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Da Cannes arrivano Lanthimos, l’ultimo «Mad Max», Honoré e il film di Minervini sulla guerra civile americana

Articolo. Quattro film della selezione ufficiale del «Festival di Cannes», che si conclude oggi, sabato 25 maggio, sono disponibili (o stanno per esserlo) nelle nostre sale. Vediamoli da vicino

Lettura 5 min.
«Marcello mio», Christophe Honoré

Non sempre accade che i film del «Festival di Cannes» arrivino al cinema anche da noi a stretto giro o addirittura in contemporanea. Quest’anno invece ben quattro titoli, di cui due del concorso principale, hanno trovato una distribuzione immediata e sono già disponibili (o lo saranno presto) in sala. E siccome l’evento più importante del cinema mondiale suscita sempre un grande interesse – che per fortuna va al di là della mondanità, il gossip e il fashion che inevitabilmente lo accompagnano – abbiamo pensato di dare un’occhiata a queste quattro opere da vicino per dare qualche suggerimento in vista dell’estate...

«I dannati», Roberto Minervini

Regista italiano, ma che vive e lavora da più di vent’anni negli Stati Uniti, Roberto Minervini, al suo sesto film, realizza per la prima volta un’opera a carattere storico. «I dannati» è ambientato nel 1862, in piena guerra civile americana, e racconta di una sparuta pattuglia di volontari dell’esercito unionista che viene inviata a perlustrare i confini non mappati della zona occidentale del paese. Immersi in una natura selvaggia e meravigliosa e lontani da tutto – dagli orrori della guerra, ma anche dalle leggi della civiltà – i soldati si abbandonano alla contemplazione e alle riflessioni sul senso della loro esistenza e della loro missione. Memorie, rimozioni, illusioni e speranze funzionano come collante su cui costruire la socialità, mentre l’arrivo improvviso di un nemico invisibile spezza la monotonia e le giornate tutte uguali.

Minervini, che ha sempre e solo girato documentari, ma talmente costruiti, narrati e messi in scena da sembrare fiction, per la prima volta realizza l’esatto contrario, ovvero un film di finzione che sembra un documentario. Muovendosi in un cinema fatto di piccoli gesti, dialoghi ridotti all’osso e improntato a una ricerca di autenticità, il regista costruisce un universo visivo che non ha nulla a che fare né con il western classico, né col cinema bellico in generale. La guerra è osservata in una prospettiva filosofica, vicina al modello de «Il deserto dei tartari», mentre a emergere sono il senso di caducità della vita e di inadeguatezza di fronte alla vastità del mondo.

L’ambientazione ottocentesca in questa prospettiva aiuta a mettere in relazione le immagini con le suggestioni letterarie che evoca. In parte romantiche e in parte naturaliste, sullo stile di Rousseau ma soprattutto di Thoreau, di cui nel racconto filmico si avverte lo spirito ambientalista e pacifista (oltre che sostenitore della non-violenza, Thoreau fu anche un convinto antischiavista). Insomma, uno sguardo profondamente umanista che Minervini riesce a calare nel contesto bellico con una grazia inaspettata. Un cinema non per tutti forse, ma che merita lo spazio che chiede.

(Conca Verde)

«Furiosa: A Mad Max Saga», George Miller

George Miller è un regista piuttosto originale. In oltre quarant’anni di attività ha diretto solo undici film (più un episodio in un film collettivo), cinque dei quali fanno parte della stessa saga: quella di «Mad Max». Tralasciando il fatto che la restante filmografia non ha nulla a che fare con l’action distopico (ma annovera titoli come «Babe va in città» e i due capitoli di «Happy Feet»), si può dire che l’intera parabola artistica del regista australiano sia imperniata interamente su una serie cinematografica che ha segnato indelebilmente un immaginario, e definito un genere con cui chiunque si sia avventurato nel cinema d’azione post-apocalittico – da «Interceptor» (1979) in poi – ha dovuto, e deve ancora, confrontarsi.

«Furiosa» è il prequel di «Mad Max: Fury Road» (2015) e racconta la storia del personaggio omonimo (che in «Fury Road» era interpretato da Charlize Theron, mentre qui da Anya Taylor Joy in età adulta e dalla giovanissima Alyla Browne da bambina) dal, momento in cui viene strappata agli affetti e alla vita pacifica del “Luogo verde” in cui è cresciuta, fino a quando diventa imperatrice-schiava del dispotico Immortan Joe, signore della “Cittadella”. Nel suo percorso di formazione, Furiosa diventa grande in un mondo spietato e selvaggio, dentro il quale impara presto a giocare secondo le regole – tutte maschili – della violenza e dell’opportunismo, mossa da uno spirito di rivalsa e vendetta cui darà pieno sfogo nel finale. Il film, molto simile visivamente al capitolo precedente, è il consueto roboante susseguirsi di inseguimenti, sparatorie e scontri all’ultimo sangue sullo sfondo dell’outback australiano, filmato quasi interamente in CGI e dove di reale (nel senso di materiale, tangibile) resta pochissimo.

Miller è un maestro nel congegnare un giocattolone che frulla immagini e scene d’azione senza soluzione di continuità e – con una vena ironica strisciante, assegnata interamente al personaggio del villain di turno Dementus (Chris Hemsworth) – bilancia perfettamente azione e ritmo narrativo. Resta da chiedersi cosa dica in più, di quello che non abbia già detto, un film come questo... ma forse è una domanda sbagliata da fare al regista che più di tutti fa lo stesso film da tutta la vita. I fan della saga gradiranno. E tanto basta.

(Del Borgo, Uci Cinemas Orio e Curno, Arcadia Stezzano, Anteo Treviglio, Cinema Garden Clusone)

«Marcello mio», Christophe Honoré

L’idea è bizzarra e intrigante al tempo stesso: sfruttare l’incredibile somiglianza fra Chiara Mastroianni e suo padre Marcello per giocare sul loro rapporto a quasi trent’anni dalla morte dell’attore italiano, includendo nel “gioco” anche Catherine Deneuve – madre di Chiara ed ex compagna di Marcello – e stare a vedere cosa succede. Christophe Honoré, regista francese istrionico, intellettuale e autore da sempre di un cinema personalissimo, prende spunto da un dato evidentissimo (il fatto che Chiara sia il ritratto femminile del padre) e confeziona un film senza schemi, incredibilmente autentico e artefatto insieme.

Per tutto il film Chiara, nei panni di sé stessa, si veste come Marcello, si comporta e parla (in italiano) come Marcello, facendo credere a tutti – la madre, l’ex marito Benjamin Biolay, il collega Fabrice Luchini, la regista Nicole Garcia e altri ancora – di essere la personificazione del padre. Una follia all’apparenza, in realtà l’occasione per Honoré di riflettere non tanto su Chiara e Marcello o sull’impronta e l’eredità artistica di Mastroianni e Deneuve, quanto sulla permanenza indelebile degli immaginari cinematografici nella memoria collettiva.

Il regista esplora i generi (commedia, dramma, musical, film fantastico, biopic) cambiando continuamente registro e omaggia Fellini (gli abiti e i trucchi con cui Chiara gira per Parigi e Roma ricalcano quelli delle opere felliniane di Mastroianni) dando vita a un’opera sfrenata, dove si inseguono suggestioni, ricordi, immagini e riflessioni legate profondamente alla storia immortale del cinema. Come spesso ha fatto in passato – e come nel suo precedente «L’hotel degli amori smarriti», sempre con Chiara Mastroianni e Biolay – Honoré mescola sogno e autobiografismo lasciando che il cinema funzioni come un meccanismo di sblocco di paure e rimozioni, oltre che di personificazione di fantasmi. Ne viene fuori un’opera colta, che non somiglia a niente di quello che si vede al cinema oggi, ma che ha una libertà espressiva stupefacente. Da non perdere.

(Conca Verde, Uci Cinemas Orio)

«Kinds of Kindness», Yorgos Lanthimos

A pochi mesi di distanza da «Povere creature!», Lanthimos ha presentato a Cannes il suo nuovo film che con il precedente condivide la maggior parte del cast (Emma Stone, Willem Dafoe, Margaret Qualley), ma non potrebbe essere più diverso. Il regista greco torna a lavorare con lo sceneggiatore Efthimis Filippou, co-autore di quasi tutti i suoi lavori fino a «Il sacrificio del cervo sacro» (2017) e confeziona un film in tre episodi in cui alcuni personaggi bizzarri si trovano in situazioni altrettanto strane e al limite del paradossale sullo stile dei racconti di «Ai confini della realtà». Un uomo comandato a bacchetta dal padrone della sua azienda – che arriva a ordinargli cosa mangiare, leggere e quando andare a letto con la moglie – un giorno decide di ribellarsi; una donna torna a casa dopo essere data per dispersa in mare e il marito si convince che non sia veramente sua moglie; una donna fa di tutto per trovare una specifica ragazza che crede abbia delle speciali abilità e sia destinata a diventare una leader spirituale...

Come già si capisce dall’ossatura degli episodi, l’intenzione di Lanthimos non è esattamente quella di prendersi sul serio, e dopo un film complesso e ricco di spunti e riflessioni come «Povere creature!», la sensazione è che con «Kinds of Kindness» cerchi più che altro un divertissement o più probabilmente un’occasione – datagli dall’improvviso status di superstar raggiunto dopo la pioggia di premi conquistata con «Poor Things» – per mettere insieme un po’ di idee che aveva lasciato chiuse in un cassetto. Il risultato è un film che riporta il cinema di Lanthimos allo stile freddo e calcolato degli esordi, vicino alle atmosfere di «Il sacrificio del cervo sacro», ma che in fondo non sembra avere grandi pretese autoriali. Insomma, un ritorno al passato che potrebbe stupire qualcuno, ma che siamo certi non arresterà l’ascesa folgorante del regista ateniese verso quell’Olimpo del cinema mondiale di cui è ormai uno dei punti di riferimento.

(Dal 6 giugno)

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