Una mostra deve saper raccontare una storia, nascondere tra le peculiari bellezze di ogni opera un filo; quest’ultimo, poi, snodandosi armoniosamente nel percorso espositivo, è chiamato ad accompagnare il visitatore alla ricerca di un significato che gli diventi più prossimo possibile. Questo filo, ne «Il maestro e l’allievo: dialogo tra capolavori restaurati del Moretto e del Moroni», è incredibilmente percettibile, perché ricercato dai primissimi ragionamenti attorno alla mostra, quando era solo un pensiero, forse utopia.
Per capirne di più abbiamo intervistato la curatrice della mostra attualmente in corso nella chiesa di San Bartolomeo ad Albino – che chiuderà il 26 dicembre 2022. Orietta Pinessi consegna attraverso le sue parole quel fil rouge che consente di perdersi consapevolmente nella labirintica storia moroniana.
CD: Si ricorda quando ha incontrato per la prima volta Giovan Battista Moroni? Come si è intrecciato ai suoi studi, alla sua vita?
OP: Da storica dell’arte, sono sincera, non ricordo la prima volta in cui mi sono scontrata faccia a faccia con Moroni. Ho invece memorie vive del 2020, quando abbiamo iniziato a dare progressivamente forma a «Moroni500». Quell’anno era partito anche il restauro dello «Stendardo della visitazione» (ne abbiamo parlato qui con il restauratore, ndr), destinato a diventare il simbolo di tutta la rassegna. Maria ed Elisabetta si abbracciano, una vergine e giovane, l’altra anziana, entrambe incinte: una bella immagine che ha scandito le fasi più calde della pandemia, accompagnando poi i successivi tentativi di ripresa. Da questo è partita la nostra avventura moroniana, mostra dopo mostra, incontro dopo incontro, fino ad arrivare a questo incredibile «Gran Finale».
CD: Come è nata l’idea di concludere così l’intensa rassegna di «Moroni500»?
OP: È stato il frutto di una congiuntura favorevole. Fin dagli esordi era forte, ma non burocraticamente semplice e fattibile, il desiderio di riportare ad Albino «I Coniugi Spini». In seguito, però, i due ritratti moroniani, insieme al «Cristo portacroce con un devoto» del Moretto, si sono trovati tra le braccia della Fondazione Credito Bergamasco per un importante restauro che, eseguito da Delfina Fagnani e terminato a ottobre, ha ritrovato l’Academia Carrara chiusa per riallestimento. Ecco l’occasione per attivare una sinergica collaborazione tra l’organizzazione di Promoserio e il Comune di Albino, l’Accademia Carrara e la Fondazione Credito Bergamasco (main partner). La mostra «Il maestro e l’allievo» ne è ora il risultato.
CD: La famiglia Spini, centrale in questa mostra, è portavoce del passato di Albino, ma non solo.
OP: Decisamente. Gli Spini erano una famiglia albinese importantissima, diventata ricca e famosa dal Quattrocento per una particolare tintura nera dei panni di lana; il potere della loro famiglia rimarrà poi costante e centrale per tutto l’Ottocento, quando diverranno protettori anche del Piccio, chiamato originariamente per occuparsi dei giardini e delle fontane, ma mantenuto in seguito all’Accademia Carrara per le sue sorprendenti abilità pittoriche. Marcantonio Spini, il padre di Bernardo, può essere considerato il primo mecenate di Moroni; il pittore, tra la prima e la seconda sessione del Concilio di Trento, nel 1549, torna ad Albino per realizzare degli affreschi commissionatogli proprio dal pater familias Spini. Di questi, purtroppo, non ne è rimasta traccia, ma in quella storica villa di Via Mazzini, ne siamo certi, si è concretizzata per la prima volta la fiducia di questa nobile famiglia per il giovane Giovan Battista Moroni.
CD: Che significato assume, per lei, il ritorno di Bernardo Spini e Pace Rivola ad Albino?
OP: Come detto poco fa, non avendo più testimonianze dirette del primissimo sodalizio tra il nostro pittore e gli Spini, questi due ritratti ne diventano l’emblema. Bernardo Spini e Pace Rivola, grazie ai loro costumi, ci aiutano a collocare il ritratto nel 1573-1575, quando imperava la moda spagnoleggiante; lo schema del state portrait, inoltre, è uno stile appreso dal Moroni a Trento all’epoca del Concilio. Pace Rivola, tra l’altro, sembra essere incinta: indossa una zimarra smanicata, in panno nero di lana, sopra una veste rossa in raso. Un costume piuttosto sobrio e castigato, puntellato da un’acconciatura a ghirlanda e un ventaglio in piume di struzzo come unici vezzi, è rappresentazione di una classica nobildonna di provincia. Bernardo, vestito anche lui di tipica lana nera, ha uno sguardo altezzoso che, insieme a quello di Pace, fissa imperterrito un punto preciso nello spazio. Incredibile è il naturalismo di questi ritratti, capaci di regalare una preziosa e degna conclusione al nostro percorso. Per di più, il recente restauro da parte della Fondazione Credito Bergamasco, ravvivandone fortemente i colori, dona ai dipinti nuova luce: la stessa che spero possano ricevere dai tanti visitatori curiosi di conoscere la loro storia.
CD: Per scaldare questo incontro è prevista anche una conferenza …
OP: Venerdì 9 dicembre, alle ore 20.30 presso l’Auditorium Mario e Benvenuto Cuminetti di Albino, Giampiero Tiraboschi e Franco Innocenti, storici albinesi, presenteranno la parabola storica di questa grande famiglia dal XV al XIX secolo: originari di Spino di Zogno, ad Albino, grazie all’arte della tintoria, diventano imprenditori; dopo essersi innestati in società mercantili, tra l’esercizio della finanza e la rendita agraria, nel Seicento accedono alla condizione aristocratica, alternando la residenza tra la città di Bergamo e Albino. È poi della fine del Settecento l’attuale palazzo Servalli, costruito per la loro villeggiatura. Costante è rimasto il legame con il paese che gli ha dato fortuna e interessante, a tal proposito, è scovare dove si trova lo stemma della famiglia ad Albino. Uno stipite contornato da un ramo spinoso (che allude appunto al nome della famiglia) costella, per esempio, l’ingresso della chiesa di San Bartolomeo e della vecchia dimora Spini. Non voglio però svelare altri dettagli, la conferenza del 9 dicembre (a ingresso gratuito) è un’occasione da non perdere.
CD: Credo fortemente che uno dei valori aggiunti nell’intervistare il curatore o la curatrice di una mostra sia quello di farsi raccontare quale idea abbia dato forma all’allestimento, frutto sicuramente di un gusto personale, oltre che da altre studiate ragioni. Come dialogano, allora, le opere scelte per questo «Gran finale»?
OP: Definirei l’allestimento di questa mostra semplice e, allo stesso tempo, sontuoso. Abbiamo optato per una struttura metallica, posta al centro della chiesa, sulla quale insistono le opere; lungo le pareti, invece, il visitatore trova dei pannelli che approfondiscono alcuni dettagli e caratteristiche dei dipinti. Obiettivo fondamentale era quello di non compromettere in alcun modo la naturale bellezza della Chiesa di San Bartolomeo, che viene ora ulteriormente impreziosita con queste opere. Entrando, il visitatore è chiamato a seguire il filo della narrazione storica, cronologica: davanti a sé, infatti, trova in primo luogo il «Cristo portacroce con un devoto» del Moretto, storico maestro del Moroni, che invece presenterà i suoi «Coniugi Spini» sul retro della struttura.
CD: la forte connessione tra il Moretto e Moroni, tra Brescia e Bergamo, rende questa mostra un ponte verso le due città capitali della cultura 2023.
OP: Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, è stato lo storico maestro bresciano (la cui famiglia era originaria di Ardesio) di Moroni: non solo magister picturae, ma soprattutto magister vitae, figura di riferimento morale, religiosa e professionale. Insieme, sono pronti a raccontare un tassello della storia che lega queste due città, unite – ora più che mai – dalla cultura che le ha nutrite. Questo è anche il pensiero più interessante che ha guidato il mio lavoro: avere la possibilità di raccontare vite che, in qualche modo, sono intrecciate con la personalissima storia di chi è venuto, e continuerà a venire, in visita. Non resta che lasciarsi guidare e orientare da questo filo espositivo!
Info
«IL GRAN FINALE. Il maestro e l’allievo: dialogo tra capolavori restaurati di Moretto e Moroni»
Albino, Chiesa di San Bartolomeo
Ingresso gratuito
Giovedì e venerdì: 15 – 19
Sabato e domenica: 10.30 – 13.30 / 15 – 19
Nei festivi:
giovedì 8 dicembre: 10.30-13.30 / 15 – 19
domenica 25 dicembre: 15 – 19
lunedì 26 dicembre: 15 – 19
Per maggiori dettagli e per scoprire gli itinerari moroniani organizzati in occasione della mostra: valseriana.eu/moroni-500/.
Progetto promosso da Comune di Albino e Promoserio, in collaborazione con Fondazione Credito Bergamasco e Accademia Carrara e realizzato con il contributo di Regione Lombardia nell’ambito del bando Ogni Giorno in Lombardia.