Come ogni anno in questo periodo la programmazione cinematografica riprende vigore e in sala e sulle piattaforme si trova veramente di tutto. Il film del momento è sicuramente «Blonde», disponibile su Netflix da qualche giorno e già in testa alle classifiche di visione in tutto il mondo (noi ne avevamo parlato qui), ma sfogliando la programmazione c’è anche tanto altro che merita una visione.
«Omicidio nel West End» di Tom George
Al suo esordio al cinema, l’autore televisivo e radiofonico Tom George si cimenta in una sfida complicata, cioè quella di svecchiare e allo stesso tempo provare a variare sul tema di uno dei più fortunati e longevi schemi narrativi della letteratura e del cinema britannico: il giallo whodunit. Cioè il genere per eccellenza dei romanzi di Agatha Christie (quello in cui a seguito di un omicidio tutti i sospettati si trovano insieme nello stesso luogo e un sagace ispettore trova il colpevole). E proprio la scrittrice inglese diventa un personaggio di «Omicidio nel West End», durante la rappresentazione teatrale del suo «Trappola per topi» infatti ci scappa il morto (Adrien Brody) e lo sgangherato ispettore Stoppard (Sam Rockwell) di Scotland Yard inizia un’indagine piena di colpi di scena aiutato dalla giovane e solerte agente Stalker (Saoirse Ronan).
George tenta la strada della commedia – proprio come in «Mousetrap» – e più di una battuta brillante gli riesce, il tentativo “meta” di ragionare sul giallo e sulla sua rappresentazione invece annacqua un po’ il racconto e stempera decisamente anche la parte comica. E alla fine si rischia oltre che di capirci poco anche di perdere l’interesse a scoprire/capire chi sia il colpevole, cioè l’essenza stessa di ogni whodunit che si rispetti.
(Conca verde/Arcadia Stezzano/Uci Orio e Curno/Anteo Treviglio)
«Anna Frank e il diario segreto» di Ari Folman
Ari Folman è senz’altro uno dei maggiori animatori del cinema mondiale. Il regista israeliano – nato da genitori di origine polacca, entrambi ebrei, deportati ad Auschwitz nel 1944 – ha parlato spesso delle contraddizioni del suo paese e dell’incubo della guerra (quella del 1982 in Libano a cui partecipò come soldato è al centro del suo film più celebrato: «Valzer con Bashir»), ma non aveva mai affrontato apertamente il tema della Shoah . Con quest’opera invece rispolvera una storia che parte da ricordi personali ed è un patrimonio dell’umanità: quella del diario di Anna Frank.
Il film è ambientato nel presente e inizia nella casa-museo di Anna ad Amsterdam. Qui Kitty, l’amica immaginaria cui il diario è dedicato, prende vita dalla pagina scritta e ripercorre la vita di Anna (della quale non conosce la tragica fine) ma allo stesso tempo combatte una sua personale battaglia contro le discriminazioni e le moderne deportazioni che avvengono ancora (pur in un contesto del tutto differente da quello del 1944) nel cuore dell’Europa. Un film affascinante, visivamente straordinario e pieno di cose su cui riflettere e continuare a discutere. Assolutamente perfetto per le scuole e per i più giovani, ma da non perdere anche per chi ha qualche anno in più.
(Uci Curno/Conca verde)
«La notte del 12» di Dominik Moll
Un omicidio efferato e orribile, un ispettore che si butta anima e corpo nelle indagini ma fatica a venirne a capo, tutt’intorno un clima di indifferenza, meschinità e reticenza che appesantisce ancora di più il clima. «La notte del 12» è un polar, genere tutto francese (crasi delle parole policier e noir) che unisce le atmosfere del noir a quelle del poliziesco classico, con un’anima contemporanea. Che parte da un femminicidio – la vittima è la ventunenne Clara, bruciata viva senza una spiegazione – per raccontare un mondo, il nostro, fatto di pregiudizi e sentimenti negativi verso le donne: la povera Clara è quello che si dice una “vittima imperfetta” per via della sua voglia di libertà e per la sua spensieratezza.
Circondata da uomini – fra i quali il capitano Vivès, che cerca instancabilmente l’assassino – e quindi incline a essere giudicata, anche dopo la sua tragica fine, da chi si convince di poterle attribuire una qualsivoglia colpa per quello che le è successo. Il regista pur restando attaccato agli schemi del genere dipinge uno spietato ritratto dei nostri tempi, ambientando nel cuore delle Alpi francesi un episodio che potrebbe capitare ovunque in qualsiasi momento.
(Auditorium p.zza Libertà)
«In viaggio» di Gianfranco Rosi
Dal Sudamerica all’Asia, dal Medioriente all’Africa subsahariana passando per la periferia dell’Europa e fino all’ultima tappa in Canada. Dal 2013 Papa Francesco ha compiuto 37 viaggi in ben 53 paesi in tutto mondo. Il film di Rosi, il documentarista italiano più illustre e conosciuto, racconta questi pellegrinaggi attraverso un montaggio di immagini d’archivio che ai bagni di folla e ai discorsi pubblici alterna le piccole conferenze stampa, spesso improvvisate, con i giornalisti al seguito durante gli spostamenti aerei. Ne emerge il ritratto di un uomo instancabile che nonostante gli acciacchi dell’età – e la pausa forzata del Covid – porta avanti la sua missione di alfiere di pace fra i popoli. Alcune tappe dei suoi viaggi sono particolarmente significative e dicono molto rispetto all’idea di porsi come riposta ai conflitti atroci che dilaniano il nostro pianeta (la Palestina e Israele, l’Armenia e la Turchia e poi la Repubblica centrafricana, l’Iraq), mentre altre attraversano luoghi simbolo delle tragedie umane della contemporaneità (Lampedusa, il confine Usa-Messico).
Il regista come d’abitudine usa il montaggio come una forma di commento e crea un vero e proprio racconto che erige la figura di Francesco a quella di un «giusto fra le nazioni» capace di opporsi fermamente alle forme di repressione e dittatura ma anche di recitare sinceri mea culpa e chiedere scusa quando necessario. Forse non il più obiettivo degli sguardi, ma un omaggio sincero e appassionato.
(Capitol/Uci Orio e Curno/Anteo Treviglio)
«Gli orsi non esistono» di Jafar Panahi
Il regista Jafar Panahi, certamente il più importante autore iraniano della sua generazione, a causa dei contrasti ideologici con il governo del proprio paese dopo numerose incarcerazioni e diversi anni di arresti domiciliari – a causa della condanna a sei anni di prigione e il divieto di girare film pronunciata ai suoi danni nel 2010 – a luglio di quest’anno è stato nuovamente imprigionato e vive tutt’ora in stato di arresto. «Gli orsi non esistono», il suo ultimo film, girato poco prima dell’arresto, ultimato e fatto uscire dal paese grazie all’aiuto di alcuni amici, è passato in concorso alla Mostra di Venezia poche settimane fa, dove ha vinto il Premio speciale della giuria.
Premiato probabilmente più per la storia del suo autore che per altro è però un’opera straordinaria, in cui Panahi stesso si assegna il ruolo di protagonista e racconta la sua vita di perseguitato politico senza alcun dramma o vittimismo ma mostrando lo sconfinato amore per l’arte cinematografica, per il potere quasi medianico dell’immagine ma anche proprio paese e per la propria gente che lo anima. Nonostante nessuno di questi – né le immagini, né il popolo iraniano – possa salvarlo o sia totalmente incapace di tradirlo Panahi.
In un finale amaro (quasi premonitore) Panahi si arrende all’imperfezione e all’incompiutezza della natura umana e chiede al cinema di essere se non lo strumento di una salvezza almeno quello di una, l’ennesima, testimonianza. Un film da non perdere per tanti motivi, anche legati alla stretta attualità, che aiuta a capire molto bene tutte le contraddizioni di un paese straordinario e terribile come l’Iran di oggi.
(Lo Schermo bianco)