Un’occasione per immergersi in quel filone peculiare della storia dell’arte che è la pittura di montagna. Per incrociare la visione pittorica con la conoscenza diretta delle cime che abbiamo raggiunto in prima persona. Oppure per godersi rarefatte sensazioni se abbiamo sempre preferito lasciare la montagna sullo sfondo della nostra esperienza quotidiana. Potrebbe essere questa una sintesi “sentimentale” della mostra «Paolo Punzo. Montagne di Lombardia».
Allestita fino all’8 maggio al primo piano della Torre Viscontea, è curata dall’agenzia di comunicazione Welcome di Bergamo, in collaborazione con Cai Lecco, Comune di Lecco e Sistema Museale Urbano Lecchese, con il patrocinio di Fondazione Lombardia per l’Ambiente. «La mostra vuole essere l’occasione per una riflessione a più voci sul valore della montagna e del suo ecosistema», spiega Giorgio Cortella dell’agenzia Welcome.
L’esposizione segna la riscoperta, attraverso la presentazione di un’ampia collezione di oltre 70 opere, dell’attività del pittore Paolo Punzo (Bergamo 1906-1979). A regnare incontrastate nelle sue opere su tela o su tavola sono infatti le più importanti vette dell’arco alpino della Lombardia, spesso dipinte en plein air: «Alla base sta la sua passione personale – prosegue Cortella – Punzo cresce infatti sia a livello alpino che artistico all’ombra del Cai e le montagne che dipinge sono le stesse che ha scalato o su cui si è arrampicato, magari con la tavolozza e i colori nello zaino».
Fin dal 1928, infatti, Punzo aveva preso a frequentare le montagne della Valmalenco e della Valfurva, in Valtellina, con soggiorni sempre più lunghi da cui nascono, all’inizio degli anni Trenta, le prime grandiose rappresentazioni del monte Disgrazia, del Bernina, del Tresero, del Gran Zebrù e delle altre celebri cime delle Retiche e del Parco dello Stelvio che attirano immediatamente l’attenzione del Cai, su invito del quale Punzo tiene nel 1935 una vasta personale a Sondrio, nella sala del Consiglio comunale, e a Milano nella sede stessa del Club, dove continuerà a esporre ancora negli anni Sessanta.
In mostra, i dipinti di Punzo dialogano con oltre 30 sculture in bronzo e legno dalla fine del Settecento ai primi del Novecento, provenienti da una collezione privata, dedicate gli animali che compongono la fauna alpina. Con un assist speciale alla riflessione sugli effetti del climate change nell’arco alpino: «Proponiamo un confronto tra le opere di Paolo Punzo della prima metà del secolo scorso e le splendide immagini degli stessi scorci ritratti nelle fotografie scattate oggi da Alberto Locatelli. È possibile cogliere come, in così poco tempo, ci si trovi di fronte a fenomeni quali l’innalzarsi della linea della neve e dello scioglimento dei ghiacciai. Tutte conseguenze dei mutamenti climatici, che mettono a serio rischio l’equilibrio dell’ecosistema alpino».
La pittura (bergamasca) di montagna
La “magnifica ossessione” di Punzo per la montagna non è un fatto isolato: da Ermenegildo Agazzi ad Alberto Vitali, passando per Luigi Deleidi detto il Nebbia, e poi Giorgio Oprandi, Silvio Poma, Costantino Rosa, Pietro Maria Ronzoni e tanti altri, il rapporto tra pittura e montagna è una lunga e peculiare tradizione.
Giulio Vito Musitelli nel 1972 scrive del suo maestro Ermenegildo Agazzi: «Mi è al fianco – io lo rivedo vivo, scattante – Ermenegildo Agazzi; la pipa in bocca, la cassetta a tracolla, il cavalletto sotto l’ascella, e nella destra, un paio d’assicelle alquanto grandi, tenute insieme da due strisce di stoffa, come quelle che usavamo noi per portare i numerosi libri a scuola. Una tirata alla pipa e poi, quasi guardando di sottecchi i fianchi turgidi e la vetta rocciosa del Pizzo Redondo, sbotta: “Varda quella marsinna lì del sèttcent! Con quèi ricamm d’argent, quij strasciàd!».
Nell’immaginazione del pittore, i pendii erbosi e boscosi del monte erano diventati una «marsinna del sèttcent», il biancheggiare della roccia tracciava «ricamm d’argent», mentre la luce accecante era tagliata dai fendenti delle ombre, i «strasciàd». È un episodio indicativo del profondo legame, esistenziale e poetico, che soprattutto dalla fine Settecento fino alla metà del Novecento, ha unito i nostri artisti alla montagna. Non solo Agazzi, che per decenni percorse i nostri monti in lungo e in largo, ma anche i paesisti della scuola bergamasca dell’Ottocento, come Nebbia, Ronzoni, Rosa, Marco Gozzi, Andrea Marenzi o Cesare Cavaliè.
Un capitolo a parte merita l’ultimo scorcio dell’Ottocento, con l’arrivo alla guida dell’Accademia Carrara di Cesare Tallone che, affascinato dai nostri monti, spesso accompagna gli allievi in escursioni en plein air: Romeo Bonomelli, il già ricordato Agazzi, Carlo Ferrari, Giuseppe Gaudenzi. Tra di essi anche Giovan Battista Galizzi, autore per la Camera di Commercio di un’affascinante serie di sedici lunette con vedute delle nostre montagne. E poi Silvio Poma, e la generazione del Novecento: pittori come Vittorio Manini, Musitelli, Alebardi, Oprandi, Ghirardelli, Mozzi, hanno “fotografato” i nostri monti con sottile sensibilità alle variazioni luminose e atmosferiche. Senza dimenticare le prove che ci ha lasciato Arturo Tosi, grande paesista italiano, che ogni anno si trasferiva qualche mese a Rovetta, immortalando immancabilmente il respiro di questi luoghi.