Terra di sole, di mare, dei suoni nostalgici del fado che riempiono i vicoli dell’Alfama. Ma anche di sperimentazione, di creatività e di innovazione. Dagli inizi del Novecento ad oggi, il Portogallo è cresciuto fino a diventare un punto di riferimento per il cinema d’animazione, non solo per la quantità di film che ha prodotto e presentato al grande pubblico, ma soprattutto per la capacità dei suoi autori di esplorare le tecniche più innovative: sagome ritagliate, animazione della sabbia, tecniche miste, computer animation, stop motion.
Tra i registi di animazione portoghesi più noti ricordiamo José Miguel Ribeiro, che il 15 marzo alle 16 sarà ospite del «Bergamo Film Meeting» con una masterclass e presenterà il suo primo lungometraggio animato «Nayola». E come dimenticare Regina Pessoa e il suo pluripremiato corto sull’infanzia «Kali, o Pequeno Vampiro»? Il «BFM» la omaggiò nel 2011.
Quest’anno, la kermesse bergamasca ha deciso di dedicare un’intera sezione al cinema d’animazione portoghese e alle sue nuove generazioni d’autori, la generazione X e la generazione Y. Un gruppo di giovani che sempre più si sta dimostrando capace, partendo da un patrimonio ricchissimo, di espanderne i confini, creando, sperimentando e sfruttando le possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Una collaborazione preziosa tra il «BFM» e Agência – Curtas Metragens C.R.L. ha portato all’individuazione di sei autori premiati ai festival di Cannes, Annecy, Clermont-Ferrand, Zagabria e Busan. Parliamo di Marta Monteiro (1973), Alexandra Ramires, nota anche come Xá (1987), Laura Gonçalves (1988), João Gonzalez (1996), e il duo Vasco Sá (1979) e David Doutel (1983), che sarà presente al festival il 9 e il 10 marzo.
Alcuni di questi registi hanno formato collettivi o associazioni, come BAP – Animation Studio, una cooperativa fondata da Vasco Sá, David Doutel, Laura Gonçalves e Alexandra Ramires (Xá), che supporta lo sviluppo collettivo di progetti di animazione, contribuendo alla diversità e all’innovazione del panorama cinematografico portoghese.
Storie individuali e temi universali
Basta fermarsi a guardare un paio di cortometraggi per rendersi conto di come l’animazione sia molto di più che pura tecnica, ma un tentativo di riflessione per immagini su temi autobiografici, pagine di storia, paure e drammi universali.
È un caldo pomeriggio di agosto. Un uomo suona la chitarra, mentre una famiglia si ritrova a tavola per il pranzo. Così Laura Gonçalves dà inizio al suo «O Homem Do Lixo» (2022). Al centro del racconto, la figura di Manel Botão, uno zio della regista emigrato in Francia, dove visse e lavorò trent’anni come netturbino. Alle animazioni prevalentemente bianche e nere si uniscono i tratti di un personaggio colorato, avventuroso e generoso, capace di aggiustare e dare nuova vita agli oggetti di scarto recuperati a bordo strada: lavatrici, attrezzi per i campi, biciclette da regalare ai nipoti. A ritmo di musica, Laura Gonçalves dipinge un quadro di vita familiare che lascia sullo sfondo un capitolo buio della storia portoghese – la dittatura, la miseria –, per concentrarsi sui ricordi più spiritosi di una famiglia unita.
«Água Mole» (2017), prima collaborazione di Laura Gonçalves con l’animatrice Xà, parte ancora una volta da un episodio reale, biografico: l’avanzata del progresso che porta allo spopolamento di alcuni piccoli villaggi della campagna portoghese. L’immaginario esplorato a frame bianchi e neri è ricco di elementi simbolici: l’acqua – il cortometraggio si apre con l’immagine di una fontana a cui si abbeverano persone e animali, mentre il villaggio verrà sommerso lentamente a mano a mano che i suoi abitanti emigrano – gli esseri umani spazzati via dal vento, le ancore, l’albero di sughero, unica pianta cinquecentenaria in grado di resistere all’oblio.
Con le tecniche dell’animazione, i giovani animatori contemporanei riflettono sulle paure e le psicosi che più attanagliano l’uomo. Ecco allora «Nestor» (2019) di João Gonzalez. Al centro, un uomo vittima di un disturbo ossessivo-compulsivo, che vive su una casa galleggiante in mezzo al mare affrontando ogni giorno – con gli occhi che si allargano e si restringono a intermittenza come luci lampeggianti di una sirena – il rischio che qualcosa sfugga al suo controllo. Oppure, sempre dello stesso autore, è il bellissimo «The Voyager» (2017), storia di un pianista che soffre di agorafobia e vive in un appartamento minuscolo in un palazzo con un’infinità di piani. Sono poco più di quattro minuti privi di dialoghi: c’è solo la musica composta dal protagonista stesso al pianoforte, che in un gioco metanarrativo diviene colonna sonora dell’intero corto.
E ancora, Marta Monteiro in «Sopa Fria» (2023) dipinge la quotidianità di una donna vittima di violenza domestica facendo uso di immagini di grande impatto visivo: la protagonista è una silhouette nera, che cerca una via di uscita mentre la casa dove abita si rimpicciolisce, si piega su sé stessa, oppure si allaga inesorabilmente.
Tecniche di animazione innovative e contenuti di qualità hanno portato l’animazione portoghese negli anni a una riconoscibilità a livello internazionale: con il loro «Fuligem» (2014), un viaggio che segue, attraverso lo sguardo di un bambino che diventa adulto, la chiusura delle linee ferroviarie in Portogallo e l’incuria che ha invaso i luoghi non più serviti dai treni, David Doutel e Vasco Sá hanno vinto il «Cinanima – Espinho International Animation Film Festival», il più importante festival di cinema d’animazione portoghese e uno dei più antichi d’Europa.
Riflettere sul mondo con un cortometraggio
Tra le perle che il «Bergamo Film Meeting» offrirà agli spettatori c’è «Ice Merchants» (2022) di João Gonzalez. Classe 1996, tra i registi più giovani del focus «Gerações X\Y», nel 2022 Gonzalez è stato il primo animatore portoghese ad essere premiato al «Festival di Cannes», per poi venire nominato agli Oscar nello stesso anno e vincere un Annie-Award.
In poco meno di un quarto d’ora, Gonzalez riflette sul riscaldamento globale, su quella concezione dello scarto che ci spinge a gettare le cose che non usiamo più, senza pensare che queste possano accumularsi, sommergerci, distruggerci. Servendosi di pochi colori – marroncino, azzurro, bianco – e di tratti a mano stilizzati, il regista racconta la storia di un padre e di un figlio che vivono in una casetta ancorata alla parete di una montagna. Ogni giorno, i due protagonisti si precipitano in paracadute nel villaggio sottostante per vendere agli abitanti i cubetti di ghiaccio che producono.
L’instabilità di questa quotidianità è chiara allo spettatore fin dalle prime immagini – un’altalena su cui il bambino dondola, noncurante del pericolo – ma non ai due personaggi del corto, che continuano imperterriti nei loro su e giù. Finché l’equilibrio si spezza, quando nella cassetta del ghiaccio il padre trova solo acqua e il termometro segna l’aumento della temperatura. I protagonisti spiccano allora il loro ultimo volo, atterrando su una montagna di cappelli: sono quelli che ogni giorno perdevano lanciandosi dalla montagna, andati a formare un’emblematica discarica.
Ecco allora che la libertà di disegnare, animare e manipolare ambiente e personaggi tipica di questa nuova generazione di animatori portoghesi si traduce in uno strumento straordinario ed efficace per raccontare in pochi minuti il mondo e i suoi temi più complessi. Storie individuali si fanno storie universali. E le parole, di fronte a un cubetto di ghiaccio o a una locomotiva abbandonata, non servono nemmeno più.