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Il Bergamo Film Meeting ai nastri di partenza

Guida. Sabato 8 marzo prende il via la 43ª edizione del Bfm. Scopriamo nel dettaglio le sezioni, gli ospiti – fra cui spicca il regista tedesco Christian Petzold – e le curiosità sul festival cinematografico più iconico e prestigioso della città che per l’occasione ha rinnovato anche la sua sede storica

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Sono 160 i film in programma al Bfm 2025, edizione 43. Che divisi per i nove giorni di programmazione fa (circa) 18. Impossibile anche solo pensare di vederli tutti, ovviamente, ma il fatto che la scelta sia così ampia, per un festival che dispone soltanto di tre sale (di cui solo una a tempo pieno), fa ben capire lo sforzo e l’attenzione che stanno dietro a una macchina organizzativa tanto complessa. E del resto se da oltre quarant’anni il Bergamo Film Meeting è una delle manifestazioni culturali di riferimento della città è perché riesce ancora a far valere la propria autorevolezza in campo cinematografico, creando una mediazione efficace fra cinema d’essai e gusto del pubblico, non solo cinefilo.

L’edizione di quest’anno è l’esempio più lampante di tutto questo: il copione è quello di sempre, le sezioni storiche ci sono tutte e come di consueto la parte del leone la fanno le retrospettive. Ma ci sono anche le collaborazioni con le realtà del territorio (come Bergamo Jazz, Orlando o The Blank), l’attenzione per gli spettatori giovani e giovanissimi (il festival per le scuole «Kino Club») o quella per i professionisti del settore (le due giornate «Film Industry Meeting» dedicate quest’anno alla distribuzione dei film classici in un mondo ormai completamente digitale). Ma andiamo con ordine.

Le due sezioni competitive – la «Mostra concorso» con gli abituali sette lungometraggi di fiction e «Visti da vicino» che presenta 14 documentari indipendenti – sono quelle che assegnano i premi e che spaziano nel panorama cinematografico nazionale e internazionale con una ricerca improntata a scoprire opere inedite in Italia e autori giovani o alle prime esperienze. Anche quest’anno, come da tradizione, l’attenzione è concentrata sulle produzioni europee con film che arrivano da tutti gli angoli del continente (Austria, Germania, Francia, Portogallo, Spagna, Scandinavia, Repubblica Ceca, Bulgaria, ecc) ed è qualcosa che rende molto bene l’idea della poliedricità, della varietà degli sguardi e delle tendenze del cinema di oggi.

La sezione «Europe Now», quella che da sempre si focalizza sul cinema d’autore, sempre europeo, più significativo del presente, rende omaggio a due registi di cui raccoglie le personali complete: la ceca Alice Nellis e il tedesco Christian Petzold. Nellis, vecchia conoscenza del Bfm – ha vinto il terzo premio (che all’epoca si chiamava Rosa Camuna) al festival sia nel 2001 sia nel 2008 – con un passato da musicista è una delle autrici più apprezzate del cinema ceco contemporaneo e ha una carriera piuttosto eclettica alle spalle, con esperienze come sceneggiatrice e regista in ambito cinematografico (sia fiction che documentario) televisivo ma anche teatrale. Il suo lavoro affronta i temi complessi della vita ordinaria, come la genitorialità, i rapporti umani e le sfide che impongono i cambiamenti inaspettati o i piccoli e grandi traumi della vita. Un cinema apparentemente semplice, che racconta storie drammatiche toccando talvolta le corde della commedia o del realismo magico, tutto da scoprire.

Christian Petzold invece è uno dei maggiori autori del cinema europeo ed è senza dubbio (e per distacco) l’ospite più illustre del festival di quest’anno. Classe 1960, tedesco originario della Germania orientale ma cresciuto a ovest, è uno degli artisti della sua generazione che meglio incarna il vorticoso cambiamento che ha segnato la Germania dopo la caduta del muro. Cinefilo incallito e formatosi alla prestigiosa DFFB (l’accademia di cinema e televisione di Berlino) è stato allievo di Harun Farocki – uno dei grandi autori del cinema tedesco, maestro della videoarte e del cinema sperimentale – da cui ha senz’altro ereditato l’impronta politica, ma non la tendenza antinarrativa del racconto. I film di Petzold sono caratterizzati infatti da una forma narrativa complessa, in cui si fondono diversi stili e convivono forme di racconto differenti che spaziano dal realismo al fantastico, dal documentario al genere e dalla classicità al contemporaneo. Se nella prima parte della carriera il regista ha affrontato da vicino il tema della riunificazione della Germania («Die innere Sicherheit», 2000; «Gespenster», 2005 e «Yella», 2007) e della storia recente del proprio paese – «La scelta di Barbara» con cui vince l’Orso d’argento alla Berlinale del 2012 e forse suo film più famoso, è la storia, ambientata nel 1980, di una dottoressa che cerca di fuggire dalla DDR – nelle opere successive matura uno sguardo più introspettivo e pur non abbandonando il cinema di impronta storica, inizia a comporre racconti dentro ai quali l’aspetto emotivo e interiore dei personaggi diventa predominante. Opere come «Il segreto del suo volto» (2014), «La donna dello scrittore» (2018) e il recente «Undine - Un amore per sempre» (2020) mescolano infatti cinema di genere, storia e memoria con una prospettiva che resta incollata ai volti e alle emotività dei protagonisti. Il suo ultimo film, «Il cielo brucia», Orso d’oro a Berlino nel 2023, è ancora qualcosa di diverso: ambientato nel presente, raccontato con toni da commedia e capace di fondere lirismo e malinconia in un clima struggente e da fine del mondo. Per chi non conosce o non ha visto tutti i film di Petzold un’occasione unica e da non perdere. Il regista sarà a Bergamo domenica 9 marzo e incontrerà il pubblico presso la Sala Galmozzi della Biblioteca Caversazzi dalle 18.30.

E a dimostrazione che, come si diceva, le retrospettive sono da sempre le sezioni più attese e amate del Bfm, anche gli altri due nomi scelti dal festival per essere ricordati e omaggiati con una selezione di opere sono di altissimo profilo: Wojciech Has (a cui è dedicata l’immagine ufficiale dell’edizione di quest’anno) e Otar Ioseliani.

Has (1925-2020), di cui quest’anno si ricorda il centenario della nascita, nato a Cracovia è stata una figura di riferimento del cinema polacco. Con una carriera eterogenea che dal cinema ha spaziato al documentario didattico e soprattutto all’insegnamento (è stato per anni preside della prestigiosa Scuola Nazionale di Cinema, Televisione e Teatro Leon Schiller di Łódź), Has è stato un esponente di spicco della “scuola polacca” degli anni Cinquanta e Sessanta, un gruppo di autori che attraverso le proprie opere ha riflettuto sulla storia tormentata del proprio paese con una forte attenzione ai temi storici e morali, spesso legati all’esperienza della Seconda Guerra Mondiale e all’oppressione politica. Lo stile di Has si distingueva da quello degli altri per uno sguardo unico, visionario e surreale e fatto di strutture narrative non lineari, atmosfere oniriche e l’esplorazione di temi filosofici e metafisici. Film come «Il manoscritto trovato a Saragozza» (1965) – amato e citato spesso da Scorsese, che ha anche finanziato il restauro di molte opere del regista – e «La clessidra» (1973) che saranno proiettati al festival, sono gli esempi più limpidi di questa sperimentazione visiva incessante e caratteristica che ancora oggi è un’impronta originalissima e inconfondibile del cinema di Has.

Inizialmente programmato per l’edizione dello scorso anno, l’omaggio a Otar Ioseliani (1934-2023) è soprattutto un ricordo della straordinaria carriera del regista georgiano all’indomani della sua scomparsa avvenuta nel dicembre del 2023. Ioseliani autore dallo stile personalissimo, allo stesso tempo poetico, ironico e anticonvenzionale è stato un regista unico nel suo genere: nato in Georgia nel 1934, allora parte dell’Urss, mosse i primi passi come regista nel paese natio, ma continuamente osteggiato e censurato dal regime decise di emigrare in Francia nel 1982. Qui il suo cinema – finalmente libero – ebbe l’opportunità di esprimere tutta la propria forza e espressività. La capacità del regista di osservare con affettuosa malinconia le dinamiche della società e i rapporti controversi fra individuo e potere è diventata ben presto la cifra della sua poetica, mentre la sua visione disincantata in cui la libertà risulta sempre minacciata da qualcosa o qualcuno e l’armonia tra uomo e natura è costantemente in bilico, sono il segno del suo sguardo non riconciliato sul mondo e la storia. Opere come «C’era una volta un merlo canterino» (1970), «I favoriti della luna» (1984) o «Addio terraferma» (1999), tutte in programma al festival, sono intrise di un umorismo sottile e surreale, capace di trasformare anche le situazioni più ordinarie in piccoli quadri di poesia visiva e lontani anni luce dai canoni del cinema tradizionale dalle convenzioni della narrazione classica.

L’appuntamento è dall’8 al 16 marzo all’Auditorium di Piazza della Libertà – che riapre i battenti dopo un lungo lavoro di ristrutturazione – dove all’interno degli spazi appena risistemati ci sarà anche la nuovissima Sala dell’Orologio e al Cineteatro del Borgo in cui si terranno le proiezioni della sezione «Visti da vicino». Per tutte le info su abbonamenti, ingressi, calendario e appuntamenti collaterali rimandiamo al sito del festival.

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