La nuova stagione cinematografica appena iniziata è ricchissima di uscite di qualità come non se ne erano mai viste. Colpa (o merito, fate voi) del Covid ovviamente, che ha tenuto bloccati moltissimi film per quasi due anni e ora ce li restituisce tutti insieme costringendoci, come titolavamo la scorsa volta, a una “grande abbuffata” cinematografica. Uno stato di eccezione come quello della chiusura prolungata delle sale nei mesi scorsi, ma questa volta in senso assolutamente positivo. Il ritorno della capienza delle sale al 100% reintrodotto l’altro ieri inoltre ha portato ulteriormente tutta la situazione a una dimensione di normalità che avevamo quasi scordato.
Le uscite, tuttavia, sono talmente tante che si rischia di perdere un po’ la bussola. Proviamo a dare qualche utile (si spera) consiglio per affrontare meglio questo inizio di stagione, setacciando fra i tanti film in sala da qui a fine ottobre. Ce n’è per tutti i gusti.
“Quo vadis, Aida?” di Jasmila Žbanić
Passato in concorso alla mostra di Venezia 2020, “Quo vadis, Aida?” arriva finalmente in sala. Un film tragico, duro e difficile da guardare, ma ancora dolorosamente necessario. La regista bosniaca Jasmila Žbanić racconta in forma di fiction quella che è stata la più spaventosa tragedia consumatasi sul suolo europeo dal secondo dopoguerra: il massacro di Srebrenica. Un vero e proprio genocidio avvenuto durante la guerra dei Balcani quando nel giro di due giorni, nella cittadina bosniaca di Srebrenica, l’esercito serbo radunò e uccise oltre 8000 uomini musulmani fra i 12 e i 77 anni, praticamente tutta la popolazione maschile della città. Era il luglio 1995.
A distanza di trent’anni Žbanić ricostruisce meticolosamente lo svolgimento dei fatti. Si inventa il personaggio di Aida, una professoressa di inglese del liceo di Srebrenica incaricata di fare da interprete per i caschi blu olandesi dell’Onu di stanza nella regione in quei giorni, e racconta la tragica escalation che portò a un epilogo tanto inconcepibile. Seppur con un certo schematismo e lasciando da parte le sfumature, la regista compone un film solido, che arriva al cuore dello spettatore e soprattutto ha il pregio di mettere al centro del discorso la memoria. Perché il massacro di Srebrenica è parte (anche) della nostra storia, ci riguarda da vicino, non smette di parlarci e soprattutto non può e non deve correre il rischio di essere dimenticato.
(Daste – Lo schermo bianco / Trailer)
“A Chiara” di Jonas Carpignano
Italoamericano, nato a New York e cresciuto a Roma, Jonas Carpignano già da diversi anni ha scelto di vivere e lavorare in Calabria, nella piana di Gioia Tauro, dove sono anche ambientati tutti i suoi film. “A Chiara”, sua terza opera, racconta di una ragazzina di 15 anni come tante, la Chiara del titolo, che scopre all’improvviso e in modo brutale (vedendo esplodere l’auto dei genitori davanti casa) che il padre è un affiliato della ‘ndrangheta. La sua vita cambia, è costretta ad aprire inaspettatamente gli occhi sulla realtà, sul mondo, sulla vita. E sceglie di non ignorare l’enormità di questa scoperta, di non fare finta di nulla come la madre e la sorella maggiore. Ma di capire, andare a fondo, provare a costruirsi il suo universo di valori.
Il regista la osserva restando incollato al suo corpo, seguendola ovunque nel suo girovagare, assecondando l’esplorazione di un mondo sconosciuto, che è anche la ricerca di un’identità. E ce ne fa percepire il respiro, avvertire i tentennamenti, i timori e le emozioni. Un cinema appassionato e rigoroso quello di Carpignano, non privo di qualche semplificazione, alcune ingenuità e forse un po’ penalizzato da interpreti non all’altezza – a eccezione della giovane protagonista, Swamy Rotolo, bravissima – ma assolutamente personale. Nel panorama del cinema italiano qualcosa di davvero imprescindibile.
(Conca verde / Trailer)
“Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo
E a proposito di film italiani da tenerci stretti e di cui andare orgogliosi, “Ariaferma” è senz’altro uno di questi. Probabilmente il miglior film di casa nostra passato all’ultima Mostra di Venezia è anche uno di quelli di cui si è parlato (colpevolmente) di meno. Di Costanzo, regista con un passato da documentarista giramondo, si inventa un racconto che parte dai generi – tra il fantastico e il poliziesco – per raccontare una storia di grande umanità e riflettere sulle nostre debolezze e le contraddizioni del nostro sistema statale. Lo fa attraverso la ricostruzione della vita carceraria, mettendo in scena gli ultimi giorni di vita di una prigione immaginaria del sud Italia: un penitenziario vecchio, fatiscente e destinato alla chiusura in cui pochi detenuti e altrettanti secondini – cui è affidato il compito della sorveglianza – aspettano di essere trasferiti in una nuova struttura.
La convivenza forzata in un clima quasi irreale crea forti tensioni e continue frizioni che rischiano di sfociare in una rivolta e il rapporto fra due uomini – l’ufficiale delle guardie e il carismatico leader dei detenuti, interpretati rispettivamente da Toni Servillo e Silvio Orlando, bravissimi entrambi – è l’unico fragile equilibrio su cui si basano le sorti di tutti. Un film fatto di silenzi, lunghi momenti di sospensione narrativa e piccoli ed eleganti tocchi di regia, capace di tirar fuori emozioni intense e riflessioni altissime sui temi più oscuri della nostra vita sociale. Con una naturalezza e un garbo davvero rari per il cinema italiano. Da non perdere.
(Cinema Capitol dal 14 ottobre / Trailer)
“France” di Bruno Dumont
Un grande autore del cinema francese, da sempre realizzatore di film poco frequentati dal grande pubblico e amato soprattutto dai festival, si cimenta con un’opera ad ampio respiro, destinata a platee molto più vaste del solito e a far parlare di sé. France de Meurs (Léa Seydoux) è una popolarissima giornalista di un canale all-news francese. È giovane, bella, ricca, famosa, invidiata tanto quanto superficiale, cinica e ambiziosa. Ha una vita agiata ma infelice e quando anche sul lavoro le cose iniziano ad andare male medita il ritiro. Meurs in francese si legge come mœurs che significa “costumi, usanze, pratiche sociali” (come nel latino mores) e allora è evidente come Dumont faccia un film sulla Francia di oggi e su quello che è diventata, su come sia manipolata dai tg-spazzatura, dalle fake news e dalla cronaca da salotto televisivo (ci ricorda qualcosa?). Ma è anche e soprattutto una riflessione, in senso più acuto, sulle immagini della contemporaneità, sulla loro falsificazione e manipolabilità.
Il cinema in questo senso è usato come filtro per farci avvertire la distanza con l’immagine televisiva (la “color correction” pacchiana dei servizi di France è mostrata in maniera esplicita) e attraverso essa chiederci di pensare quanto ormai le immagini con cui entriamo in contatto nella nostra quotidianità siano filtrate dalla rappresentazione, ricostruzione e rimessa in scena della realtà. Senza che riusciamo più a distinguerle, a comprenderle e a guardarle per davvero.
(dal 21 ottobre / Trailer)
“Halloween Kills” di David Gordon Green
Puntualissimo per la notte di Halloween arriva il secondo capitolo del reboot di uno degli horror più iconici della storia del cinema. Gordon Green aveva già diretto “Halloween” – una specie di remake travestito da sequel del capolavoro di John Carpenter – esattamente tre anni fa e torna ora con un seguito che, come capita raramente al cinema, è molto più riuscito del primo film. La forza di “Halloween Kills” sta nella libertà che regista e autori si prendono rispetto al bisogno (o all’obbligo) di dover omaggiare e citare il film capostipite, decidendo invece di aggiornare la saga al 2020. Il risultato è un horror feroce e violentissimo, con tanti omicidi come non se ne erano mai visti in un “Halloween” (i fan apprezzeranno), ma allo stesso tempo ricco di richiami alla contemporaneità.
Capace di mettere in forma di metafora gli stigmi e i traumi del trumpismo (l’irruzione della folla al pronto soccorso non può non ricordare l’assalto al Campidoglio di Washington dello scorso gennaio, anche se il film è stato completato prima) e di descrivere un mondo allo sbando, dove padri e genitori scompaiono (Laurie, protagonista dei vecchi film e ancora interpretata da Jamie Lee Curtis, ha un ruolo marginale) e il male si annida nelle coscienze di tutti, nelle cose. Mentre Michael Myers, che si nutre e vive proprio di quello stesso male, diventa sempre più immortale.
(Uci Cinemas dal 21 ottobre / Trailer)
“Madres paralelas” di Pedro Almodóvar
È quasi incredibile come Pedro Almodóvar dopo una carriera più che quarantennale e oltre venticinque film all’attivo continui a sfornare capolavori. “Madres paralelas” è un film straordinario non solo per la grazia della composizione, l’intelligenza della scrittura e la sensibilità del racconto. Ma anche perché a fianco di tutto questo Almodóvar, come gli è capitato raramente di fare, costruisce un discorso politico. E fa un film sulla memoria, sugli errori, le ferite e il rimosso di un paese, la Spagna, che ancora sta facendo i conti con l’eredità della guerra civile e con la propria Storia.
La metafora della maternità in questo senso veicola un significato più ampio rispetto a quello immediato che sta nel film – la storia di due donne senza compagni e mariti, di età molto diverse, che si conoscono in ospedale prima di partorire e restano legate per la vita – e diventa metafora di un’eredità e di un trauma storico con cui fare i conti e non smettere mai di ricordare. Perché diventare adulti, madri, padri, genitori ma anche cittadini, come ricorda la protagonista del film interpretata da una bravissima Penélope Cruz, significa capire chi si è, da dove si viene e da che parte si vuole stare. E in fondo conoscere il passato è un dovere morale prima ancora che una necessità. Una lezione che non vale solo per il popolo spagnolo: noi in Italia dovremmo saperlo bene.
(Conca Verde dal 28 ottobre / Trailer)