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Il magico quintetto della Canottieri Sebino, dalle Olimpiadi di Londra al successo internazionale

Articolo. Ci avviciniamo alle Olimpiadi di Parigi 2024 continuando a raccontarvi storie, spesso poco conosciute, di atleti bergamaschi. Riccardo Vender, consigliere della società Canottieri Sebino, ci racconta la storia di Reginaldo Polloni, Renato Macario, Riccardo Cerutti, Francesco Gotti e Domenico Cambieri, il quintetto protagonista dei Giochi di Londra 1948

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Olimpiadi di Londra 1948, campo regata (Foto Canottieri Sebino)

«Persone semplici, abituate alla fatica, desiderose di rappresentare l’Italia». Basterebbero queste parole per raccontare lo spirito che accompagnò Reginaldo Polloni, Renato Macario, Riccardo Cerutti, Francesco Gotti e Domenico Cambieri sino a Londra, dove nel 1948 si disputarono le prime Olimpiadi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una tragedia che aveva lasciato non pochi strascichi nella società italiana e non solo, ma che, una volta conclusa, rappresentò un’occasione per rimettersi in piedi e vivere finalmente quella gioia che solo i Giochi sanno trasmettere.

I membri del quintetto, dopo aver vissuto in prima persona il periodo bellico e il terrore dei bombardamenti, poterono riprendere una passione che li legava sin da prima del conflitto, trovando nel lago e nel canottaggio un punto d’incontro “internazionale”. Per la prima volta nella loro vita, infatti, sbarcarono fuori dai confini italici.

Reginaldo, Renato, Riccardo, Francesco e Domenico sono stati realmente persone semplici, persone che faticavano nella vita di tutti i giorni così come nello sport. Originari di Lovere e Castro, i cinque hanno fatto le fortune della Canottieri Sebino nei primi anni del Dopoguerra, conquistando (nel caso di Polloni e Cambieri) la celebre Coppa Lorenzini, oggi attentamente custodita nelle teche del Circolo e destinata ai vincitori di almeno tre edizioni della Milano-Gaggiano, competizione un tempo in scena lungo i navigli lombardi.

È una sorta di rinascita per la Canottieri Sebino e i suoi componenti, che iniziano da allora a mietere successi. Il titolo italiano nel “2 jole” conquistato da Polloni e Cambieri fa il paio con quello ottenuto nel “4 con” l’anno successivo dall’intero equipaggio, prima della partecipazione agli Europei di Lucerna, dove arriva un argento, alle spalle soltanto dei francesi Gaston Piéddeloup, Claude Loewenstein, Gérald Maquat, Jean Roulin e Marcel Boigegrain.

All’epoca, i Mondiali di canottaggio non esistono, motivo per cui la rassegna continentale rappresenta una sorta di “sfida iridata”, decisiva per determinare chi sia il miglior equipaggio del globo, esclusi quelli provenienti dal Nord America, presenti alle Olimpiadi. E proprio i Giochi diventano il nuovo passaggio per Polloni e compagni che nel 1948 si superano e ottengono il pass per Londra. «Allora la Nazionale si costituiva sulla base di vari parametri, selezioni pre-olimpiche che definivano sostanzialmente quella che era la barca migliore. La Canottieri Sebino vinse le gare di selezione olimpica battendo la Moto Guzzi e a quel punto si ritrovarono alle Olimpiadi – spiega Riccardo Vender, consigliere e memoria storica delle imprese della formazione orobica – Per loro, che abitavano sul lago, il canottaggio era un passatempo, visto che era lo sport più affine da praticare legato anche alle aziende del territorio. A Lovere, l’ILVA, a Mandello Lario la Moto Guzzi aveva una squadra di canottaggio così come la Fiat sul Po. Per questo motivo, mi raccontava Reginaldo Polloni, il primo suo allenamento avveniva sul lavoro, caricando e scaricando gesso sulle chiatte sul posto di lavoro, poi andava al Circolo per prepararsi in acqua».

A dare la svolta a questa formazione, frutto di cittadini pronti a trascorrere il loro tempo libero facendo attività fisica, fu Andrea Silva, allenatore innovatore, capace di impostare nuove tecniche e modalità di voga nel remare. Lui, insieme al Cavaliere Annibale Offredi, Presidente della Canottieri Sebino, e al dottor Paolo Rada, medico sociale della Società Canottieri Sebino, e altri soci, non mancarono quel giorno di fine luglio del 1948 quando alla Stazione Centrale di Milano Polloni e compagni partirono in treno verso la Gran Bretagna.

Un’occasione imperdibile per loro, che avevano modo di conoscere per la prima volta quell’Europa messa a ferro e fuoco dalle truppe nazifasciste e ancora alle prese con la ricostruzione. Se l’italiano era talvolta parlato a stento, l’inglese era qualcosa di sconosciuto. Questo ostacolo, comunque, non impedì agli azzurri di far amicizia con gli altri partecipanti ai Giochi.

«Nelle foto che ci sono pervenute, si vede Renato Macario intento a cantare sul ponte del traghetto che li portava a Londra. Lui era un appassionato di musica e questo gli permise di stingere rapporti con tutti, animando la compagnia. Basti vedere un’altra immagine in cui è raffigurato mentre stringe la mano a un “bobby”, poliziotto inglese. La lingua principale era dopo tutto il bergamasco, ma ciò non impedì ai nostri canottieri di farsi capire e persino di scambiare dei cosciotti con un gruppo di atleti argentini, per non parlare di quando hanno cucinando la polenta per tutti con la farina portata da casa – ricorda Vender – Le vivande erano scarse, la spedizione era stata organizzata praticamente in extremis come allora si poteva e bisognava arrangiarsi con quanto si aveva. A conferma di ciò, basterebbe citare le “baracche” di Henley dove alloggiavano, vicino al Tamigi, e per questo motivo molto più comode rispetto al più “signorile” quartiere di Wycom dove inizialmente avrebbero dovuto risiedere».

La possibilità di fare pochi passi prima di scendere in acqua divenne letteralmente un vantaggio per il quintetto tricolore, che sin dalle eliminatorie dimostrò il proprio talento. Nonostante un contesto tutt’altro che ideale, complice un campo di regata in grado di accogliere soltanto tre equipaggi alla volta e un percorso di 1883 metri rispetto ai 2000 metri tradizionali, l’equipaggio della Canottieri Sebino si prese subito la scena nelle batterie battendo l’Australia e facendo segnare il secondo miglior tempo alle spalle soltanto degli Stati Uniti.

Nei quarti, ecco la replica con la vittoria sulla Norvegia, ma dando gli ultimi colpi di remo Macario sentì uno strano dolore alla schiena. «Le cronache dell’epoca parlano di dolori intercostali, ma dal racconto di Polloni pare si trattasse di uno stiramento, che costrinse i compagni di squadra a condurlo a terra di peso. Non c’erano i medicinali del giorno d’oggi, quindi si decise di applicare un po’ di crema PREP, utilizzata per tutto, dalle scottature ai massaggi; e infine si scelse di puntare nuovamente su Macario. Per un momento ci fu il pensiero di sostituirlo nonostante il regolamento non lo permettesse; tuttavia, i controlli erano scarsi e difficilmente i giudici se ne sarebbero accorti, ma prevalse la linea del rispetto».

Quella scelta così coraggiosa si rivelò in realtà un boomerang per Macario e per i suoi stessi compagni, con il primo che provò a scendere in acqua con un bustino elastico, senza offrire il tradizionale contributo. Il quintetto della Canottieri Sebino si ritrovò quindi a giocarsi l’accesso alla finale insieme alla Svizzera, perdendo la semifinale per un soffio con la squadra che avrebbe conquistare l’argento. Non c’è amarezza nell’animo dei vogatori azzurri, ma soltanto la soddisfazione di essersi confrontati con le migliori squadre al mondo.

La Canottieri Sebino raggiungerà l’apice, però, soltanto nel 1951 quando, con l’ingresso di Angelo Ghidini e Guido Cristinelli al posto di Renato Macario e Riccardo Cerutti, arrivò prima l’oro ai Giochi del Mediterraneo in scena ad Alessandria d’Egitto e poi agli Europei di Macon. Così, il team salì finalmente sul tetto di quella competizione inseguita per almeno un decennio. Nel frattempo, il canottaggio era cambiato, la Nazionale iniziava a essere composta attraverso le scelte di un direttore tecnico e questo si fece sentire alle Olimpiadi Estive del 1952 dove, come testimoniato da alcune medagliette commemorative, prese parte Domenico Cambieri in qualità di timoniere del “4 con”.

Questa volta, il ritmo scandito dal sarto di Lovere non bastò all’Italia di Albino Trevisan, Amedeo Scarpi, Abbondio Smerghetto e Tarquinio Angiolin per superare le batterie. Poco importa perché il mito della Canottieri Sebino era ormai entrato nella storia. Un mito che oggi vive ancora nella passione di chi porta avanti questa società e ne coltiva la memoria, attraverso quelle divise azzurre prudentemente conservate in riva al Lago d’Iseo. Senza dimenticare quelle immagini, quei ritagli di giornale e quei passaporti che ci ricordano come un tempo Bergamo dominava il mondo del canottaggio.

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