Se alla vista dei manifesti pubblicitari della nuova mostra all’Accademia Carrara “Tiziano e Caravaggio – In Peterzano” (6 febbraio – 17 maggio) vi siete chiesti chi è Peterzano non sentitevi in difetto.
Il percorso – a cura di Simone Facchinetti, Francesco Frangi, Paolo Plebani e Maria Cristina Rodeschini – è pensato proprio per strappare dall’ombra e dagli ingombranti Tiziano (suo maestro) e Caravaggio (suo allievo) un artista che finora è stato indagato praticamente solo dagli addetti ai lavori. Per questo può essere utile armarsi di qualche coordinata prima di programmare una visita.
Il titolo passepartout
Il titolo della mostra sembra una delle solite astuzie di marketing che fa brillare in primis i due nomi acchiappa-folle di Tiziano e Caravaggio. Ma quello che sembra un gioco di parole in realtà è la chiave di lettura di una mostra che invita a una caccia alle relazioni. Da quelle evidenti a quelle più nascoste: c’è infatti del Peterzano in Tiziano e del Tiziano in Peterzano, del Caravaggio in Peterzano e del Peterzano in Caravaggio. Sembra un rompicapo, ma l’evidenza lampante di questi legami nelle opere esposte sarà alla portata di tutti.
La formula del percorso espositivo è quella di un racconto che non procede in modo lineare (Tiziano – Peterzano – Caravaggio) ma incrocia altre suggestioni (il mito, l’amore, la musica e il sacro). E soprattutto racconta l’artista ribaltando la prospettiva (almeno nelle intenzioni): i capolavori di maestri indiscussi come Tiziano, Tintoretto, Veronese e Caravaggio sono chiamati ad aiutarci a far luce sul percorso creativo dello “sconosciuto” Peterzano, e non viceversa.
In altre parole quell’“in Peterzano” del titolo preannuncia un’occasione per saperne di più su questo protagonista della scena artistica milanese del secondo Cinquecento. Una figura capace di fare da nodo di congiunzione tra il colore veneto e la schietta tradizione naturalistica lombarda, con un proprio, raffinatissimo linguaggio. Così che accanto alla tavolozza calda e sensuale dei grandi maestri veneti, la sua insolita gamma cromatica “gelata” – fatta di blu, di bianchi, di gialli acidi e di viola che fanno frusciare sete e velluti dipinti – ci apparirà quantomeno conturbante.
Chi è Simone Peterzano
Fino a tempi recentissimi, la figura del pittore è stata indagata più che altro per esplorare i possibili lasciti nei confronti dell’allievo Caravaggio. L’unica occasione che ha visto Peterzano balzare improvvisamente sulle prime pagine delle testate italiane e straniere è stata quando nel 2012 si è gridato alla scoperta di cento disegni di Caravaggio (fino ad allora sconosciuti) nel Fondo Peterzano custodito al Castello Sforzesco. Una bufala che ha portato in Tribunale i due autori della presunta scoperta, condannati a un risarcimento di cinquanta mila euro per aver leso l’immagine del Comune di Milano.
A fugare invece ogni dubbio sul fatto che Peterzano sia di origini bergamasche è stato qualche anno fa lo studioso bergamasco Gianmario Petrò che ha rinvenuto i documenti necessari a far luce sulla famiglia dell’artista e sui suoi spostamenti tra Bergamo e Venezia. Il padre, Francesco di Maffeo Peterzano, originario di Bergamo (ma il trisnonno di Simone abitava a Cornalita di San Giovanni Bianco) risiedeva infatti a Venezia almeno dal 1541, dove esercitava la professione di orefice.
Simone crebbe dunque in laguna e lasciò Venezia all’inizio del 1561. Nel 1572 è già al lavoro a Milano nel cantiere della chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore. Da quel momento in poi la carriera di Peterzano è tutta in ascesa e le numerose commissioni documentano l’affermarsi del pittore in luoghi via via sempre più centrali del capoluogo lombardo. Culminando nell’ultimo dipinto prima della morte nel 1599, eseguito per l’altare di Sant’Ambrogio nel Duomo di Milano.
La riscoperta
La riscoperta dell’artista si è giocata negli ultimi trent’anni e sui dipinti di soggetto mitologico, letterario e musicale. Prima di allora, l’unico Peterzano conosciuto era quello milanese, di carattere sacro. Un catalogo di una quarantina di opere tra cicli affreschi e pale d’altare.
Il primo, clamoroso ritrovamento è del 1990: Mina Gregori vede da un antiquario newyorkese una “Venere e Cupido con due satiri in un paesaggio” (oggi a Brera) e vi riconosce immediatamente la mano di Peterzano così come l’impronta della cultura veneta. Si apre finalmente il capitolo della stagione veneta di Peterzano, cui molti nemmeno credevano, perché ne parlano le fonti e lui stesso si firma “Titiani alumnus”, ma fino a questo momento non c’era nessuna opera a documentarla.
Questa scoperta “sblocca” la ricerca e, tra musei e mercato antiquario, gli studiosi cominciano ad individuare la cifra di Peterzano in opere genericamente assegnate alla “bottega di Tiziano” o all’”ambito di Veronese”. Tre anni dopo riappare, sempre a New York “Angelica e Medoro”, poi è la volta delle allegorie della musica, di cui oggi si conoscono almeno tre prove. Soltanto qualche settimana fa è spuntato un dipinto raffigurante “Apollo e Marsia” a Richmond, in Virginia. Ora questi dipinti vengono per la prima volta riuniti, riordinati cronologicamente e restituiti al pubblico.
Prestiti eccezionali
La mostra conta su importanti prestiti fra Italia ed estero. “Venere e Cupido con due satiri in un paesaggio” (1570-73), proviene dalla Pinacoteca di Brera e dialoga con la sensualità di “Marte, Venere e Amore”, dipinto di Tiziano del 1550, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Non mancano la grande “Deposizione” della chiesa milanese di San Fedele, in cui il pittore si firma “S]imon Peterzanus / Titiani Al[umnus]”, e i due monumentali teleri della chiesa di San Barnaba a Milano – presentati dopo il restauro realizzato da Fondazione Credito Bergamasco.
Di Caravaggio troviamo due opere che valgono da sole una visita, quali il “Bacchino malato” dalla Galleria Borghese di Roma e “I musici” dal Metropolitan di New York. Ancora: di Tiziano la monumentale “Annunciazione” dalla Scuola Grande di San Rocco a Venezia e “Venere con Cupido e suonatore d’organo” dal Prado di Madrid. Di Tintoretto, la “scandalosa” tela con “Marte e Venere sorpresi da Vulcano” dall’Alte Pinakothek di Monaco. Di Veronese, la “Madonna col Bambino e Santi” dal Museo Civico di Vicenza.
Curiosità
Sono due le spigolature interessanti. La prima riguarda i teleri realizzati per la chiesta milanese di San Barnaba. Nella Milano di Carlo Borromeo si respira un clima decisamente diverso da quello di Venezia, e Peterzano deve fare i conti con il rigoroso controllo sui soggetti religiosi scaturito dal Concilio di Trento. Nel ruolo di visitatore apostolico incaricato dal Borromeo, Girolamo Ragazzoni, all’epoca vescovo di Bergamo, nel 1580 si reca nella chiesa di San Barnaba e, visionate le due opere eseguite da Peterzano, dà disposizioni per una loro rettifica. L’intervento “censorio” riguarda la presenza di nudità e di ritratti di soggetti vivi e riconoscibili. Peterzano è costretto ad adeguarsi e l’attenta indagine sui teleri ha infatti rintracciato una figura femminile che è stata velata e almeno un ritratto “mascherato”, probabilmente del committente dell’opera Giovan Giacomo Teodoro Trivulzio. In qualche modo però, l’artista si ribella con uno scatto di dignità professionale, e non autocensura il suo volto che ancora spicca ben evidente all’interno della composizione.
La seconda curiosità riguarda invece Caravaggio. Nella mostra troverete il contratto originale, datato 6 aprile 1584, che segna l’ingresso di Michelangelo Merisi, dodicenne o poco più, come apprendista nella bottega milanese di Simone Peterzano. L’artista si impegna a insegnare al ragazzo il mestiere della pittura, garantendogli per quattro anni vitto e alloggio. Il Merisi dovrà corrispondere al maestro ventiquattro scudi d’oro l’anno, lavorando giorno e notte in esclusiva.