Ogni progetto è a sé e porta molte opportunità, sia per il valore che può aggiungere al territorio, dal punto di vista culturale, sociale o ambientale, sia per i ragionamenti che può stimolare in chi collabora alla sua realizzazione. Una visione da lontano del contesto, prima di immergersi nei dettagli che possono fare la differenza, caratterizza l’approccio di Carlo e Nicola Pavan e li rende consapevoli della realtà della loro professione, fatta di aspetti positivi e di altri negativi, compresi gli impatti sull’ambiente.
Carlo e Nicola Pavan condividono la loro visione dell’architettura. Ci offrono un’incisiva prospettiva sulla loro filosofia architettonica, un nuovo modo di interpretare la sostenibilità e la loro speciale relazione con Porto Marghera, luogo in perenne trasformazione.
ST: Iniziamo con il nome e il logo del vostro studio. Il nome «120 grammi:: Laboratorio di architettura» e l’immagine dell’elefante nel logo sono una scelta suggestiva che nasconde più significati…
CNP: Il nome e il logo sono nati assieme come un gioco, ma anche con l’obiettivo di stimolare una riflessione sulla nostra professione. 120 grammi è un riferimento a un peso molto leggero, mentre l’immagine dell’elefante rappresenta un contrasto scherzoso, poiché si tratta di un animale generalmente associato a qualcosa di pesante e ingombrante. Tuttavia, l’elefante richiama anche un tipo di formato di foglio, utilizzato in passato per i manifesti di grandi dimensioni. Serviva pertanto ad esprimere contenuti e messaggi. Nel nostro caso ad evidenziare che il progetto deve essere in grado di portare con sé valori di contenuto importante. 120 grammi ricorda anche il peso del tipico foglio di carta, richiamo alla manualità. Questi concetti riflettono il nostro approccio al lavoro.
ST: Il termine «laboratorio» è intrigante. Come definireste il vostro studio e cosa rappresenta il concetto di laboratorio per voi?
CNP: Il termine «laboratorio» riflette il nostro approccio all’architettura. Lo consideriamo il richiamo più forte e comprensibile ai nostri interessi legati al processo ideativo e realizzativo. Collaboriamo con artigiani, ci confrontiamo con loro perché sono loro a mettere in pratica le nostre idee, trasformando il lavoro in sperimentazioni, talvolta inaspettate. Questa collaborazione è fondamentale e arricchente per tutti.
ST: Potreste condividere la vostra storia e il percorso che vi ha portato a fondare il vostro studio?
CNP: Abbiamo lo stesso cognome, ma non siamo parenti. Ci conosciamo da molti anni e ci siamo laureati insieme. Abbiamo persino prodotto una tesi di laurea in collaborazione. Subito dopo gli studi universitari, abbiamo iniziato a lavorare nello stesso studio. Col passare del tempo, abbiamo sentito il desiderio di esplorare il mondo dell’architettura in modo più personale. Abbiamo da sempre partecipato a concorsi, alcuni dei quali hanno avuto esiti positivi. Uno di questi ci ha permesso di esporre alla Biennale di Architettura di Venezia nel 2008, quando eravamo ancora studenti. Forse è da quel momento che ci è sembrato possibile sviluppare ulteriormente e autonomamente le nostre idee. Nel corso degli anni, abbiamo coltivato collaborazioni con enti di ricerca, studi di sviluppo e di monitoraggio territoriale, sempre alla scoperta di contesti che ci permettessero di ampliare il nostro orizzonte, il nostro punto di vista. Ci siamo concentrati sul mettere a fuoco un approccio strategico e sistemico alle cose, contribuendo a dibattiti ed eventi, mantenendo sempre la passione per l’analisi e lo studio, ponendo al centro ragionamenti, riflessioni che riguardassero il territorio e le sue politiche. Inizialmente, ci sentivamo un po’ distanti dalla pratica dell’architetto “in senso stretto”, si scriveva molto e si realizzava poco, ma col tempo abbiamo trovato la nostra strada.
ST: Avete anche ottenuto alcuni riconoscimenti e premi importanti, come il Premio NIB (New Italian Blood). Ci sono alcuni progetti che ritenete vi rappresentino più di altri?
CNP: Abbiamo avuto la fortuna di ricevere alcuni premi nel corso degli anni, tra cui il Premio NIB, che è legato all’attività generale dello studio. Ci piace pensare che questi riconoscimenti rappresentino l’impegno nei confronti dell’architettura come pratica interdisciplinare. Ciascun progetto che realizziamo è per noi un’esperienza unica, caratterizzata da livelli di dettaglio diversi e orientata verso obiettivi specifici. Alcuni progetti sono più interessanti per l’attenzione ai dettagli, altri per la visione d’insieme, e altri ancora per il processo ideativo che li ha guidati. Crediamo che ogni progetto rappresenti una storia e un’esperienza a sé stante.
ST: Quali consigli offrireste ai giovani che stanno iniziando a studiare per diventare architetti?
CNP: Domanda difficile e che potrebbe portare a riflessioni lunghissime. Per coloro che si avvicinano a questo campo, vorremmo dire che è fondamentale affrontare la complessità dell’architettura con passione. Non ossessione. È una professione che richiede tenacia e impegno con risvolti sociali e politici importanti, bisogna esserne consapevoli. Non basta essere bravi con le matite; è necessario sviluppare abilità nelle relazioni con i committenti, con gli altri professionisti coinvolti e con le maestranze. Ascoltare è una qualità cruciale. Richiede tempo, a volte veramente tanto e pertanto bisogna essere generosi. Serve passione e dedizione, oltre a una fame costante per migliorare. Crediamo che studiare architettura però permetta di aprire una visione ampia sulle cose e questo poi, nella vita, è ciò che consente di slanciarsi verso nuove possibili strade.
ST: Il vostro studio, 120 grammi, opera in vari settori, tra cui architettura, paesaggio, allestimenti e ricerca. Come vi definite e come organizzate il vostro lavoro tra queste diverse discipline?
CNP: Per noi è tutto interconnesso. Favoriamo una progettazione interscalare e pertanto non ci spaventano i cambi di scala repentini. Non vediamo l’architettura solo come la composizione di forme e materiali che reagiscono in modo duraturo, ma anche come un mezzo trasversale per veicolare contenuti. Sia che si tratti di mostre o manufatti, l’obiettivo è il senso, il significato, il valore del progetto percepito dall’utente finale. Non è sempre facile mantenere coeso il nostro lavoro, ma è gratificante saltare da una scala all’altra e riconoscere che ogni cosa è collegata ad un’altra in questo rapporto. Riteniamo che sia essenziale che tutte le componenti del progetto dialoghino tra loro.
ST: Tra i vostri progetti, Porto Marghera sembra essere un luogo significativo per voi, sia perché di casa sia per la sua continua evoluzione.
CNP: Porto Marghera è un luogo speciale per noi, poiché è qui che abbiamo il nostro studio. Abbiamo avuto l’opportunità di contribuire a progetti che ci hanno permesso di esplorare e comprendere meglio questa affascinante area. Nel corso degli anni, Porto Marghera ha subito notevoli trasformazioni. L’area è ancora in continua evoluzione, con bonifiche in corso e nuove attività che stanno prendendo piede. Abbiamo lavorato con varie realtà per studiare e cercare di introdurre nuovi punti di vista sul valore di questo luogo, del tessuto sociale e industriale, sulle possibilità offerte da trasformazioni che interessano la produzione energetica. Porto Marghera ha dimostrato una notevole resilienza, con la natura che lentamente ha riconquistato spazi in cui l’uomo aveva smesso di intervenire. Questo ci ha ispirato a considerare strategie di progettazione che tengano conto di questa dinamica. Vediamo Porto Marghera come un luogo in cui il passato e il futuro si sfiorano, un’area in costante transizione e in continua lotta tra ciò che è stato e ciò che potrebbe diventare.
ST: Riguardo alla sostenibilità, potete spiegarci come la integrate nel vostro lavoro e come la interpretate nella pratica architettonica?
CNP: La sostenibilità è un aspetto cruciale del nostro lavoro, ed è stata anche al centro del nostro percorso di studio. La consideriamo strategica alla lettura del contesto in cui operiamo. La prima cosa che facciamo è valutare come il nostro progetto possa aggiungere valore non solo al risultato finale dell’oggetto in sé, ma anche nelle relazioni con una comunità e all’ambiente circostante. L’utilizzo del termine «sostenibilità» è stato decisamente abusato negli ultimi tempi. Noi preferiamo parlare di responsabilità. Siamo consapevoli che l’architettura ha un impatto significativo sull’ambiente, quindi cerchiamo di scegliere materiali e soluzioni che promuovano la durabilità e il benessere comune, anche con una spinta culturale. La sostenibilità è un aspetto trasversale in tutto ciò che facciamo.
ST: Per voi sostenibilità significa anche cura dei dettagli, aggiungere valore e avere una base solida e oggettiva sia per il progetto stesso che per quelli futuri.
CNP: L’analisi dei dati è stata cruciale in molti dei nostri progetti. Molti nostri lavori hanno comportato lo sviluppo di database e collezioni di dati, come ad esempio nei casi di mostre quali «Industriæ» per il centenario di Porto Marghera o «FollowUp!» per il Padiglione Venezia alla Biennale di Architettura del 2018, oppure nel caso dei censimenti e dei progetti di pianificazione strategica. I dati ci aiutano a interpretare e raccontare i cambiamenti nel territorio e forniscono una base solida per le nostre scelte progettuali. Ciò è particolarmente utile quando affrontiamo questioni urbanistiche o paesaggistiche. L’analisi dei dati ci consente di comprendere meglio le dinamiche e le trasformazioni in corso e ci guida nello sviluppo di soluzioni architettoniche ad hoc.
ST: Ci sono stati cambiamenti significativi nell’ambito dell’architettura negli ultimi anni, specialmente alla luce degli eventi come la pandemia. Potete condividere le vostre riflessioni su come il vostro settore sta affrontando queste sfide e quali aspetti hanno rappresentato delle opportunità?
CNP: Il mondo dell’architettura, ma in generale ancora di più il settore dell’edilizia, è stato influenzato notevolmente dalla pandemia e soprattutto dalle politiche che ne sono seguite. Ha stravolto anche il nostro ambiente di lavoro. La pandemia ha improvvisamente sparigliato le carte, con grandi sfide, inclusa la disponibilità di materiali oltre a una nuova instabilità economica. La mancanza di una visione a lungo termine è stata la preoccupazione principale costante. Ha messo in crisi qualsiasi tipo di crono programma, sia professionale che personale, minando le decisioni di tutti e pertanto richiedendo maggiore ascolto di tutte le parti coinvolte – dal committente al costruttore. Nonostante queste sfide, cerchiamo sempre nel nostro piccolo di cogliere le opportunità per innovare e contribuire positivamente al nostro settore attraverso una rinnovata consapevolezza dei rapporti di prossimità o un uso più responsabile delle risorse.
ST: Quali sono i vostri progetti futuri e come vedete il futuro dell’architettura?
CNP: Parlare dei progetti futuri è sempre un complicato, poiché spesso sono in corso di sviluppo e possono ancora subire trasformazioni durante il processo. Continuiamo a cercare modi per crescere e adattarci, ma non ci sbilanciamo a dichiarare obiettivi, sia per scaramanzia sia perché crediamo che l’architettura debba rispecchiare la vita e la crescita continua, anche la nostra. Guardiamo con ottimismo al futuro dell’architettura come un campo in cui la sostenibilità, l’innovazione e la responsabilità avranno un ruolo centrale.
Carlo e Nicola Pavan incarnano l’architettura come un’esperienza interdisciplinare e in continua evoluzione, con un profondo rispetto per la natura e un desiderio di trasformazione positiva. Come sottolineano, «ogni progetto è un’esperienza, con le sue peculiarità». Un monito per tutti noi a esplorare nuove prospettive e a coltivare la passione e la dedizione in questo campo affascinante e complesso, senza dare mai nulla per scontato.