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«From Venice with Love». I nostri consigli in diretta dalla Mostra del cinema

Articolo. L’81esima edizione della rassegna internazionale è in pieno svolgimento. Con un significativo aumento di pubblico e una buona qualità del programma, sembra che il rilancio che il festival aspettava da anni sia finalmente in corso. Ecco i film più attesi che possiamo già vedere nelle nostre sale

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Joker: Folie à Deux

Erano diversi anni, almeno dai tempi pre-Covid, che non si vedeva così tanta gente affollare gli spazi della Mostra del cinema qui al Lido di Venezia. E nonostante le code chilometriche e un caldo insopportabile (anche questo non così fastidioso da molto tempo), l’entusiasmo è alle stelle, le sale sono stracolme e, finora, il programma non sta deludendo appassionati e addetti ai lavori. Insomma, Venezia, che come tutte le grandi manifestazioni aveva patito un calo significativo a causa delle restrizioni e di una sostanziale diminuzione dell’interesse, sembra finalmente aver recuperato il fascino e lo smalto di un tempo.

Come a ogni edizione – che è da sempre posizionata nel momento più strategico della stagione cinematografica, cioè l’inizio – ci sono alcuni film, fra i più attesi della selezione ufficiale, che arriveranno direttamente in sala anche nel circuito tradizionale. Da questa settimana fino ai primi di ottobre, saranno infatti disponibili al cinema e sulle piattaforme opere di cui si parlerà molto e, in alcuni casi, faranno la parte del leone ai prossimi Oscar. Come «Maria» di Pablo Larraín, il biopic su Maria Callas con Angelina Jolie nei panni della Divina; un film visionario, struggente e crudele come solo il cinema del regista cileno – già autore dei ritratti inconsueti di Jacqueline Kennedy («Jackie», 2016) e Lady Diana («Spencer», 2021) – sa essere. O l’action-comedy «Wolfs - Lupi solitari» di John Watts, con la coppia superstar formata da George Clooney e Brad Pitt che impersonano due “fixers” (sorta di risolutori di guai nel giro degli ambienti malavitosi, nello stile di Mr. Wolf di «Pulp Fiction») in conflitto fra loro. Jolie e Pitt fra l’altro, entrambi al Lido ad accompagnare i propri film, sono stati ospitati dalla Mostra in giorni diversi, così che non corressero il rischio di incontrarsi, vista la causa milionaria per il divorzio che stanno affrontando in questi mesi.

E sempre a proposito di star, in «Babygirl» di Halina Reijn i protagonisti sono Nicole Kidman e Antonio Banderas, con l’attrice che interpreta una manager di mezz’età insoddisfatta della vita sessuale col marito e che inizia una relazione con uno degli stagisti della propria azienda, lasciandosi completamente sottomettere. Anche se il film è tutt’altro che indimenticabile, si parlerà molto dell’interpretazione di Kidman che, alla Mostra, è stata elogiata per essersi messa in gioco (e a nudo) in un’opera con tali contenuti nonostante i 57 anni da poco compiuti.

In «Queer» di Luca Guadagnino – ormai il regista italiano più amato e apprezzato dal pubblico internazionale – è invece Daniel Craig a ritagliarsi un ruolo inedito. Tratto dal romanzo omonimo di William S. Burroughs, il film racconta – con un gusto visionario traboccante e citazionista – dell’invaghimento di un uomo di mezz’età americano e tossicodipendente, che vive nella Città del Messico degli anni Quaranta, per un giovane connazionale che non lo corrisponde ma accetta le sue avances in cambio di denaro. Craig, nei panni di un alter-ego di Burroughs (che, come in tutti i suoi romanzi, racconta una storia autobiografica) è bravissimo trasformare il proprio corpo in quello di un personaggio corroso dal vizio e tendente all’autodistruzione che, anche a causa di un trauma che ha la necessità di rimuovere, ha perso ogni ambizione che non sia quella di smarrire completamente il proprio stato cosciente.

Il titolo che ci sentiamo di consigliare più di tutti – e che sarà in sala da noi ai primi di dicembre – è però l’ultimo film di Pedro Almodóvar: «La stanza accanto». Un’opera struggente, dolorosa e magnifica ispirata al romanzo «Attraverso la vita» di Sigrid Nunez, che parla di temi amari e strazianti come la malattia e la morte – che letteralmente ossessionano il regista spagnolo da diverso tempo – ma con una grazia, un’umanità e una pulizia di sguardo, oltre che di racconto, da lasciare sbalorditi. Qualcosa di più di un testamento, come stanno scrivendo in molti: un’introspezione profondissima che sfugge a ogni interpretazione e fa leva soprattutto sull’emotività e la sensibilità di ognuno di noi.

Se i film citati fin qui sono attesi più in là durante la stagione, ce ne sono invece alcuni che arriveranno in sala già in questi giorni e su cui ci vogliamo soffermare più nello specifico.

«Beetlejuice Beetlejuice» di Tim Burton

(dal 5 settembre)

Trentasei anni dopo «Beetlejuice - Spiritello porcello» (1988), Tim Burton torna alle origini del suo cinema, dirigendo il sequel del primo grande successo della sua carriera. Dopo la morte di Charles Deetz, tutti i componenti della famiglia tornano a Winter River (dove erano ambientati i fatti del 1988) e, a causa di una serie di eventi fra cui la necessità di salvare la figlia Astrid (Jenna Ortega) finita viva nell’aldilà, Lydia (Winona Rider) è costretta a evocare nuovamente Beetlejuice (Michael Keaton) che non l’ha mai dimenticata.

Inaspettatamente «Beetlejuice Beetlejuice» è il miglior film di Burton da vent’anni a questa parte. Come se il ritorno alle atmosfere gotiche care al suo cinema, così come a tutto quell’immaginario di mostri, fantasmi e freaks che lui stesso ha saputo rendere popolare, mischiandolo sapientemente con la commedia, il pop e una vena di inquietudine, lo abbia risvegliato da un torpore che sembrava quasi irreversibile. Questo nuovo «Beetlejuice» ha un ritmo travolgente, tantissime idee – compresa una particina per la nuova compagna di Burton, Monica Bellucci – e la capacità di raccontare cose già viste e conosciute senza perdersi nella ripetizione, aggiornando al 2024 anche la scrittura e la regia, invece che provare a scimmiottare o citare pedissequamente quelle del passato. Fra i recenti remake o sequel di grandi classici degli anni Ottanta (da «Ghostbusters» a «Top Gun» passando per «Indiana Jones» o i vari «Star Wars») «Beetlejuice Beetlejuice» è senz’altro quello meglio riuscito. Da non perdere!

«Campo di battaglia» di Gianni Amelio

(dal 5 settembre)

Liberamente tratto dal romanzo di Carlo Patriarca «La sfida» (2018), quest’ultimo film di Gianni Amelio, in lizza per il «Leone d’oro», esplora un periodo sorprendentemente poco affrontato dal cinema (oltre che ormai quasi del tutto dimenticato): quello della Grande guerra. Se i film sulla Seconda guerra mondiale sono infatti numerosissimi, quelli che si concentrano sulla Prima, soprattutto in Italia, sono un numero esiguo. «Campo di battaglia» racconta la storia di Stefano e Giulio (rispettivamente Alessandro Borghi e Gabriel Montesi), due giovani ufficiali medici e amici d’infanzia che, assegnati allo stesso ospedale militare, sono anche innamorati della stessa donna, l’infermiera Anna (Federica Rosellini). I due protagonisti hanno un modo molto diverso di incarnare il proprio ruolo: se il primo è intransigente e ossessionato a voler stanare i potenziali simulatori, l’altro aiuta i soldati a essere riformati procurando loro menomazioni incurabili.

Amelio riflette su un periodo storico drammatico attualizzando forse un po’ troppo personaggi, emozioni e dinamiche sociali (l’epidemia di Spagnola che richiama quella del Covid è un momento decisamente inopportuno), riuscendo tuttavia a rendere con efficacia la tragedia bellica. Costruendo – nella prima parte ambientata nell’ospedale e nella seconda fra le trincee d’alta quota – un vero e proprio inferno in terra che, cinematograficamente, ha le sembianze di un horror. E a ben vedere la fotografia dell’Italia che ne emerge è spaventosa e desolante, soprattutto se – come il film stesso invita a fare – si riflette su quello che di orribile è poi germogliato da tutte quelle macerie.

«Vermiglio» di Maura Delpero

(dal 5 settembre)

Una delle più belle sorprese della Mostra di quest’anno è senz’altro l’opera seconda della regista trentina Maura Delpero. Finita un po’ a sorpresa in concorso, Delpero con «Vermiglio» firma un film di grande rigore stilistico e precisione narrativa. La storia, ambientata a metà degli anni Quaranta – sul finire della guerra – sulle montagne del Trentino, racconta di una famiglia di Vermiglio (il paesino che dà il titolo al film si trova nei pressi del Passo del Tonale, al confine con la Lombardia) formata dal padre, maestro del paese, dalla madre e dai loro sei figli e di come la loro vita venga sconvolta dalle conseguenze della guerra, nonostante per questioni di età o sesso, nessuno di loro sia partito per il fronte.

Con uno stile che ricorda quello di Ermanno Olmi nel suo capolavoro «L’albero degli zoccoli» (1978), «Vermiglio» racconta una vita ormai cancellata dal tempo. Una vita legata ai ritmi della natura, al susseguirsi delle stagioni (nel film si ascolta a più riprese il disco de «Le quattro stagioni» di Vivaldi che passa nel grammofono del maestro) e al lavoro contadino e con gli animali. In tutto questo, che la regista mette in scena con un ritmo calibratissimo senza sprecare una sola inquadratura, si unisce la rappresentazione di abitudini, tradizioni e persone quasi del tutto scomparse, ma che con i loro volti e le loro usanze raccontano la nostra storia e l’eredità culturale che ci appartiene, della quale siamo fatti. Un cinema raro e prezioso quello di Maura Delpero, che unisce allo sguardo etnografico una forma elegante e calibrata davvero insolita nel panorama del cinema italiano contemporaneo.

«Joker: Folie à Deux» di Todd Phillips

(dal 2 ottobre)

Senza dubbio il film più atteso della Mostra, questo secondo capitolo di «Joker» – il primo vinse il «Leone d’oro» sempre a Venezia nel 2019 – è piuttosto diverso dal precedente. Phillips e il co-sceneggiatore Scott Silver, lasciano da parte il côté politico e l’ispirazione scorsesiana (il film del 2019 era una fusione di «Taxi Driver» e «Re per una notte», entrambi diretti da Martin Scorsese) e mettono in piedi una sorta di musical drama . La storia ruota intorno ad Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) che, dopo i fatti del primo film, è internato nel manicomio criminale di Arkham in attesa di processo. Qui incontra Harleen “Lee” Quinzel (Lady Gaga) con la quale nasce una passione fulminea e impetuosa tale da far risvegliare il malvagio Joker che abita dentro di lui.

C’è meno azione rispetto al «Joker» del 2019, meno confusione e anche meno carne al fuoco, mentre i numeri musicali “sostituiscono” in qualche modo le scene d’azione e violenza. Ne nasce un film strambo, con una trama illogica e sequenze lunghissime che hanno sempre al centro la figura di Arthur e Harleen. «Joker: Folie à Deux» somiglia infatti a una storia d’amore maledetta e impossibile, raccontata come una tragedia e resa in forma di farsa. E nonostante le coinvolgenti interpretazioni di Phoenix e Lady Gaga – come sempre straordinaria – resta il sospetto che il film scontenterà un po’ tutti, dai fan del primo capitolo a quelli del fumetto di riferimento. Ma anche chi immagina di assistere a un’opera che riflette sul senso del male e della barbarie della nostra contemporaneità nella forma di un grande spettacolo pop. Purtroppo.

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