93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Scarti di cibo ed esclusione sociale: le due facce del Wasteocene a «Le Primavere – Il Cortile dei Gentili»

Intervista. In programma nel Polo di Lecco del Politecnico, il 18 maggio, una giornata dedicata alla sostenibilità ambientale e sociale, con un occhio di riguardo al tema dello spreco alimentare. Tra i protagonisti don Davide Milani – presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e direttore della rivista Cinematografo – e il regista Umberto Spinazzola, autore del lungometraggio «Non morirò di fame», storia di uno chef stellato caduto in rovina che recuperando gli scarti del cibo riscopre sé stesso e il valore delle relazioni

Lettura 6 min.
Un frame dal film ’Non morirò di fame’

Quest’anno, Eppen si trasferisce a Lecco e Como. Tra le eredità che la nostra direttrice, Daniela Taiocchi, ha portato in Eppen c’è la straordinaria esperienza vissuta a partire dal 2011 con «Le Primavere di Como», una rassegna di personaggi che presentano la loro versione di un solo tema centrale, in genere quello più dibattuto durante l’anno. Ora «Le Primavere» incontrano il «Cortile dei Gentili», «BergamoScienza» e il «Festival della Luce», in una rassegna dal titolo «L’era dello scarto. Guida teorica e pratica per uscirne». In programma il 18 maggio a Lecco (Politecnico) e il 19 maggio a Como (Pontificio Collegio Gallio), due giorni intensi di stimoli sul presente e il futuro dell’uomo e della terra. Come impone il format del «Cortile dei Gentili», dialogheranno posizioni di credenti e non credenti che, soprattutto sul tema dello scarto, apriranno letture e prospettive divergenti. Gli storici dell’ambiente, i futurologi, gli ingegneri dell’architettura, gli imprenditori e gli scienziati ci condurranno in ambienti spesso oscuri alla narrazione comune, fornendoci qualche strumento in più per leggere i nostri giorni. Alla loro narrazione si affianca la nostra, dono povero, ma di valore infinito, se saprà salvare anche solo una persona dall’angoscia e dalla discarica sociale. A questo link tutto il programma degli incontri, ad ingresso gratuito.

Wasteocene, «l’era degli scarti”. Il termine è stato coniato dallo storico dell’ambiente Marco Armiero , che ne parla nel suo libro «L’era degli scarti. Cronache dal wasteocene, la discarica globale». È l’epoca in cui viviamo, la sua caratteristica è la «continua produzione di persone, comunità e luoghi di scarto», come dice l’autore. Il consumismo alimentare, gli sprechi, la crisi climatica, l’esclusione e l’ingiustizia sociale, le disuguaglianze: sono tutti nodi della stessa corda, storture di un sistema economico che conosce solo la lingua del profitto, ad ogni costo. Anche umano. Ed ecco lo scarto. Il “rimosso”, si potrebbe dire da una prospettiva freudiana.

Nella «Psicopatologia della vita quotidiana» lo psicanalista individuava una serie di tic involontari, accadimenti trascurabuli, i famosi lapsus: scarti del comportamento attraverso cui però si manifesta l’inconscio, e che quindi sarebbero rivelatori, racconterebbero chi siamo veramente. Da sempre la società dei consumi è anche la società dei rifiuti – anche l’arte contemporanea ce lo ricorda, si pensi ai «Poubelles» dell’artista francese Arman. È dunque ciò che buttiamo via, ciò che emarginiamo o escludiamo che ci qualifica? Che racconta chi siamo veramente?

«Di per sé lo scarto non dovrebbe esistere» prova a rispondere don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e direttore della rivista Cinematografo, il cui intervento dal titolo «Oltre le scorie. Il valore nascosto dell’umanità» chiuderà la prima giornata della rassegna «Le Primavere – Il Cortile dei Gentili», giovedì 18. «Gesù nel Vangelo parla del rapporto che lega le persone a Dio. Parla di potatura: “o stiamo uniti a lui o siamo come tralci da scartare e buttare nel fuoco” dice. In chiave laica significa che tutto ciò che non è pensato dentro un legame di comunità diventa scarto. Vale per le cose ma anche per le persone. Il tema è la destinazione: quando un bene o una persona entra in una comunità non diventerà mai scarto».

MR: Qual è “il valore nascosto dell’umanità” cui farà riferimento nel suo intervento?

DM: Il valore nascosto dell’umanità è l’umanità. Spesso parlando di “salvaguardia dell’ambiente e della natura” ci si dimentica che al centro del Creato c’è l’uomo. È un dato da affermare. Facendolo, affermiamo anche il problema che questa centralità dell’uomo rappresenta, e che ha contribuito a creare le condizioni che portano, secondo la teoria del Wasteocene, a una società di rifiuti, di scarti, dell’inquinamento. Una società insostenibile. L’uomo però non può pensarsi senza il contesto in cui è inserito, verso cui ha una responsabilità integrale.

MR: Nel concetto di Wasteocene entrano temi come la crisi climatica, le disuguaglianze, l’esclusione sociale come questione di classe. C’è una critica netta al capitalismo e alla logica del profitto a ogni costo. Ne ha parlato Bergoglio stesso. Tuttavia, la “lotta” sembra mancare. Quando c’è, è criminalizzata. Che ne pensa?

DM: Penso che non esistano contrapposizioni che non lascino sul campo altri danni, altre scorie. Quello che deve accadere è una conversione, e questa nasce quando si vede il bene più grande che si sta perdendo. Più che il tema della lotta e di un impegno etico personale, ciò che serve è un cambiamento degli stili di vita, dei rapporti con gli altri e con il creato. E accade solo se vediamo un bene più grande. Serve un modo diverso di impostare le relazioni con gli altri, con le cose, con la natura.

MR: Crede sia un processo in atto nel nostro Paese?

DM: I giovani ce lo stanno testimoniando, con forme a volte anche discutibili, penso a Ultima Generazione. Il rischio che corrono i cosiddetti adulti è di nascondersi dietro ai problemi di forma per evitare di accogliere la provocazione, dimenticando il punto di partenza che va preso seriamente in considerazione. Poi la stragrande maggioranza dei giovani pone le questioni in maniera corretta, giocando il proprio tempo e la propria vita.

MR: Crede che il cinema italiano oggi stia riuscendo nell’obiettivo di raccontare le sfide e le contraddizioni del presente in cui viviamo?

DM: Ci sono delle provocazioni interessanti non solo nella cinematografia italiana. Il film di Umberto Spinazzola che vedremo per la conclusione della giornata parla proprio di questo in maniera coraggiosa, mettendo al centro il tema di uno scarto che diventa risorsa, e della degradazione non solo degli alimenti, ma anche delle persone nella società, che se intese solo in chiave funzionale sono a rischio scarto. Quando invece c’è una comunità, anche lo scarto diventa una risorsa.

«Non morirò di fame»: il nuovo film di Umberto Spinazzola

Già regista di Masterchef Italia, Umberto Spinazzola è autore di «Non morirò di fame», suo terzo lungometraggio, prodotto da Alessandro Borrelli. Storia di una caduta verticale che diventa parabola di redenzione, alla riscoperta della semplicità del cibo e della profondità delle relazioni. Nel cast anche Jerzy Stuhr, celebre attore polacco cui il «Bergamo Film Meeting» ha dedicato un’ampia retrospettiva nell’ultima edizione del festival.

Il film verrà proiettato giovedì 18 maggio alle 21 al Cinema Aquilone di Lecco (prenotazione a questo link). Saranno presenti in sala il regista e il produttore, introdotti dal Cardinale Gianfranco Ravasi e dal professor Giuliano Amato. Alla proiezione seguirà un dibattito, moderato da Monsignor Davide Milani.

MR: Spinazzola, il protagonista del suo film è uno chef stellato caduto in rovina che riscopre il valore degli scarti: recuperando ciò che è destinato all’immondizia in qualche modo recupera sé stesso.

US: Mi sono ispirato a una storia vera. Ho incontrato molti chef e visto tanti dietro le quinte, e mi ha colpito questa esperienza “dalle stelle alle stalle”, diciamo. Nella storia poi ho innestato il tema dello spreco alimentare, che mi è caro da sempre, con l’idea di una cucina “francescana” fatta di semplicità e ingredienti recuperati. Questa contaminazione la trovo di buon auspicio per una riflessione sul tema dello spreco alimentare.

MR: Un tema su cui c’è ancora molta strada da fare.

US: Non ci rendiamo conto di quanto continuiamo a sprecare pro-capite, specialmente nelle metropoli. Il mondo del cibo è diventato come una specie di parco divertimenti.

MR: Ha lavorato anche come regista di Masterchef Italia: c’è qualcosa di quell’esperienza nel film?

US: Masterchef mi ha dato un bagaglio di storie e di esperienze, ma le due cose non sono legate. Un programma TV e il cinema sono mondi diversi con linguaggi diversi. In TV c’è sempre un aspetto di spettacolarizzazione che trita un po’ tutto più grossolanamente.

MR: Forse il cinema è uno spazio dove poter essere più “politici”?

US: Forse sì, ma invece che di politica parlerei di etica. Può essere un luogo dove lavorare più “di fioretto”, e far passare un messaggio forte senza urlare.

MR: Quale crede sia stato l’impatto che questi format televisivi hanno avuto sul modo in cui intendiamo il consumo alimentare? Sono stati buoni o cattivi maestri?

US: Masterchef io la reputo un’esperienza molto positiva. Da un lato è un talent che coltiva un sogno molto sano che è quello di diventare cuochi. Dall’altro lato ha portato cultura del cibo, e in qualche modo più rispetto verso gli ingredienti. È un programma che ha unito le famiglie come pochi altri, è trasversale, tratta di cultura del cibo, non di sciocchezze.

MR: Si parla spesso dei ristoranti stellati come di attività difficilmente sostenibili. Alta qualità per i pochi che possono permettersela: è un modello che ha futuro?

US: Le riviste di settore e non solo parlano di qualcuno che chiude ogni settimana. Con la solita frase: «Non è più sostenibile». Cosa vuol dire sostenibile? Un primo a 60€? Un secondo a 80€? C’è un meccanismo che si sta rompendo. Il modello è gravemente consumistico, massificato. La gente si sta disabituando alla qualità, che sta scomparendo. Non c’è attenzione ai produttori locali, aiuti per chi coltiva la terra. È in corso una follia che impone una riflessione, ed è ora di alzare un po’ la voce.

MR: Quest’anno fanno 50 anni di «La grande abbuffata» di Marco Ferreri. Crede sia ancora attuale l’allegoria di quel film?

US: Assolutamente sì. Ferreri è stato un visionario. Un film come quello è ancora attuale per quel lato un po’ spasmodico, maniacale e annoiato che a volte in troppi hanno nei confronti del cibo. E che poi va a creare quella insostenibilità del sistema di cui abbiamo parlato.

Approfondimenti