Inquadrare artisticamente e storicamente il «graffito» o «murales» non è mai stato semplice. I termini, nelle loro accezioni moderne, si riferiscono ad un disegno realizzato su un muro e, nel linguaggio comune, solitamente si tratta di superfici appartenenti ad un contesto urbano. Si apre però così il grande vaso di pandora della street art, composta tanto di opere legali quanto di quelle illegali realizzate in tutta fretta da writer mascherati pronti a tutto pur di lasciare un segno del proprio passaggio. Un circuito artistico legato a doppio nodo al mondo dell’hip hop, ma che affonda le sue radici addirittura nelle pitture rupestri dell’età della pietra. Insomma, una grande mole di informazioni che spesso ci sfuggono e che inducono il nostro cervello a considerare semplici scarabocchi delle opere frutto dell’ingegno di persone che, bomboletta di vernice alla mano, hanno provato e provano tutt’oggi a raccontare parte della loro modernità.
Per cercare di descrivere la fenomenologia dell’arte di strada, la scrittrice e guida turistica Rosella Ferrari, l’insegnante e writer Paolo Baraldi – in arte «Il Baro» – e l’educatore e rapper Giovanni Ravasio aka «Giovo Dust» hanno organizzato per la giornata del 5 ottobre «Sguardi Urbani: Street Art e Dintorni», un evento dedicato alla storia della street art che si svolgerà a partire dalle 15.00 presso il Patronato San Vincenzo di Bergamo.
Per capire come si svolgerà questo incontro, facente parte della fitta rete di appuntamenti che compongono il calendario della rassegna « Molte fedi sotto lo stesso cielo 2024 », abbiamo discusso con i tre organizzatori.
GT: Come è nato l’evento «Sguardi Urbani: Street Art e Dintorni» e come sarà organizzato?
RF: All’interno dell’iniziativa culturale «Molte fedi sotto lo stesso cielo», promossa dalle ACLI, c’è sempre stato spazio per le visite guidate, con l’obiettivo di far vivere il tema dell’anno attraverso l’esplorazione del territorio. Da anni, io e un’altra guida ci occupiamo di questo aspetto, proponendo itinerari che riflettano il tema della rassegna, con visite a Bergamo e provincia. Quest’anno, dopo averne già parlato l’anno scorso, ho proposto un progetto che unisce l’arte di strada, in particolare i murales, con la nostra tradizionale proposta culturale. I murales mi hanno sempre affascinata, ma non essendo esperta di questa forma d’arte, ho scelto di coinvolgere «Giovo» e «Il Baro» in qualità di esperti. Il mio ruolo sarà quello di fare una panoramica storica sull’arte sui muri, partendo dalle incisioni preistoriche fino ai graffiti degli anni ’60 e alle mani rosse comparse a Bergamo come protesta politica. Questi murales non sono solo decorazioni: ognuno ha un messaggio profondo, e sta a noi interpretarlo, come succede con ogni forma d’arte. Quindi, dall’arte rupestre fino agli street artist contemporanei come Banksy, il muro è sempre stato una tela per esprimere idee e ribellioni.
GR: L’idea è quella di tracciare un percorso che attraversa migliaia di anni, e per farlo la giornata sarà divisa in tre fasi. Si comincia alle 15 al Patronato San Vincenzo, dove «Il Baro» e Rosella presenteranno, in circa 45 minuti, una cronistoria dei graffiti, dai segni rupestri fino ai moderni throw up che vediamo oggi sui muri delle città. Durante questo tempo, alcuni giovani writer, già collaboratori de «Il Baro», realizzeranno graffiti dal vivo, mostrando come nascono le opere, partendo da zero. Dopo questa introduzione, ci sposteremo lungo via Gavazzeni verso il viadotto di Boccaleone. Lungo il percorso, si potranno osservare graffiti storici, alcuni risalenti al 2001, legati al corteo di Genova, e altri con significati diversi, come il grande graffito dell’Atalanta. Infine, al viadotto di Boccaleone, vedremo una combinazione di graffiti illegali e istituzionalizzati, ma tutti con un profondo significato. Infine, chiuderemo la giornata con una sessione di poetry slam rap, in cui le tematiche discusse durante la giornata verranno riportate in chiave rap, altra colonna portante della cultura hip hop.
PB: Nella mia spiegazione partirò dal muralismo messicano e sardo, passando per i graffiti di New York fino ai giorni nostri. Non farò solo una cronistoria, ma cercherò anche di stimolare il pubblico a riflettere su come l’arte di strada sia l’unica forma artistica accessibile a tutti, gratuita e presente in ogni realtà urbana, non solo a Bergamo.Inserirò anche qualche esperienza personale, ma soprattutto parlerò dei miei illustri colleghi. Poi, durante la passeggiata lungo via Gavazzeni, come ha accennato «Giovo», vedremo dal vivo le opere che avremo discusso.
GT: Fino a qualche anno fa il writing veniva visto quasi esclusivamente come un fenomeno negativo. Oggi la situazione è migliorata?
PB: In generale direi di sì. Ovviamente ci sono sempre dei detrattori come accadeva in passato ma, nel tempo, è cresciuto il numero di persone che apprezzano questo linguaggio artistico. Per i giovani è ormai parte del panorama visivo quotidiano, ma vedo che anche persone della mia generazione, o più anziane, lo apprezzano sempre di più. Quando disegno in giro, ricevo molti commenti positivi da persone entusiaste, e lo stesso vale per altri artisti. Oggi ci sono molti più spazi legali per esprimersi, anche se la dimensione illegale rimane parte integrante di questa disciplina. Tuttavia, stanno aumentando le opportunità di creare arte legalmente, in modo più tranquillo e spesso con un supporto economico. Il livello di qualità continua a crescere e l’arte murale sta fiorendo anche nei piccoli borghi. Direi che la situazione è migliorata, e in fondo mi aspettavo questo progresso, perché ho ancora un po’ di fiducia nell’umanità. Come diceva Rosella, l’arte sui muri esiste da migliaia di anni, quindi ormai piace quasi a tutti.
GT: La cultura hip hop negli Stati Uniti è nata in risposta a un profondo divario sociale, generando situazioni particolari che, in parte, rimangono irrisolte. In Europa, in Italia e più specificamente a Bergamo, che significato assume questa cultura? In che modo trova spazio e viene accolta in un contesto così diverso da quello che l’ha originata?
GR: È vero che l’hip hop nasce per denunciare le disuguaglianze, ma è anche una potente forma di espressione. A Bergamo, penso che attinga a entrambe queste dimensioni: per alcuni è un modo di esprimere problemi e disagio, per altri rappresenta un mezzo artistico. In sintesi, credo che l’essenza dell’hip hop qui risieda proprio nell’espressione di ciò che circonda l’artista. Per quanto riguarda l’evoluzione dell’hip hop, in Italia, e in particolare del rap, è arrivato in contesti legati alla protesta della sinistra extraparlamentare, dei centri sociali e di movimenti controculturali, quindi legato a forme di protesta. Questo legame con la protesta esiste ancora, anche se in forme diverse. I graffiti, ad esempio, possono essere sia una forma di protesta che una semplice necessità di esprimersi. Per noi è prezioso e significativo parlare di street art al Patronato, una realtà impegnata in prima linea nella diffusione dell’arte urbana attraverso laboratori nelle scuole, numerose attività di arte pubblica promosse da «Tantemani» e un intenso dialogo con associazioni e istituzioni per far conoscere questo affascinante mondo.
PB: Avendo partecipato diverse volte a dibattiti prima o dopo concerti hip hop, credo che oltre l’espressione del sé, che è fondamentale e potente, e la protesta, debba essere considerata anche la dimensione dell’intrattenimento.Breakdance, graffiti, rap e djing sono le quattro discipline dell’hip hop, una sottocultura globale nata negli anni ’70 – ’80 che si è diffusa in tutti i contesti sociali, dai più ricchi ai più poveri. Non esiste un’altra sottocultura così potente e multidisciplinare proprio per via dell’intrattenimento che diventa legante di espressione e protesta. È così che sono nati i block party illegali sui tetti degli edifici semi – abbandonati, dove la gente si riuniva per ascoltare DJ, rapper, vedere graffiti o ballare. Oggi, l’hip hop si è spostato anche verso il business e l’intrattenimento pop, ma non vedo nulla di male in questo. Anzi, ben venga se permette ai giovani di uscire da contesti difficili e fare successo. Le dimensioni dell’hip hop, quindi, sono tre: espressione del sé, protesta e divertimento.
GR: Anche perché, come diceva Emma Goldman «se non posso ballare non è la mia rivoluzione».
GT: Paragonando l’arte muraria dell’uomo delle caverne a quella moderna, stiamo solo parlando di una similitudine legata al gesto comune di disegnare su un muro o ci sono altri punti in comune?
PB: Credo che il punto in comune sia la comunicazione. È uno dei pochi aspetti che rimangono intatti nel tempo. Se, ad esempio, vai in Val Camonica e riconosci subito una scena di caccia incisa 3 – 4 mila anni fa, significa che l’autore, nonostante l’abisso temporale, è riuscito a comunicare con te. Certo, è una comunicazione unilaterale, non puoi rispondergli, ma lui ha comunque trasmesso in qualche modo ciò che voleva rappresentare. Allo stesso modo, se guardi i murales del Novecento o le opere di street art nelle città, anche lì c’è una forma di comunicazione. A volte più chiara, altre volte meno, ma è comunque un tentativo di esprimere qualcosa. Perché qualcuno decida di dipingere su una fabbrica abbandonata o sulla facciata di un palazzo, così come facevano gli esseri umani migliaia di anni fa, è difficile dirlo con certezza. Tuttavia, il bisogno di comunicare attraverso l’arte rimane.
L’evento «Sguardi Urbani: Street Art e Dintorni» è previsto per sabato 5 ottobre a partire dalle ore 15 presso il Patronato San Vincenzo di Bergamo. A seguire, intorno alle ore 15.45, i partecipanti si sposteranno dal Patronato al viadotto di Boccaleone per un breve tour guidato lungo via Gavazzeni. In caso di maltempo, l’intero evento si svolgerà al chiuso, presso l’Aula Don Bosco del Patronato. L’evento si concluderà con un originale poetry slam rap condotto da Giovanni «Giovo» Ravasio.
Ingresso gratuito con prenotazione sul sito.