Sui social l’hanno soprannominata “#LaRagazzaDeiCimiteri” e sono in tanti ad essersi appassionati alle sue incursioni fotografiche in cerca di bellezza all’interno di piccoli e grandi camposanti. Per qualcuno invece è una “profanatrice di tombe”, perché entrare in un cimitero con una macchina fotografica è letto come un gesto irrispettoso e inammissibile.
Lei è Lisa Martignetti, la fotografa bergamasca che fino al 10 novembre presenta la mostra “Confini” nella chiesa del Famedio del Cimitero Monumentale di Bergamo. Una selezione delle centinaia di scatti particolarmente intensi dedicati alle creature scolpite che popolano queste aree.
Le reazioni contrastanti al suo lavoro incarnano l’ambiguità che ancora caratterizza la nostra relazione con la Morte: oggi (a differenza che in passato) esclusa dalla dimensione familiare, rimossa dalla nostra vita quotidiana insieme a tutto ciò che ha anche il più vago sentore del tragico, del drammatico, dell’imprevisto.
Resta l’arte a provare a dimostrarci che è possibile cancellare con un colpo di spugna i confini che abbiamo tracciato a tavolino per separare la vita dalla morte.
È l’arte a ricordarci che i cimiteri sono gli unici luoghi a restituirci davvero la misura di come abbiamo speso e stiamo spendendo il nostro tempo. Già i Greci ci insegnavano che c’è una differenza tra Kairós, il tempo di qualità, e Krónos, il tempo quantitativo che semplicemente, cronologicamente scorre.
Così, ci sono architetti che progettano i nuovi cimiteri contemporanei come giardini della vita; grandi fotografi che li hanno immortalati in reportage indimenticabili, come Luigi Ghirri al cimitero S. Cataldo di Modena e Gianni Berengo Gardin al Cimitero Monumentale di Staglieno a Genova; artisti contemporanei al lavoro sul tema della morte, come Maurizio Cattelan con il suo “Eternity”, il provocatorio cimitero degli artisti allestito davanti all’Accademia di Belle arti di Carrara, dove fioriscono decine di lapidi improbabili e coloratissime in cui sono sepolti i classici e i contemporanei: da Caravaggio a Burri, da Harry Potter a Mark Zuckerberg, da Michelangelo a Paul McCarthy, da Bansky a Trump. E naturalmente anche lo stesso Cattelan.
E per i cimiteri è stato coniato il neologismo “Lastcapes”, gli ultimi paesaggi, quelli in cui si stringe il contatto finale ed eterno fra vivi e morti.
Abbiamo chiesto alla fotografa Lisa Martignetti di condividere con noi il suo sguardo differente sui luoghi che custodiscono la morte.
B.M. - Come nasce la tua fascinazione per il cimitero?
L.M. - È una passione che avevo già da bambina. Mia nonna mi portava nei cimiteri e non ho mai avuto paura né avvertito un senso del macabro. Camminavo tra le tombe, sistemavo fiori e vasi caduti. Così faccio ancora oggi: passeggio ascoltando della musica, leggo libri, d’estate riposo all’ombra fresca dei cipressi, e mi capita spesso di portare fiori alla tomba di una persona sconosciuta. E poi canto e piango sulla tomba di mio padre. Sono sempre stata attratta dall’arte funeraria perché trovo che i cimiteri, oltre che luoghi di pace, siano a tutti gli effetti anche dei musei a cielo aperto.
B.M. - Quando entra in gioco la macchina fotografica?
L.M. - Il mio primo scatto in assoluto l’ho fatto al cimitero di Crespi d’Adda e lo stesso giorno mi sono catapultata al Cimitero monumentale di Bergamo. Qui ho trovato quelle che chiamo “le mie creature”: schiere scolpite di angeli, donne, uomini, Madonne e Bambini. Rispecchiano il mio stato d’animo e mi hanno aiutato nella vita più che la gente che incontro per strada. Così alla festa della mamma, quando tutti postano biglietti di auguri e ringraziamenti, io posto scatti delle “mie” Madonne con i loro Bambini. È stato il momento in cui ho conosciuto la bellezza e l’arte che esistono nel nostro cimitero come in molti altri.
B.M. - Nelle tue immagini, nessuna presenza umana?
L.M. - Mai. Solo dettagli, perché non voglio invadere il momento intimo di una persona.
B.M. - Che cosa ti aspetti che veda la gente nelle tue fotografie?
L.M. - Vorrei che si sentissero benvenuti nel mio mondo. Vorrei trasmettere che non si deve aver paura. Mi piacerebbe che la gente vedesse nei cimiteri non luoghi di morte, ma posti in cui nonostante la tristezza sia possibile riscoprire sentimenti inaspettati, che al di fuori non è possibile trovare e provare. I “Confini” che danno il titolo alla mostra sono quelli che dividono la vita dall’eternità rappresentata cimiteri. Perché è vero che la morte divide i corpi ma riunisce le anime.
B.M. - Un consiglio a chi ancora fa fatica a mettere piede in un cimitero?
L.M. - Dico di provare a varcarne i cancelli con la musica nelle orecchie e di iniziare a passeggiare. Poi viene tutto da sé.