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In «Nonostante» Valerio Mastandrea racconta la sua surreale love-story in ospedale

Intervista. In questo film Mastandrea racconta una surreale love story in ospedale, affrontando la morte e l’amore con ironia. Il film esplora il coma come metafora di un’esistenza sospesa. Con Dolores Fonzi e Giorgio Montanini, Mastandrea propone un racconto originale e emozionante

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Confrontarsi con l’amore e la morte è tanto doloroso quanto inevitabile. Lo sa bene chi va spesso al cinema: i temi della perdita e del sentimento sono tra i più diffusi nelle pellicole in sala. E tutte li trattano in punta di piedi, adottando formule estetiche e narrative consolidate, forse per paura di scontentare parte del pubblico, di ferire gli spettatori o di apparire indelicate e prive di empatia. «Nonostante», l’ultimo film di Valerio Mastandrea, è una piacevolissima eccezione in un panorama così piatto: la malattia (il coma, in questo caso) e il trapasso vengono affrontati con ironia e disincanto; il sentimento non è quello viscerale delle grandi pellicole di Hollywood, ma è qualcosa di più, che assume dei caratteri del tutto nuovi in virtù nell’ambientazione in cui avviene l’innamoramento.

Ambientazione che è un reparto d’ospedale di Roma, dove i due protagonisti (entrambi senza nome, uno interpretato dallo stesso Mastandrea e l’altra da Dolores Fonzi) sono ricoverati in stato di incoscienza. Proprio Valerio Mastandrea è stato al cinema Conca Verde di Bergamo venerdì 28 marzo, per promuovere la sua ultima pellicola. Noi di Eppen lo abbiamo intervistato: ci ha parlato della genesi di «Nonostante», delle ispirazioni dietro al film e del suo incredibile cast.

Una storia d’amore diversa da tutte le alter

BA: Come nasce «Nonostante»? Qual è l’idea dietro al film?

VM: L’intento era quello di raccontare una storia d’amore facile, classica, da manuale. Volevamo far emergere questa semplicità di fondo, e per farlo abbiamo deciso di collocare una trama molto tradizionale in un contesto totalmente assurdo. Paradossalmente, facendo così è più facile parlare delle emozioni allo stato brado.

BA: Questa è la sua seconda pellicola da regista e attore protagonista. Quali sono le sfide che emergono quando ci si trova sia davanti che dietro la cinepresa?

VM: In realtà pensavo che recitare e fare il regista allo stesso tempo fosse più complesso. Sul set non ci sono stati problemi, mi sono circondato di persone fidate. E comunque la sceneggiatura è stata scritta sempre da me, insieme a Enrico Audenino: le influenze e i riferimenti li abbiamo scelti noi, quindi sapevamo cosa volevamo ottenere. Abbiamo tratto spunto dalle sensazioni che ci suscitavano film come «Lost in Translation» e «Paradiso Amaro», per citarne un paio. La vera difficoltà è stata il montaggio: volevo sempre rifare le scene e cambiarle leggermente, per mettermi in situazioni in cui mi sarei trovato a disagio.

BA: «Nonostante» tocca temi “tabù” come il coma e la morte. Spesso lo fa con una buona dose di humor nero. Vi siete posti delle linee da non superare?

VM: No, mai. La morte non è il motore del film: volevamo parlare dell’amore, l’amore è il cuore della storia. Quello che abbiamo costruito intorno, quindi tutta la narrazione sulla vita, la morte, il coma, è arrivato di conseguenza: il nocciolo sentimentale ha fatto un po’ da calamita per il resto. Alla base c’era il desiderio di parlare dell’innamoramento tra due persone che vivono in una condizione di “pausa”, e quella del coma ci è parsa una metafora perfetta per esprimere lo stato in cui spesso ci troviamo: facciamo sempre le stesse cose con il pilota automatico, nelle nostre vite a volte c’è poca azione. «Nonostante» vuole spingerci a rivedere questo paradigma, a rimetterci in moto.

BA: Il mondo sospeso di «Nonostante» ha delle regole tutte sue, alcune molto creative. Come ve le siete inventate?

VM: Ci siamo dati un obbligo in partenza. Non volevamo scrivere di fantasmi, non volevamo assolutamente farlo. Quindi i nostri personaggi non passano attraverso gli esseri umani e i muri. Allo stesso tempo, per far capire allo spettatore che non si tratta di persone fisiche abbiamo usato un escamotage narrativo all’inizio del film: li abbiamo mostrati in piedi, in modo molto naturale, vicino al loro corpo sdraiato sul letto. Abbiamo giocato molto con l’assurdità del contesto. Anche il modo in cui rappresentiamo la morte e l’immaterialità discende da questa esigenza fondamentale, che è quella di mostrare in modo realistico qualcosa che di reale ha davvero poco.

Un cast d’eccezione

BA: Parliamo del cast di «Nonostante». La co-protagonista è Dolores Fonzi: è un’attrice molto nota in Sudamerica, ma che non ha mai recitato all’estero. Come è nato questo sodalizio?

VM: Dolores era un mio chiodo fisso da una decina d’anni. L’avevo vista per la prima volta al Festival di Torino, in un film argentino intitolato «Paulina». Se lo trovate da qualche parte recuperatelo, ve lo consiglio! Quando ho scritto «Nonostante», Dolores è stata la prima a cui ho mandato il copione, e anche l’unica. Ha risposto di sì immediatamente, ed è una cosa assurda: in Argentina lei è famosissima, e mettersi in gioco così in un Paese completamente diverso e in un’altra lingua non è da tutti.

BA: Un altro attore con un ruolo speciale nel film è Giorgio Montanini. Al di là della finzione cinematografica, è stato in coma per 45 giorni: questa esperienza ha inciso sulla sua caratterizzazione?

VM: La scelta di Montanini è stata molto pensata, perché ci serviva per distruggere i codici del racconto che avevamo consolidato. Il suo personaggio, un volontario che canta nei reparti di rianimazione, può comunicare con le anime delle persone in coma, ed è un potere unico nel suo genere. Ma questa sua peculiarità gli dà quasi fastidio: lui vuole stare tranquillo, da solo. Per questo abbiamo scelto un attore tormentato, e per giunta lo abbiamo messo in situazioni che non gli si addicono. Montanini non sa cantare, perciò gli abbiamo messo un microfono in mano. Ha paura dei cani, e quindi lo vediamo mentre porta in giro i cani per Roma.

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