Il cinema è vuoto. In sala ci sono solo tre spettatori, un cane e due gatti. Quando le luci si spengono, tra un miagolio e un abbaiare fragoroso, gli spettatori scoprono di aver già visto il film proiettato («Nuovo? Lo stanno proiettando da ottobre»). Un film che – ahimè – è pure animato. Non resta che un’unica, magra consolazione: un sacchetto di popcorn da gustare perché «tanto è bello essere al cinema, no?».
Bastano tre minuti di cortometraggio 2D («Kino – Bucharest», 2022) per accorgersi di come Michaela Pavlátová sia capace di fare ironia sul cinema d’animazione con il cinema d’animazione. Proprio quel cinema d’animazione con cui lavora fin dal 1987, dopo una laurea all’Academy of Arts, Architecture and Design a Praga.
Alla regista e animatrice ceca, insegnante alla FAMU – Academy of Performing Arts, Film and TV School di Praga, «Bergamo Film Meeting» dedica quest’anno una retrospettiva completa, all’interno della sezione di Cinema d’Animazione. Dell’autrice verranno presentati – in anteprima mondiale – tutti i 25 titoli, tra corti e lungometraggi, compresi due live action. C’è di più. Pavlatova sarà ospite del festival da sabato 11 a martedì 14 marzo. Domenica 12 marzo, in particolare, terrà una masterclass dedicata agli studenti di cinema alle ore 15, in Sala Galmozzi, per poi incontrare il pubblico nello stesso luogo dalle 19 alle 20.
Emozioni e relazioni
«Sono interessata a film più “fisiologici”, basati sulle persone, piuttosto che a storie di fantasia. Per me, la realtà è la più grande fonte di ispirazione perché non devi andare lontano per trovare dei temi… è solo come la percepisci». Sono le parole di Michaela Pavlátová ad accompagnarmi tra i suoi cortometraggi: voglio rendermi conto di come la regista percepisca la realtà.
È una realtà che vive di relazioni umane, innanzitutto, e della loro complessità. Sono relazioni dove spesso è la donna ad averla vinta sull’uomo, senza alzare la voce e con un poco di furbizia. Accade in «Etuda z alba» («Studio di un album», 1987), primo corto d’animazione in 2D dell’artista, che a un tratto scarno e ben marcato accompagna un ritmo vivace e una spiccata ironia. Al centro, ci sono un uomo e una donna seduti a un tavolo, in preda ad un litigio. All’uomo che dice A, la donna risponde B. Queste due lettere non vengono semplicemente pronunciate, ma prendono forma: la A sempre più grande, in maiuscolo, appesa ad un muro; la B in corsivo, delicata, piccolina. Perché la B l’abbia vinta, alla protagonista serve un po’ d’astuzia: porrà un’invitante salsiccia sul tavolo, capace di cancellare ogni diverbio.
Si tratta di pochi minuti di indagine sulle più classiche dinamiche di coppia, ma agli occhi della me spettatrice risultano efficaci quasi quanto i novanta di «Nevĕrné hry» («Giochi infedeli», 2003). Primo lungometraggio in live action di Pavlátová, menzione speciale al «Festival internazionale di San Sebastián» nel 2003, vede al centro la figura di una pianista ricca di ambizioni che, sposata ad un compositore, si ritrova a dover rinunciare ai propri sogni, all’amata Praga e ai propri affetti, per esibirsi suonando il pianoforte ai matrimoni in un (troppo) tranquillo villaggio slovacco. Un affondo sulle intricate sfumature della vita coniugale, inquadrato dalla prospettiva di una giovanissima e timida vicina di casa.
La forza delle immagini
Rispetto ad un lungometraggio, il ritmo di un cortometraggio è molto diverso. È veloce, incalzante e presuppone forse uno spettatore più attento: a chi guarda si chiede infatti di cogliere e analizzare, in un tempo rapidissimo, simboli e figure. Per raccontare la realtà – emozioni e concetti compresi – a Pavlátová non servono dialoghi, ma immagini. In «Řeči, řeči, řeči» («Parole, parole, parole», 1991), la regista sceglie di rappresentare visivamente i pensieri e i discorsi che affollano un bar pieno di persone. Le parole che escono dalle bocche degli avventori assumono così la forma di sbuffi, palloncini e nuvolette pastello.
Qualche esempio? Dalla bocca di due donne loquacissime scaturisce un fiume dorato che va ad assumere i tratti di un elefante che cammina (quanto pesano i pettegolezzi?), mentre le parole d’amore di due innamorati si trasformano in tanti tasselli di un puzzle. E quando l’ultimo pezzo non si incastra più, i due amanti cominciano a urlare, a divorare l’uno gli sbuffi dell’altro, e si intristiscono, si arrabbiano, si vomitano addosso parole. Sono immagini che fanno sorridere e al tempo stesso commuovono, per la capacità di Pavlátová di svelare – di quella realtà che la interessa fin dai primi lavori – anche il non detto, con leggerezza e ironia. Una capacità che le vale, nel 1993, la nomination agli Oscar per il Miglior cortometraggio d’animazione.
Alla verve ironica si associa spesso, nei lavori della regista ceca, anche una verve erotica e uno sguardo irriverente: è il caso di «Karneval zvířat» («Il carnevale degli animali», 2006), sensuale fantasia musicale in animazione su carta che alterna i primi rossori e le prime erezioni di un gruppo di adolescenti ad immagini colorate di insetti che impollinano fiori, animali che si accoppiano, lumache che risalgono corpi nudi di signore al parco. La sensualità e l’attenzione sul corpo assumono i tratti di una festa dai colori brillanti, a cui partecipano sia gli animali che gli esseri umani.
Ancor più provocatorio è «Tramvaj» («Tram», 2012), rappresentazione delle fantasie falliche («sì, anche le donne possono fare sogni erotici», ci dice Pavlátová) di una simpatica e procace tramviera vestita di blu, unica punta di colore tra noiosi e indifferenti passeggeri grigi.
Non solo animazione tradizionale, su carta o 2D. Nei suoi cortometraggi, Pavlátová sperimenta. «Až navěky» («Per sempre», 1998) è un cortometraggio in tecnica mista, che a frame in live action di un banchetto di nozze unisce momenti memorabili di animazione. Momenti che consentono all’artista di dare piena voce alle proprie simpatie femministe, elevando la donna a maestra delle relazioni: al marito arrivato dal lavoro, la moglie toglie scarpe, prepara la cena, fa il bagno… per poi trasformarlo in un bambolotto, un pupazzetto da tenere in borsa. Per non parlare della figurina animata dell’uomo, che vaga persa su un’immensa coperta bianca, che più che coperta è una distesa di neve con tanto di rumori di tormenta.
I lavori di Pavlátová ci stuzzicano, permettendo all’inaspettato – ma anche al sogno, alla fantasia sessuale, al taciuto – di irrompere nel quotidiano. Ma c’è spazio anche per l’attualità: nel corso del «Bergamo Film Meeting» verrà proiettato anche «My Sunny Maad» («La mia famiglia afgana», 2021) primo lungometraggio animato dell’autrice.
Coproduzione ceca-slovacca-francese, premio César 2022, il film racconta la storia di Herra, giovane donna di origine ceca innamoratasi dell’afgano Nazir, costretta a trasferirsi a Kabul e ad accettare di veder cambiare il suo status di moglie. Un film che, soprattutto dopo il ritorno al potere dei talebani in Afghanistan, sa parlare anche a coloro che – come i protagonisti di «Kino-Bucharest» – non amano particolarmente il cinema d’animazione.