Con il Natale che si avvicina la stagione cinematografica entra nel vivo. Da qui alla fine di dicembre e fino all’Epifania arriveranno in sala alcuni dei titoli più attesi dell’anno: “West Side Story” di Spielberg, “House of Gucci” di Ridley Scott con Lady Gaga e Adam Driver, i grandi cinecomic americani come “Spider-Man: No Way Home” e quelli made in Italy come “Diabolik” dei Manetti Bros. E poi i nuovi “Matrix”, “Scream”… e tanto altro ancora.
Tutti questi film, di cui riparleremo presto, dovranno però dividersi lo spazio con i titoli in sala già in queste settimane che non sono certamente da meno. È molto probabile infatti che molti dei film in uscita in questa seconda parte di novembre resteranno in programmazione per diverso tempo, andando ad arricchire la proposta cinematografica del periodo delle feste. E tutto questo anche per merito della varietà e del numero delle sale attive dalle nostre parti che, è bene ricordarlo, consentono agli spettatori di città e provincia di non perdersi nessuna delle uscite più importanti. Visti i tempi che corrono, non esattamente un dettaglio…
E allora, come al solito, ecco una mini-mappa dei film – secondo noi – più interessanti fra quelli già in sala che forse non avete ancora visto e quelli appena usciti o in arrivo in questi giorni. Con alcuni grandi ritorni, bellissime sorprese, anteprime da Oscar e un immortale.
“Eternals” di Chloé Zhao
È sempre curioso quando un Autore, in questo caso un’Autrice, si misura con il cinema cosiddetto d’intrattenimento. E ancora di più se la regista è un premio Oscar e il film un cinecomic targato Marvel. Cholé Zhao, premiatissima autrice di “Nomadland” cambia completamente direzione e accetta la sfida della Disney di dare all’universo Marvel una nuova sfumatura: più matura, meditativa, complessa. Sfida vinta per metà potremmo dire. Un po’ perché racconta una delle branche Marvel meno conosciute dal grande pubblico e un po’ perché si perde, forse per poca dimestichezza, negli effetti speciali digitali.
Il risultato è un film lungo e disomogeneo, in cui gli Eterni – esseri immortali dalle sembianze umane giunti sulla terra per portare equilibrio, ma in realtà pedine inconsapevoli di un gioco cosmico più grande di loro – alternano momenti riflessivi e discussioni sui massimi sistemi, a epiche battaglie e interminabili scene d’azione. Resta la bravura di Zhao nell’usare scenari naturali, lavorare sulle psicologie dei personaggi e cercare una forma di racconto adulta. Anche se il rischio è l’aver creato un film ibrido, che fatica ad arrivare tanto al pubblico giovane, quanto a quello più maturo.
(Uci Orio e Curno/Anteo Treviglio)
“Ghostbusters Legacy” di Jason Reitman
Più che un sequel (o reboot, come si dice oggi) è un vero e proprio omaggio al film cult del 1984. Girato da Jason Reitman, figlio di Ivan, regista dei primi due “Ghostbusters”, e pieno zeppo di citazioni, personaggi, attori e tributi, ha il pregio di riuscire in una sfida molto complicata. Che non è solo quella di confrontarsi con la leggenda – e il culto – di “Ghostbusters”, ma anche di fare i conti con l’ingombrante eredità pop degli anni Ottanta e tutto quello che oggi questa eredità significa: dopo “Stranger Things” e tutte le altre operazioni di riciclo delle forme culturali di quel decennio, con annessa mercificazione della nostalgia e citazionismo un tanto al chilo.
La differenza fra “Ghostbusters” e gli altri film d’avventura e fantastici degli anni ‘80 (i cosiddetti Amblin Movies) era la dimensione più “adulta” nel quale si muoveva: ambientato a New York City e con protagonisti uomini e donne fra i 30 e 40 anni. Ecco, il nuovo film riporta tutto all’origine, se così si può dire, affidando il centro della scena a quattro ragazzini adolescenti e spostando l’azione nella provincia americana della tradizione. Il resto è invece tutto molto simile a come lo ricordiamo e spinge sul tasto della nostalgia e della commozione, tanta. Perché, come sappiamo bene, in fondo ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
(Uci Orio e Curno)
“È stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino
È il film scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar (nel senso che è la proposta italiana, per sapere se verrà inserito nella cinquina delle nominations bisogna attendere ancora un po’) e che ha vinto il Gran Premio della giuria (che è un po’ la medaglia d’argento) all’ultima Mostra del cinema di Venezia. “È stata la mano di Dio” è l’opera più intima e personale di Paolo Sorrentino. Anzi, è una vera autobiografia del periodo più difficile e buio della sua vita. Ripercorre infatti il durissimo e spaventoso trauma che l’ha colpito da adolescente (di cui non diciamo nulla per i pochi che non sanno di cosa si tratti) e di come, sconvolgendogli la vita, l’ha costretto a diventare grande all’improvviso e l’ha indirizzato verso la sua strada.
Sorrentino si racconta attraverso l’alter ego di Fabietto Schisa, interpretato da Filippo Scotti (premiato anche lui a Venezia come miglior attore emergente) e intesse il film di ricordi, memorie, sogni e divagazioni private nella Napoli della giovinezza. Fra gite al mare, scorribande in motorino, pomeriggi allo stadio a tifare Maradona e la folgorazione cinematografica avvenuta con i film di Antonio Capuano. Un viaggio debordante, senza respiro a tratti eccessivo nella poetica di uno dei maggiori autori del cinema italiano che può entusiasmare, incuriosire o irritare profondamente. Ma di certo non lascia indifferenti.
(Conca verde/Anteo SpazioCinema Treviglio dal 24 novembre / su Netflix dal 15 dicembre)
“Scompartimento n.6” di Juho Kuosmanen
Finalmente in sala uno dei più bei film dell’ultimo festival di Cannes. Il regista finlandese Juho Kuosmanen, racconta la Russia come in pochi oggi sanno fare. Ci riesce mettendo in scena un viaggio in treno interminabile, che solo in Russia può diventare tale, partendo da Mosca e arrivando fino a nord del Circolo polare artico, nella città di Murmansk, in un inverno eterno e immutabile. E tratteggiando due protagonisti – un uomo e una donna – diversissimi e lontani anni luce l’uno dall’altro, ma destinati a scoprirsi, intercettarsi, legarsi.
In mezzo tutti i temi più tipici del topos del viaggio immersi in un racconto che, pur con qualche inevitabile cliché, funziona perfettamente ricco com’è di impressioni, suggestioni e elementi espressivi. Come la descrizione della cultura russa, sospesa in un tempo indeterminato fra la tradizione e il socialismo, che emerge dagli oggetti: i bicchieri del tè, i samovar per scaldare l’acqua, i cetrioli in salamoia, i tappeti bukara, le “signore del treno” (le bigliettaie tuttofare in rigida uniforme militare) e le babushke. Un patrimonio condiviso, memoriale e culturale che contiene un immaginario vertiginoso e parla di uno degli ultimi luoghi sulla terra in cui un banale viaggio in treno può ancora diventare un’avventura. Ma anche un’occasione per trovare se stessi e soprattutto gli altri. Laddove l’alterità diventa un metro di sguardo e comprensione del mondo, del tempo e della Storia.
(Conca verde)
“Cry Macho – Ritorno a casa” di Clint Eastwood
Cosa si può dire ancora di un regista, un attore – e un uomo – come Clint Eastwood? Di un artista che a novantuno anni (91!), ha ancora la forza, lo spirito, l’intelligenza e la leggerezza di fare cinema? Probabilmente nulla. Eppure ancora moltissimo. “Cry Macho” infatti forse non aggiunge niente alla straordinaria carriera di Eastwood, eppure conferma una volta in più questa straordinarietà. Un film piccolo, fatto di pochi personaggi e poche situazioni ma che esprime una grande intimità e un’enorme malinconia. Come un western crepuscolare, che è il genere in cui si inserisce con quel senso del racconto un po’ svagato, collettivo e intimo che ricorda l’ultimo John Ford.
La storia è classica che più classica non si può: ambientata in Messico nel 1979 e giocata sul rapporto fra un anziano cowboy da rodeo alla fine della propria lunga carriera e un ragazzino adolescente cresciuto senza padre in un ambiente criminale volgare e opulento. In mezzo una fuga, la scoperta dell’esistenza di un mondo antico, morale, autentico e in procinto di scomparire ma ancora in grado di dispensare insegnamenti e far comprendere il valore delle cose. Niente di nuovo e tutto splendidamente prevedibile, eppure talmente misurato, sincero e commovente – soprattutto per il modo trattenuto in cui racconta gli affetti e il dolore – da essere ancora, a modo suo, un piccolo miracolo.
(dal 2 dicembre)
“Sull’isola di Bergman” di Mia Hansen-Løve
Mia Hansen-Løve, giovane regista francese ospite (a distanza) dell’ultima edizione del Bergamo Film Meeting, torna con un film che parla di cinema e di uno dei suoi più grandi interpreti. Il regista Ingmar Bergman passò gli ultimi anni della propria vita sulla piccola isola di Fårö, nel Mar Baltico, in Svezia. Qui oggi tutto parla di lui, c’è la sua casa museo e i turisti possono partecipare a dei “Bergman Safari” che ripercorrono la sua esperienza artistica e personale. L’isola di Bergman diventa per Hansen-Løve un luogo di fantasmi, memorie, sogni e fantasie spericolate. Il film racconta di una giovane regista che con il compagno scrittore più anziano di lei va a Fårö in cerca di ispirazione, qui fra un film da scrivere che fatica a venir fuori, le giornate estive a gironzolare per luoghi e ricordi bergmaniani, misteriosi studenti di cinema e personaggi che escono dalla pagina scritta e prendono vita, la storia imbocca direzioni inaspettate.
Ma in realtà è tutt’altro che un film bergmaniano quello della regista francese, è invece un’opera intima e autobiografica in cui affiorano sentimenti e racconti che sfuggono a qualsiasi rigore narrativo e corrono liberi attraverso uno spazio sospeso, quasi irreale. E dove Bergman emerge come una figura simbolica, un totem astrale capace di confondere i ricordi, sovrapporre le memorie e – proprio come il cinema – manipolare il tempo.
(dal 7 dicembre)
- Acchiappafantasmi, supereroi, viaggi spericolati e nostalgie maradoniane: le emozioni intense del cinema d’autunno
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