La storia dell’arte è fatta anche di quadri con incredibili dettagli “gastronomici”. E se vi trovate davanti ad una di queste opere all’ora di pranzo o a cena potreste anche iniziare a sentire un certo languorino.
Sindrome di Stendhal a carattere food? Più o meno.
Di opere invitanti – ma pure molto frugali, laddove un frutto ha ad esempio valore simbolico – ce ne sono anche a Bergamo. Proviamo allora ad utilizzarne gli ingredienti per preparare una cena speciale, partendo dall’inizio. Cioè dalla tavola: perché non c’è abbuffata che si rispetti senza un apparecchiamento di tutto punto.
Apparecchiare la tavola per un’occasione speciale
La prima tappa è il Palazzo della Ragione in Città Alta, dove il grande dipinto dell’“Ultima Cena”, eseguito nel 1583 dal fiorentino Alessandro Allori per il refettorio dei monaci di Astino, ci offre già molto di ciò che occorre per imbandire una tavola elegante e ricercata: il lungo tavolone, una bella tovaglia bianca di fiandra perfettamente stirata, sontuose saliere in metallo dorato e i bicchieri di vetro soffiato di manifattura veneziana. Tocco di raffinatezza, il servizio in maiolica (di quelli all’epoca prodotti nelle botteghe artigiane di Urbino), composto dai piatti e da un grande vassoio corredato di quattro piattini per gli intingoli, tutti impreziositi da una decorazione con strumenti musicali e volatili.
Nel nostro cestino possiamo già caricare un po’ di prodotti per una cena rigorosamente vegetariana, come vuole il rito pasquale ebraico: il pane azzimo accompagnato da sale, intingoli, olive e frutta secca, poi cedri, datteri, mandorle, pinoli e uva, mele cotogne.
E per decorare la tavola imbandita potete comporre insieme all’Allori un mazzetto originale di fiori, con rose centifolie, rami di finocchio fiorito, garofani, violette, gigli e, con un preziosismo che vi invidieranno, anche gli introvabili fiorellini rossi della canna d’India.
Prodotti tipici di terra e di mare
Per andare sul sicuro, puntando alla qualità, è sufficiente entrare nella sala XXIII dell’Accademia Carrara, dove un gruppo di nature morte ci offre prodotti semplici ma di grande tradizione. Preleviamo dai dipinti del Maestro SB (1650-1655) prosciutto, salame, formaggi stagionati e scamorze. Ma anche un grosso zucchino, i limoni di Sorrento, una bella treccia di cipolle e, per chi lo gradisce, un mazzetto rosseggiante di peperoncini (le due “Natura morta”).
A rifornirci di cacciagione è il seicentesco Crivellone (Angelo Maria Crivelli), vero specialista in scene con animali selvatici e da cortile, mentre per accontentare chi preferisce i secondi di pesce potete rivolgervi a Evaristo Baschenis, pronto a rifornirvi di granchi, pesci d’acqua dolce e pesciolini appena pescati e già corredati degli aromi per la cottura.
Due anonimi “fruttivendoli” dell’arte ci offrono, inoltre, polli, tacchini e anatre già spennati e pronti da mettere in forno. E per sbizzarrirvi con i contorni, una verza e un’invitante zucca.
Frutta di stagione
In una calda serata estiva non fate mancare frutta fresca e succosa. Sempre nella Sala XXIII della Carrara, Francesco Codino ci propone una graziosa alzatina già riempita di prugne bianche e rosse, ma anche una bella canestra intrecciata, traboccante di arance e limoni (e qualche castagna già arrostita). Per avere solo la frutta migliore però dovrete spigolare qua e là: provate a sgraffignare la pera squisita che la “Madonna di Alzano” di Giovanni Bellini ha abbandonato sul davanzale. Oppure a sfilare di soppiatto le pesche e i cetrioli più turgidi che abbiate mai visto dal “pergolato” quattrocentesco della “Madonna Lochis” di Carlo Crivelli. La mela, ve lo dico subito, sarà una missione impossibile, perché il Bambino la custodisce gelosamente stringendola alla guancia. Tuttavia nessun problema, perché in Sala XXI il “Ritratto di giovane pittore” di Fra Galgario (1732) ci regala delle mele rosse che più deliziose non si può.
Come rinunciare alle ciliegie? La “Madonna con il Bambino” di Jacopo di Antonello (1480) ci stanno preparando piccole, dolcissime ciliegie già lavate nella ciotola di acqua fresca. Infine anche Irene, la figlia del pittore Cesare Tallone, ha raccolto per noi direttamente dall’albero, alla fine dell’Ottocento, un po’ di ciliegie (o forse di croccanti marasche?).
Vino e atmosfera
Se proprio non volete rinunciare al vino migliore, occorre fare un salto nella Basilica di Romano di Lombardia. Nell’“Ultima Cena” di Giovan Battista Moroni un personaggio enigmatico ci sta aspettando, riservando per noi un’ampolla di ottimo vino. Ma anche la Carrara ha il suo esperto cerimoniere, l’olandese Mathias Stomer, che nella Sala IXX mette a nostra disposizione due giovani servitori (“Uomo con candela accesa e caraffa di vino” e “Giovane che accende una candela”): stanno già riempiendo caraffe di vino e accendendo candele per creare la giusta atmosfera.
I dolci
Per i dolci, non c’è altra scelta: scovare il collezionista privato che ospita il “Ragazzo con canestra di pane e dolciumi” di Evaristo Baschenis. Nel secolo XVII, in cui esplode l’utilizzo dello zucchero, il fanciullo esibisce una cesta carica di golosità che ci riportano a un’epoca in cui Bergamo era una delle capitali nella produzione di dolciumi.
Vi riconosciamo i “brasadelli”, sorta di ciambelline all’epoca diffuse in tutto il Paese. Senza tralasciare il lunghissimo “savoiardo”, biscotto da meditazione che non poteva mancare sulle tavole dei ricchi. E poi i “cinnamomi” bergamaschi, dolci alla cannella che da Bergamo raggiungevano anche la corte ferrarese di Lucrezia d’Este, e le “offelle”, ravioloni dolci con mandorle, pinoli e quei cedri canditi per i quali la nostra città era così rinomata.
E il dopo cena? Fumare fa male, è vero. Ma chi dopo un banchetto così proprio non può resistere, si può accomodare, sempre in Carrara, accanto al giovane fumatore di Jan Miense Molenaer, allungando le gambe verso il fuoco scoppiettante del camino, con le spirali di fumo che salgono dalla pipa e un bicchierino di liquore.