E via alle trasferte, su e giù per il Paese, di preziosi capolavori, sfrattati dai loro musei per andare a presentarsi in un’altra città, scelti perché hanno semplicemente la sfortuna di essere nati per mano di artistar e con un soggetto tipicamente natalizio, dalla Natività all’Adorazione dei Magi a San Nicolò con le tre palle d’oro.
A conquistare il podio 2022 dei chilometri natalizi è senz’altro Beato Angelico. Due tavole della predella del «Polittico Guidalotti» sono partite dai Musei Vaticani per raggiungere il Palazzo delle Paure di Lecco, avendo avuto l’onore di essere selezionate come «Capolavoro per Lecco 2022» dall’Associazione culturale e dalla Comunità pastorale Madonna del Rosario in collaborazione con il Comune di Lecco.
Una piccola tournée, poi, per il raffinato tabernacolo con l’«Adorazione dei Magi» sempre di Fra’ Angelico, che ha già lasciato casa, il fiorentino Museo di San Marco, a metà settembre perché prestato alla mostra di San Giovanni Valdarno (AR) «Masaccio e l’Angelico. Dialogo sulla verità in pittura». Presto, di nuovo on the road alla volta di Milano per unirsi, il 20 dicembre, agli altri tre capolavori del Tre e Quattrocento provenienti da Firenze, testimonial 2022 della grande mostra di Natale a Palazzo Marino: la «Carità» scolpita dal senese Tino di Camaino dal Museo Bardini, la «Madonna col Bambino» di Filippo Lippi proveniente da Palazzo Medici Riccardi e la «Madonna col Bambino» di Botticelli dal Museo Stibbert.
Proprio il nostro Sandro è secondo nella nostra classifica di viaggio, considerando che nei giorni scorsi il «Ritratto di Giuliano de’ Medici» dell’Accademia Carrara di Bergamo è stato ospite per tre weekend, nel cuore del quartiere di CityLife a Milano, nella Torre di PwC Italia disegnata da Daniel Libeskind. Insomma, per l’industria culturale natalizia, soprattutto lombarda, l’ ostensione sembra diventata un rito irrinunciabile. A noi spettatori, l’opportunità (o il compito?) di adorare la reliquia. Tutto qua.
Mi torna alla mente una riflessione postata su Facebook da don Giuliano Zanchi a Natale 2016, all’arrivo a Palazzo Marino della «Madonna della Misericordia» di Piero della Francesca: «I più fortunati eventi legati all’arte oggi non sono più semplicemente mostre, sono vere e proprie ostensioni. Come periodicamente si espone la Sindone, nella tenue luminescenza della sua straordinaria apparizione, nei picchi rituali della nuova ortodossia civile noti dipinti del passato vengono esposti nell’ostensorio dell’evento eccezionale. Importanti opere d’arte, talvolta appena sfiorate nelle loro sedi ordinarie da un pubblico distratto e sbrigativo, non appena trasferite in qualche civico santuario istituzionale, consacrate da un potente logo economico e raccomandate da una bombastica predicazione pubblicitaria, diventano il santissimo sacramento di un collettivo dovere di contemplare, dal quale ciascuno porta a casa il dono spirituale della sensibilità. Come gli apparati liturgici inventati durante la controriforma, sontuosi allestimenti incorniciano le loro icone infondendo un’aura che la riproducibilità tecnica non ha fatto che amplificare. Chiamata all’adorazione di questi segni terreni della bellezza la folla si addensa sospirosa a onorare la sua nuova devozione e ottenere la corrispettiva indulgenza. I nuovi chierici si fregano le mani. Come diceva Paul Cezanne prima di andare a messa “vado a prendermi la mia dose di medioevo”».
All’analisi della dinamica dell’ostensione c’è poco da aggiungere. Non ci resta che chiederci: quale è il senso? Che cosa giustifica la movimentazione di opere di questo calibro, con tutti i rischi connessi al loro delicato equilibrio conservativo? Perché invece di attingere ai depositi straripanti dei loro musei, città metropolitane come Milano sentono il bisogno di scomodare capolavori che appartengono ad altri luoghi, per gettarli nell’arena come icone astratte, totalmente decontestualizzate? E dall’altro lato che cosa induce i musei a privarsi di opere iconiche e identitarie delle loro collezioni per prestarle ad altre città? Una risposta l’ha data Federico Giannini in un articolo di qualche mese fa su Finestre sull’Arte: «Rimanga il dipinto muto e attonito dinnanzi al suo triste destino d’icona commerciale e di strumento politico».
Ma prima di sentenziare che il mercato e la politica siano le ragioni che giustificano i viaggi delle opere d’arte, occorre verificare che alla base non ci siano, piuttosto, valide motivazioni scientifiche. Ecco, ad esempio, quella fornita per la mostra lecchese: «Opere Sante è il titolo dell’edizione 2022 di Capolavoro per Lecco. In questo titolo è riassunto il senso di una proposta: presentare due Santi – San Nicolò, Patrono di Lecco, e Beato Angelico, Patrono degli artisti – che hanno espresso la propria santità attraverso le opere». Evidentemente a Lecco non c’erano altre opere degne di raccontare la santità del patrono o non c’erano artisti in odore di santità.
Quanto agli «Sguardi dalla Torre» del Botticelli bergamasco (titolo dell’ostensione), in sei giorni di apertura alle visite del pubblico, ha registrato il sold out di prenotazioni, con migliaia di ingressi. Forse quell’oretta di viaggio Milano-Bergamo in auto o in treno aveva fino ad oggi disincentivato le persone a visitare il Botticelli in Accademia Carrara?
Abbiamo piuttosto il sospetto che siano accorsi in massa per la prima occasione di apertura al pubblico del grattacielo disegnato dall’archistar Libeskind (grattacielo che è stato soprannominato «il Curvo» per il suo essere leggermente inclinato in avanti, ispirandosi alle linee della «Pietà Rondanini» di Michelangelo…), godendo di una vista mozzafiato sulla città di Milano a 130 metri d’altezza.
Detto questo, le motivazioni della trasferta di Botticelli sono chiare e lineari: lo scorso aprile PwC Italia è entrata nella governance di Fondazione Accademia Carrara come socio co-fondatore, e sta contribuendo alla riqualificazione dei 3.000 metri quadrati del giardino che si scorge dalle finestre della Carrara, che saranno aperti al pubblico nell’estate 2023 con il nome di «Giardini di PwC».
Last but not least, anche titolo della mostra di Natale a Palazzo Marino, «La Carità e la Bellezza», suona un pochino vago e non ci aiuta a capire perché per celebrare le due virtù si dovessero scomodare proprio i capolavori fiorentini. Il meccanismo dell’operazione, tuttavia, aiuta noi profani ad avere dei riferimenti per capire, finalmente, come stabilire il valore di un’opera d’arte. Vi ricordate i mitici scambi delle figurine dei calciatori dell’album Panini? Se ti do Rivera che cosa mi dai in cambio?
Lo scorso 1° maggio, grazie a una collaborazione tra Comune di Firenze e Comune di Milano, la grande tela «Il Quarto Stato» di Pelizza da Volpedo, una delle più celebri opere pittoriche realizzate tra Otto e Novecento, è stata eccezionalmente concessa in prestito dal Museo del Novecento di Milano per essere esposta a Palazzo Vecchio di Firenze. Il progetto scientifico era di fatto così condensato: «In occasione della Festa Internazionale dei Lavoratori». Molto bene. Ora arrivano a decorare il Natale milanese le quattro opere fiorentine. L’equazione è semplice: il Quarto Stato di Pelizza = un Filippo Lippi + un Beato Angelico + un Sandro Botticelli + un Tino di Camaino. Apperò!
Comunque, cari osteggiatori delle ostensioni di Natale, c’è di che consolarci: «I tendaggi in seta che calano dall’alto della Sala Alessi di Palazzo Marino per esaltare la preziosità delle opere ed evocare gli interni di una cattedrale – recita la presentazione della mostra – sono realizzati in seta definita “non violenta” perché ottenuta tramite un procedimento particolare che viene avviato solo dopo la trasformazione del baco in farfalla, evitando di interromperne la metamorfosi. In tal modo viene preservata la vita dei bachi che non vengono soppressi per ottenere una quantità maggiore di filato». Hai capito, mo’? Almeno per voi, cari bachi, sarà un Buon Natale!