Pagano perché perdere il lavoro significa perdere autonomia, libertà, chiudersi in casa, fare le casalinghe non per scelta, ma per obbligo. Le donne sono la metà degli esseri umani e la mancanza della loro presenza nella vita economica, politica e sociale, significa un impoverimento della vita del mondo. Per ora non si vedono ancora delle alternative politiche-sociali. Però, quarant’anni di femminismo hanno aperto le menti e pongono domande. Da parte maschile, un inizio di “pensiero” diverso da quello patriarcale-capitalistico si spera venga affrontato, pena la fine del mondo.
(foto di Federico Burgalassi e Shahadat Rahman)