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L’insospettabile leggerezza del canto, nel nuovo film di Alberto Valtellina

Articolo. Il documentario «Di lavoro canto» racconta le attività della Compagnia Piccolo Canto di Bergamo, ma è anche una riflessione sul valore sociale del canto – a tutte le età e in tutti i modi possibili – attraverso un viaggio e uno sguardo inaspettati. Il film verrà presentato in anteprima il 25 giugno alle 21.30 all’Arena S. Lucia di Bergamo

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«Ho pianto quando è morta mia moglie, ma ho pianto anche quando ho dovuto lasciare la fisarmonica...» esclama Giovanni, anziano ospite di una casa di riposo. Giovanni racconta quando da giovane insieme a fratelli e genitori si esibiva cantando ai matrimoni, accompagnato dal suono della fisarmonica, mentre chiacchiera con Ilaria, Miriam e Swewa, tre delle cinque componenti e anime della Compagnia Piccolo Canto di Bergamo. Una frase che strappa una risata amara, ma che volendo racchiude anche un po’ il senso di un film come « Di lavoro canto». Del racconto cioè di un’attività, quella del canto appunto, che è qualcosa di più di un’attitudine o un’esperienza: una parte irrinunciabile del nostro essere, un’espressione del sé che non smette mai di battere e manifestarsi come bisogno primario. Perché tutti – chi più chi meno, chi meglio chi peggio – a un certo punto della nostra vita iniziamo a cantare e il canto, dopo aver imparato a parlare, è qualcosa che ci viene come una sorta di istinto naturale. Allo stesso modo in cui ci viene voglia di provare a correre non appena si è imparato a camminare.

Il film di Alberto Valtellina, che per diverse settimane segue Ilaria Pezzera, Miriam Gotti e Swewa Schneider durante le attività del gruppo, la mette in mostra molto bene questa forza “gentile” che il canto innesca nelle persone. Senza distinzione di età, estrazione sociale o culturale, la Compagnia Piccolo Canto ancora prima che canzoni e musica costruisce relazioni, dialoghi e scambi reciproci con le donne e gli uomini con cui entra in contatto. Il canto in questo senso si attesta come un valore sociale inestimabile e potentissimo, perché comprensibile e accessibile a tutti. E allora vediamo le tre protagoniste esibirsi in canti tradizionali di fronte agli anziani delle Rsa, così come a comunità straniere, gruppi di housing sociale e cooperative.

Questi incontri – che rientrano nel progetto «Note promemoria» in cui il gruppo è impegnato da qualche tempo, e che prevede di usare il canto come strumento di racconto e condivisione attraverso laboratori e spettacoli dal vivo – diventano l’occasione per una vera e propria negoziazione culturale. Le canzoni si trasformano in monete di scambio per mezzo delle quali diventa possibile capirsi e operare un riconoscimento reciproco, annullando le distanze culturali e generazionali.

Ilaria, Miriam e Swewa – che in alcuni momenti vediamo esibirsi anche insieme a Barbara Menegardo e Francesca Cecala, le altre due componenti del gruppo – non si limitano a cantare o recitare ma, come ogni bravo performer dovrebbe fare, ascoltano. Sia le canzoni delle persone con cui entrano in contatto, sia le loro storie. In questo senso la loro attività – e il film allo stesso modo – mostra in maniera esemplare come il canto sia in grado di innescare una profonda riflessione memoriale. Ognuno di noi, infatti, alle canzoni della propria vita lega un ricordo, una storia o una persona che lo riguarda. In questo senso cantare diventa una forma di riappropriazione della memoria, del vissuto e del proprio passato, e condividere questi ricordi nel film significa abbandonarsi a una specie di seduta psicanalitica in cui le protagoniste da un lato e la macchina da presa dall’altro agiscono come attivatori.

Ascoltare appare dunque come l’azione chiave all’interno di «Di lavoro canto». Quella cui girano intorno tutti i temi e le questioni che il film mette in risalto. È per mezzo dell’ascolto che si gode della musicalità del canto, è ascoltando (cosa ha da dire e come si esprime) che si legittima l’altro, anche quando è uno sconosciuto, è ascoltandosi – cantare soprattutto, ma anche parlare, ricordare – che si impara a riflettere sulla propria memoria ed è attraverso l’ascolto infine che si attiva quella “restituzione” culturale cui il progetto al centro delle attività del gruppo mira.

Un gruppo – nato nel 2017 – del quale si intuisce sin dalle prime inquadrature il grande affiatamento e la forza del collettivo. La familiarità delle relazioni fra le tre (talvolta cinque) donne che ne fanno parte è sottolineata da una camera sottilmente indiscreta con cui Valtellina – complice anche il rapporto di amicizia che lo lega alle protagoniste – riesce a cogliere istanti di vera autenticità. Ma per mezzo della quale ritaglia anche alcuni momenti individuali in cui ognuna (mentre si trova alla guida o passeggera di un’auto) si racconta e racconta il rapporto con le altre, abbandonando per un attimo il ruolo di intervistatrice – che per tutto il film tutte e tre svolgono con grande empatia – e trasformandosi in soggetto intervistato.

Anche qui la macchina da presa (oltre che la macchina sulla quale ognuna di loro viaggia) diventa uno strumento di estrazione di ricordi, emozioni, pensieri. E se Miriam, direttrice del coro femminile Le stonote e Arcinote, racconta come “recuperare” al canto persone cui per tutta la vita è stato fatto credere di essere irrimediabilmente stonate sia la parte più gratificante del proprio lavoro, Swewa condivide i pensieri e le riflessioni alla base del monologo teatrale di cui è autrice, sulle sue origini tedesche e le radici culturali e linguistiche che la legano inconsapevolmente al nazismo, mentre Ilaria confessa di non riguardare mai i suoi spettacoli perché non ama rivedersi recitare e di non essere mai del tutto in pace con la propria professionalità.

Insomma nella sua lineare e gradevole coerenza «Di lavoro canto» è in realtà un’opera sfaccettata, capace di veicolare numerosissime riflessioni, storie, discorsi, memorie e racconti. Tutti elementi che si coagulano o prendono vita da un dispositivo tanto semplice e naturale, quanto straordinario, come il canto. E immergersi nella visione può diventare un’occasione per ripensare il nostro modo di esprimerci attraverso la musica e le canzoni che amiamo, che cantiamo (o magari non abbiamo mai cantato) sia sotto la doccia, sia in mezzo agli altri.

Il film verrà presentato in anteprima il 25 giugno alle 21.30 all’Arena S. Lucia di Bergamo. Prima e dopo la proiezione, interventi canori dal vivo della Compagnia Piccolo Canto.

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