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Wim Wenders e gli altri. I «Mercoledì da leoni» di «Esterno notte» sono ancora più cult del solito

Articolo. Da Wenders a De Palma. E ancora, «Quarto Potere», «Scarface», «Donnie Darko» e Lubitsch sonorizzato dal vivo. Proseguono fino a settembre i «Mercoledì da leoni» di «Esterno notte»

Lettura 6 min.
Il sale della terra, Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado

Gli omaggi del mercoledì che a «Esterno notte» sono ormai un appuntamento fisso quest’anno omaggiano Wim Wenders, ma spaziano verso cinema e autori di tutte le epoche e per tutti i gusti. Con grandi classici (fra cui il più grande di tutti), piccoli gioielli e un evento speciale imperdibile.

«Il sale della terra» di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado

Mercoledì 24 luglio

Wim Wenders, oltre a essere il grandissimo regista che tutti conosciamo, è anche un appassionato documentarista. Da anni racconta da vicino alcune delle sue svariate passioni spaziando in settori diversissimi (musica, danza, religione, arte contemporanea...) e sempre attraverso la prospettiva di protagonisti di primo piano in ognuno di questi campi (Ry Cooder, Pina Bausch, Papa Francesco, Anselm Kiefer...).

Il film che dedica a Sebastião Salgado (realizzato insieme al figlio di quest’ultimo) è quindi l’occasione per riscoprire la passione per la fotografia, di cui Salgado è uno dei grandi maestri contemporanei, ma anche per riflettere sul rapporto fra l’immagine, lo sguardo e la pratica etnografica che gli scatti del fotografo brasiliano mettono in primo piano e al vaglio di chi li osserva. Ne risulta un film affascinante, dove la storia della vita di Salgado, che il fotografo racconta in prima persona, si interseca con le immagini del suo lavoro: un mondo in bianco e nero contrastatissimo e estremamente definito che racconta con estremo rigore temi delicati come povertà, sfruttamento e il dolore quotidiano dei paesi che vivono le persone che abitano nei paesi in via di sviluppo. Dal Brasile all’Africa, fino ai Balcani della guerra civile, Salgado è un testimone imprescindibile della contemporaneità cui Wenders dipinge un ritratto intimo suggestivo.

Paolo Spaccamonti & Ramon Moro: «Die Puppe» di Ernst Lubitsch

Mercoledì 31 luglio

Nel luglio del 2019 nell’ambito delle proiezioni di «Esterno Notte», i musicisti Paolo Spaccamonti e Ramon Moro avevano eseguito la sonorizzazione dal vivo di «Vampyr» uno dei grandi capolavori del cinema horror firmato da un autore straordinario come Carl Theodor Dreyer. Oggi, a cinque anni di distanza, tornano presentando una nuova sonorizzazione e usando come testo di partenza l’opera di un altro gigante della storia del cinema: Ernst Lubitsch.

«La bambola di carne», girato da Lubitsch nel 1919, quando ancora il regista non aveva lasciato la Germania per gli Usa (lo farà nel 1922 inaugurando una delle carriere più folgoranti della storia del cinema americano), è una commedia molto gradevole e perfettamente in linea con il cinema di puro intrattenimento dell’epoca. Nelle mani del regista diventa però un’opera quasi politica dove l’elemento al centro della storia – una ragazza che per varie vicissitudini si sostituisce a un automa, fingendosi una bambola – assume rilievi politici (il tema del corpo, il femminismo), di critica sociale (nello svolgersi della trama assumono rilevanza il rifiuto per le convenzioni borghesi e l’anticlericalismo) e una sottile carica erotica non così comune per il cinema di quegli anni. Un piccolo gioiello che grazie alla pratica della sonorizzazione dal vivo diventa l’occasione per un’esperienza di visione davvero unica nel suo genere.

«Alice nelle città» di Wim Wenders

Mercoledì 7 agosto

Uno dei capolavori di Wenders e uno di quei film che tutti dovrebbero vedere – sul grande schermo – almeno una volta nella vita. Terzo film ma prima opera davvero personale del regista tedesco, «Alice nelle città» (1973) è carico di tutto l’immaginario wendersiano che tornerà sotto diverse forme negli anni e nei film successivi. Il complesso rapporto con la natia Germania da un lato e l’America (patria d’elezione) dall’altro, il viaggio, la musica, l’attraversamento dei grandi spazi, la fugacità delle relazioni e l’incombere della storia sono temi fondamentali che contribuiscono a costruire un racconto emozionale ancor prima che narrativo. E dando risalto a quello che il regista definisce come il rapporto fra motion ed emotion, cioè una traiettoria filmica in cui l’emozione nasce proprio dal movimento.

Senz’altro uno dei road movie più rilevanti e amati della storia del cinema, «Alice nelle città» è anche un canto generazionale, in cui il ventinovenne Wenders guarda verso orizzonti esistenziali inesplorati dei quali il viaggio si erge come metafora e come veicolo di un nuovo sentire culturale. L’attraversamento di luoghi ora suggestivi – ma ineluttabilmente già visti e già “consumati” come Manhattan – ora anonimi come aeroporti, treni, stazioni, autostrade, ecc. testimoniano la superficialità di uno sguardo che ha smarrito la sua purezza e che va riscoperto attraverso altri schemi visivi, altre suggestioni, altre prospettive. Il cinema e la poetica di Wenders sono già tutte qui.

«Quarto potere» di Orson Welles

Mercoledì 21 agosto

Cosa si può dire di «Quarto potere» che non sia già stato pensato, detto, scritto e poi ripensato, ridetto, riscritto e rimasticato? Probabilmente nulla. Eppure quest’opera, che praticamente tutte le classifiche (per quel che vale fare le classifiche con i film) dei migliori film della storia del cinema mettono al primo posto, continua a parlarci e rivelarci aspetti nuovi a ogni visione. Difficile che qualcuno non abbia mai visto il capolavoro di Welles, ma forse in pochi hanno avuto l’occasione di vederlo su uno schermo cinematografico. Ed è effettivamente un elemento che cambia (e di molto) la percezione e l’esperienza, e permette di godere al meglio delle suggestive scelte stilistiche che il regista – insieme al leggendario direttore della fotografia Gregg Toland, secondo alcune voci mai suffragate dai fatti vero autore del film – ha messo in forma.

La profondità di campo (e cioè inquadrature dove tutto quello che si vede in primo, secondo e terzo piano è a fuoco), molto innovativa per l’epoca, le angolazioni “storte” (come il celebre “angolo olandese”, anche se originario del cinema tedesco, della scena del comizio) o la ricchezza debordante delle scenografie (come quella finale in cui vengono bruciati in una fornace gli averi accumulati dal protagonista nel corso della vita) si possono godere appieno solo al cinema. Il resto è storia nota, anche se è una storia che non ci si stanca mai di sentirsi raccontare.

«Donnie Darko» di Richard Kelly

Mercoledì 28 agosto

Quando uscì nell’ottobre del 2001, «Donnie Darko» fu un sonoro flop: il fatto che iniziasse mostrando le conseguenze di un incidente aereo, dato l’umore del momento, rese estremamente difficoltoso farlo accettare al pubblico. Fu solo l’uscita home video un paio di anni più tardi a regalare al film una seconda vita e, in breve tempo, l’etichetta di cult. In Italia venne proiettato alla Mostra del cinema di Venezia nel 2004 e uscì in sala nei mesi successivi guadagnandosi un immediato successo soprattutto fra giovani e giovanissimi. Si tratta di un film estremamente sgangherato, opera prima di un regista che oggi ricordiamo solo per questo lavoro e che mischia in modo un po’ pasticciato generi, situazioni, personaggi e storie che non sembrano andare da nessuna parte.

La sua forza evocativa è però innegabile, così come la capacità di mettere al centro temi profondamente legati all’universo giovanile (la scuola, il rapporto con la famiglia, la responsabilità delle scelte) in un mondo che mischia i registri della fantascienza e del fumetto facendo apparire conigli giganti, immaginando la fine del mondo e rendendo “possibili” i viaggi nel tempo. Tutti elementi che ne fanno un film perfettamente in linea con i gusti e il sentire dei primi anni del nuovo millennio. Mentre la presenza attoriale – fra il catatonico e il blasé – di Gyllenhall (lanciato dal film) e una colonna sonora (con i Joy Division, i Duran Duran e una cover ultra popolare di «Mad World» dei Tears for Fears cantata da Gary Jules & Michael Andrews) divenuta immediatamente di culto hanno fatto il resto. Da (ri)vedere soprattutto per verificare se a vent’anni di distanza regge ancora il peso del tempo.

«Scarface» di Brian De Palma

Mercoledì 4 settembre

Il discorso è molto simile a quello che abbiamo fatto sopra per «Quarto potere». Certo «Scarface» non occupa la stessa (inarrivabile) posizione del film di Welles nella storia del cinema, ma in quanto a film di culto è senz’altro in cima alle classifiche personali di molti spettatori. E proprio come per «Quarto potere» uno dei motivi che potrebbero spingere a non perdersi la proiezione del film di De Palma è, ancora una volta, il grande schermo. Se per tutti i registi del mondo e della storia vale l’assunto che i loro film sono pensati per la sala, nel caso di De Palma è una questione che vale un po’ di più. Il regista americano ha sempre fatto della ricerca e dell’innovazione stilistica una cifra del proprio cinema. Nel solco di Hitchcock il lavoro sulle immagini, sulla suggestione visiva e sulle tecniche di ripresa (split screen, piani sequenza, grandangoli, soggettive, scelte cromatiche ecc) è sempre stata la parte più importante del suo lavoro. «Scarface», remake omonimo di uno dei capolavori – uscito nel 1932 – di un altro maestro di De Palma e del cinema americano, Howard Hawks, racconta l’ascesa e la caduta del narcotrafficante di Miami Tony Montana, interpretato da Al Pacino.

Estremamente violento, scurrile e ricordato per sequenze passate alla storia come quella del primo incontro con Elvira (Michelle Pfeiffer) in discoteca o il bagno di sangue finale, è proprio per via di una regia enfatica e che ne accentua il carattere straripante e volutamente sopra le righe che è (e rimane) uno dei grandi capolavori del genere gangster. Si parla da anni di un possibile (altro) remake (già rifiutato fra gli altri anche da Guadagnino). Intanto è senz’altro meglio rivedersi questo. Possibilmente al cinema!

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