L’ultimo appuntamento di Accademia Carrara nell’anno della Capitale è una mostra da vedere, da sentire e da ascoltare, che prova ad abolire i confini tra scena e pittura per restituire un periodo di contaminazione tra le arti, di intenso scambio tra gli artisti, di un sentire comune quale l’Ottocento romantico. Un’era lontana? In realtà il fenomeno del melodramma è quanto di più contemporaneo si possa immaginare. Ben lungi dall’essere classificabile, ieri come oggi, come un «genere», l’immaginazione melodrammatica è “virale” e si travasa in modo pervasivo e “democratico” dalla musica all’arte, dalla letteratura alla società, dal cinema alla rete.
«In mostra, al di là dei link visivi che per antonomasia ci conducono al teatro, come il sipario o il camerino – sottolinea Parolini – abbiamo composto una quinta prospettica dal collage di teatri e palazzi di diverse città d’Italia. Non esiste in Italia un paese senza una via o una piazza intitolata agli interpreti, ai musicisti, ai compositori del melodramma, moltissime sono le città con teatri a loro dedicati. Questa appartenenza, che va ben oltre la toponomastica, è la testimonianza di quanto siano diffuse e visibili nella nostra geografia le tracce di un’arte o di un linguaggio che ci riguardano e ci appartengono, anche se ne siamo solo parzialmente consapevoli. Nel nostro Paese arie e cori sono utilizzate persino in pubblicità perché sono qualcosa di universalmente riconosciuto. Le storie del melodramma continuano ad essere rappresentate perché continuano a riguardarci, sia dal punto di vista emotivo e sentimentale che dal punto di vista politico, perché sono vicende che, trasposte nella storia, si continuano a ripetere».
Ecco quindi spiegato il ruolo della scenografia in una mostra come «Tutta in voi la luce mia», immaginata come «un percorso che accompagna lo spettatore dall’ingresso dell’edificio teatro alla messa in scena, svelando tuttavia quei meccanismi che portano alla rappresentazione che lo spettatore non vede mai. Mi sono chiesta: che cosa restituisce vita alla pittura? Guardando i dipinti selezionati per la mostra mi sono resa conto che erano a tutti gli effetti una messa in scena, come fossero immagini cristallizzate di spettacoli teatrali. I ritratti, gli interpreti, i soggetti, i temi, le storie, la Storia diventano materia viva e tridimensionale grazie al melodramma».
Parte da qui l’itinerario che guida il visitatore dentro e fuori dal teatro, tra verità e rappresentazione, tra pittura e vita: «Ogni ambiente regala un’esperienza, nel quale il pubblico diventa protagonista: attraversato il fondale raffigurante la facciata del Teatro Donizetti, si prosegue sotto il cielo stellato della stanza dedicata al Diluvio universale, fino a varcare la soglia dell’ “ingresso artisti” ed entrare in un camerino, dal quale provengono vocalizzi di un performer che scalda la voce e si prepara a vestire i panni del personaggio. E poi abbiamo accesso a due finestre aperte: una guarda la facciata del teatro e l’altra si affaccia sull’ingresso artisti. Tecnici, musicisti, cantanti: quale delle persone che vediamo entrare salirà sul palcoscenico?».
Si entra poi nel vivo del processo creativo: «Sopra un tavolo pieno di libri, le carte, le partiture e i libretti d’opera si animano grazie a una videoinstallazione che ci restituisce l’abile intreccio fra letteratura, verità storica e invenzione. Assistiamo alla costruzione dell’interferenza tra il linguaggio figurativo e quello scenico e abbiamo acquisito gli strumenti per poterci dedicare all’ascolto, un’esperienza sonora soggettiva legata alla visione specifica di un dipinto».
E poiché, come si diceva, il melodramma è un linguaggio trasversale e stratificato, l’eco della mostra raggiunge anche la Biblioteca Angelo Mai in Città Alta dove, sempre accompagnati dall’allestimento scenografico di Parolini, «il mondo da cui siamo emersi diventa caricatura ed esplode, i personaggi abitano l’Atrio scamozziano, un’altra volta ci raccontano attraverso la sintesi del disegno e la lama della satira un punto di vista nitido della società del tempo. L’ultimo passaggio a chiudere il cerchio – suggerisce la scenografa – è il Teatro Donizetti, dove ora come allora si va in scena: sipario!».
Una nota biografica
Laureata in scenografia nel 2007 all’Accademia di Belle Arti di Brera, dall’inizio del suo lavoro Federica Parolini, oltre alla scenografia e al costume nell’ambito del Teatro si interessa e partecipa a progetti sperimentali sul linguaggio dell’opera lirica, progetta percorsi installativi, collabora alla progettazione di festival, realizza illustrazioni e partecipa all’organizzazione di eventi.
Dal 2006 firma le scene di diversi allestimenti diretti da Francesco Micheli. Dal 2012 lavora con Leo Muscato e dal 2016 collabora con i Teatrialchemici. Vince nel 2020 il Premio Franco Abbiati nella categoria Migliori scene per «Agnese» di Ferdinando Paër, prodotta dal Teatro Regio di Torino. Del 2021 è la mostra «Carlo Aymonino. Fedeltà al tradimento», a Milano in Triennale di cui cura il progetto di allestimento.
Due eventi da annotare a novembre
Come ogni ultimo venerdì del mese, in occasione dell’apertura serale straordinaria del museo fino alle 23, la mostra «Tutta in voi la luce mia. Pittura di storia e melodramma» si arricchisce di canti e performance dal vivo. Il prossimo appuntamento è previsto per venerdì 24 novembre; l’allestimento scenografico verrà “animato” da studenti e studentesse del Conservatorio G. Donizetti di Bergamo nelle vesti di protagonisti del melodramma ottocentesco.
A chiudere gli eventi di novembre, mercoledì 29 alle 20, La Pizza Capolavoro, una cena benefica pensata per Bergamo Brescia Capitale della Cultura nella pizzeria Da Nasti, organizzata da Accademia Carrara in collaborazione con Da Nasti e Trattoria delle Miniere.