Se “Bergamo e la marea”, di cui vi abbiamo parlato nei giorni scorsi, era uno sguardo panoramico su quanto successo sul nostro territorio lo scorso anno fra febbraio e aprile (con qualche fondamentale focus su certi aspetti della storia), “Ritorno in apnea” è un’immersione epidermica fra le voci di chi ha vissuto quei mesi in prima persona. Anna Maria Selini è una giornalista, freelance e videomaker bergamasca che da anni si è trasferita a Roma. Ha collaborato con trasmissioni Rai, Current tv, Repubblica.it, l’Unità, Il Corriere della sera di Bologna e l’Eco di Bergamo, ma soprattutto è specializzata in aree di crisi, avendo realizzato reportage in Kosovo, Tunisia, Cuba, Israele, Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Ciò non è secondario perché sa benissimo come muoversi e quali voci raccogliere in un territorio che non stava vivendo una guerra ma una sorta di tempesta, inizialmente ignota – poi via via più chiara, ma neanche oggi chiara del tutto. Il suo è un racconto dal lato soprattutto emotivo, con qualche concessione inevitabile al dato di cronaca, l’ecatombe della pandemia, più di seimila morti quasi sempre senza la possibilità di ricevere un ultimo saluto e senza una ritualità di accompagnamento.
La narrazione è breve (poco più di un’ora), asciutta, mai sopra le righe eppure capace di cogliere il nocciolo emotivo di ogni persona intervistata, anche di chi per ragioni professionali (i medici in primis) deve tenere un tono distaccato, là dove bisogna diffondere sicurezza e fiducia in risposta all’inevitabile smarrimento.
“Ritorno in apnea” non è un film emozionale – per quello ci hanno abbondantemente pensato tv e giornali – ma appunto emotivo: coglie ciò che c’è, non aggiunge o rigonfia. Scorre fra le immagini un sottotesto che racconta quel presente per preoccuparsi del dopo – e difatti fra le persone interpellate vi sono anche degli psicoterapeuti. Perché, come abbiamo detto più volte, se i numeri dell’accadimento virale sono sconvolgenti, lo saranno (e lo sono) anche le conseguenze psichiche ed esistenziali di una pandemia (e relativo lockdown rimodulato all’occorrenza) che non sembra fermarsi, anzi. Lasciando nelle persone una certa grigia stanchezza che comincia a farsi sentire come un dato quotidiano.
È scontata ma inevitabile la domanda sul perché continuiamo a raccontare questa vicenda: Bergamo da qualche mese ormai è una ferita aperta, la pandemia ha messo in risalto anche alcune caratteristiche del nostro essere bergamaschi legate fra loro (la voglia di non arrendersi, un’etica del lavoro quasi sacrificale), il contagio ha lasciato tanti morti lungo il proprio cammino e una pesante sensazione di incertezza sul presente e d’inquietudine sul futuro. Mettere una telecamera di fronte a tutto questo – impreziosita dalla colonna sonora liquida di Alessandro Adelio Rossi – non è solo chiedersi perché a noi, ma pure narrare una vera e propria area di crisi, profondamente diversa da quelle di guerra, è ovvio, ma coinvolta intensamente in un tratto di vita che segnerà per molti anni una comunità.
L’occhio di Anna Maria Selini è quello di chi viene dall’esterno, ma è anche la vicenda di uno sradicamento voluto che ritrova negli accadimenti un filo sottile ma robusto di collegamento ai luoghi d’infanzia – come spiega lei stessa nelle note di regia: “La mia è una zona di fabbriche, fabbriche e ville è il paesaggio che si incontra per lunghi tratti d’autostrada. Un paesaggio di cui non ho mai sentito la mancanza, fino al 18 marzo del 2020, la notte in cui un ragazzo napoletano ha diffuso una foto destinata a diventare il simbolo del Coronavirus nel mondo”. Questo meccanismo di distanza / vicinanza impreziosisce il docu-film e lo rende una testimonianza d’eccezione quando si dovrà raccogliere e riordinare la memoria di quanto è successo.
“Tornare è stato stranissimo, la stazione Termini sembrava un checkpoint, ero spaventata, venendo da Roma non sapevo esattamente cosa aspettarmi – racconta ancora Anna Maria – Ma i bergamaschi erano più terrorizzati di me, nemmeno una mia cara amica ha accettato di incontrarmi nelle prime settimane. La vita si era spostata su Skype e le strade di solito trafficatissime erano desolate e inquietanti. Non mi era mai capito di faticare a convincere le persone a uscire di casa per farsi intervistare. Per settimane non ho visto la mia famiglia e il mio ragazzo”.
Dopo essere passato in anteprima su Tv 2000 lo scorso 28 marzo, “Ritorno in apnea” – prodotto da Alberto Valtellina – verrà presentato all’interno del festival “Lo spiraglio” a Roma dal 15 al 18 aprile e sarà proiettato in streaming.