C’è qualcosa di coraggioso nell’insegnante che tenta una battuta per tenere desta l’attenzione della sua classe, quando la sua classe è tutta dietro uno schermo. È come recitare senza poter osservare le reazioni del pubblico, camminare bendati o fingere di nuotare in una vasca da bagno.
“La scuola non è secondaria”, il docu-film sulla Dad realizzato al Liceo Mascheroni di Bergamo nel novembre 2020, diretto e montato da Alberto Valtellina e Paolo Vitali (fotografia di Carlo Valtellina e musica di Guido Tacchini), dopo aver raccontato la vita in un condominio ne “Il condominio inclinato”, ora punta le telecamere negli spazi desertificati del liceo bergamasco, di fronte ai docenti che fanno lezioni nelle aule vuote, nei corridoi senza vita, nei laboratori disabitati. Il film dura 45 minuti, come una lezione in Dad.
La proiezione è prevista in due serate nella Sala Uno del Cinema Conca Verde di via Guglielmo Mattioli, a Bergamo: la prima, martedì 25 maggio alle 19.45, è gratuita (offerta da Fondazione Dalmine), previa prenotazione alla mail [email protected].
La seconda, venerdì 28 maggio, sempre alle 19.45, prevede un pagamento di 6 euro a biglietto, con prenotazione sul sito https://sas.18tickets.it. Entrambe le serate si concluderanno alle 21.40 circa, nel rispetto del coprifuoco.
Insegnare davanti a uno schermo
“Mi sentite? Mi vedete?”, sono le frasi che ricorrono più spesso, nel docu-film e nelle lezioni online. Finora, da genitori, abbiamo pensato alle difficoltà e alle fatiche nostre e dei nostri figli alle prese con la Didattica a distanza, più che al lavoro dei docenti. “La scuola non è secondaria” racconta proprio il grande lavoro dietro le quinte della scuola online, nel corso della seconda ondata della pandemia. Non i tentativi pionieristici della tragica primavera del 2020, ma il modus operandi più organizzato dell’autunno e dell’inverno, con il personale scolastico “in presenza” e gli studenti “in assenza”.
La connessione (più o meno) c’è, le lezioni seguono un calendario preciso, studenti e prof si sono attrezzati, ma la comunicazione resta difficile. L’impressione è che almeno metà del tempo sia dedicato alla ricerca di un contatto: “Ci siete? Capite quello che sto dicendo?”. Domande che in aula non ci sarebbe bisogno di fare, perché basterebbe uno sguardo. La funzione fàtica del linguaggio, quella parte della comunicazione che controlla il funzionamento del canale, come quando al telefono si dice “pronto?”, diventa quella prevalente. A discapito di tutte le altre, cosa che rende una lezione in Dad molto più faticosa di una lezione in presenza. Per questo il docente di matematica che tenta comunque di instaurare un clima scherzoso o la professoressa che lancia una battuta sulla lentezza della Ferrari di quest’anno sono doppiamente stimabili.
Emerge un ritratto inedito della comunità scolastica: provata, ma con capacità di adattamento e voglia di reagire, sospesa tra umorismo e malinconia, rassegnazione e speranza.
Ma allora, cambiare si può?
Quando, come tutte le altre scuole secondarie superiori, a fine ottobre il Mascheroni è stato costretto a chiudere e a riavviare la cosiddetta Didattica a distanza non era più una novità. In pochi mesi, costretti dall’emergenza, è cambiata la quotidianità delle famiglie, ma anche i professori hanno cambiato radicalmente il modo di lavorare. Tutti, anche i più anziani e i meno avvezzi alla tecnologia, hanno imparato a fare lezione davanti a un pc, a gestire diversamente il materiale didattico, le interrogazioni, le verifiche.
La scuola a distanza è una soluzione di emergenza, che porta con sé tutti gli aspetti negativi di cui abbiamo sempre parlato (come in questa intervista ad Alberto Pellai): iperconnessione, solitudine, digital divide, aumento delle disuguaglianze, impoverimento della didattica. Ma è anche uno strumento che ha consentito di continuare a fare scuola e che potrà avere applicazioni interessanti anche per il futuro. Si trattava solo di rompere le resistenze inziali, come accaduto nel mondo del lavoro con lo smart working.
Soprattutto, questa esperienza ci insegna che la scuola non è per forza un vecchio dinosauro irriformabile, ma che può cambiare, se il cambiamento è considerato necessario e non rimandabile. Per questo, come dicono i genitori, non basta riaprire la scuola, ma bisogna farlo in modo diverso. Per prima cosa riducendo il numero di alunni per classe, cosa che migliorerebbe sia la didattica sia le condizioni sanitarie. Se dal Covid avremo imparato qualcosa, non sarà stato tutto sprecato.
Il valore del documento
C’è qualcosa di surreale nel tornare al cinema dopo tanto tempo, e trovarsi non più soli davanti allo schermo. “La scuola non è secondaria” ci proietta indietro, nelle aule vuote, dove i professori si confrontano con una classe di ectoplasmi, mezzibusti, iniziali di nomi.
Spiega il regista Alberto Valtellina: “Io e Carlo Valtellina abbiamo posato semplicemente la macchina da presa sul treppiede e cercato l’inquadratura adatta, abbiamo registrato immagini e suono in diversi spazi della scuola, nei corridoi, nei cortili... L’architettura del Liceo si presta a un racconto da Deserto dei Tartari, costruita con uno strano dialogo tra gli edifici storici e gli inserti recenti. In fase di montaggio abbiamo costruito, con Paolo, il film che ha la durata di una lezione Dad: 45 minuti. Il suono del trombone del Maestro Guido Tacchini, nei registri bassi, nei borbottii, risuona tra i corridoi vuoti, nelle aule che gli insegnanti stanno “sanificando” a fine lezione, nei laboratori e auditorium in attesa”.
Non c’è vittimismo nel dire che è stato un momento drammatico per l’istruzione, che valeva la pena filmare anche solo per averne una documentazione che rimanga per il futuro, sperando che la situazione mantenga il suo carattere di eccezionalità.
Magari fra venti, trenta o cent’anni si guarderanno le foto di classe con la mascherina o le immagini dei professori soli in un’aula deserta, con i volti dei loro studenti proiettati da uno schermo, come noi oggi guardiamo le foto in bianco e nero dei bambini alle prese con le esercitazioni antigas durante la guerra. Racconti lontani di un’epoca bizzarra e difficile, e dello spirito di adattamento dimostrato.
Come nell’epistola di Seneca a Lucilio, citata dalla professoressa di latino in un momento del film: “Alcuni momenti ci vengono portati via, alcuni vengono sottratti, alcuni scorrono via. (...) Afferra tutti i momenti; così accadrà che tu dipenda meno dal domani, se porrai mano all’oggi”.