Nelle immagini, due gigantesche manone bianche affiorano come il mostro di Loch Ness dalle acque del Sebino per sorreggere un globo terrestre popolato di continenti verdi e rigogliosi. Alla base, una passerella galleggiante per consentire ai visitatori di camminare al cospetto del carro allegorico.
Voglio essere sincera sino in fondo. Di primo acchito, mi sono detta “Sarà uno scherzo…”. Poi il post di Lorenzo Quinn è stato condiviso sui canali social dell’amministrazione comunale di Sulzano, carta stampata e web l’hanno rilanciato a go go, e il vice sindaco di Sulzano, Ida Bottanelli, ha confermato la volontà di realizzare l’opera nel 2022 nell’area di fronte alle ex palafitte di Sulzano, salutando il progetto di Quinn come un segno di rinascita, di rilancio internazionale per il Sebino dopo il miracolo Christo. Dando il via anche alla fase operativa della raccolta fondi.
A questo punto mi ha davvero preso lo sconcerto. Dentro di me una sola, ossessiva domanda ma perché?
Il perché di fondo, è evidente. È certo che, come tristemente accaduto con tutte le altre maxi incursioni nel paesaggio di Lorenzo Quinn, il popolo dei selfie, di Instagram e del “c’ero anch’io”, accorrerà in massa da ogni dove sul lago d’Iseo, pagherà il simbolico pegno richiesto dall’artista – consegnare una bottiglietta di plastica per ricevere in cambio un seme – per passeggiare tra le totemiche braccia di Quinn, per poi postare entusiastiche adesioni al messaggio ambientalista dello scultore: il mondo è nelle nostre mani, salviamo il futuro del pianeta, non lasciamolo affondare. Con buona pace anche di chi, tra gli abitanti del lago, ha entusiasticamente e ingenuamente commentato il post di Quinn dichiarandosi felicissimo di apprendere che l’opera sarà installata nelle vicinanze del proprio B&B.
Personalmente, l’ho sempre detto e scritto, non sono tra coloro che si indignano a prescindere di fronte al fenomeno dell’artentainment in nome di una reverenza dovuta al “tempio” della cultura. Così come non sono infastidita, tutt’altro, dal “pop” nella divulgazione culturale. Ma sulla necessità di coinvolgere il pubblico, soprattutto quello più giovane, in un percorso di formazione alla “bellezza” di forme e di senso dell’arte; sul presupposto che ogni proposta artistica e culturale debba essere un’occasione formativa per tutti, a mio parere non si dovrebbe transigere.
Tanto più che sono stata tra coloro che nel 2016, dopo aver seguito gli accesi dibattiti che hanno accompagnato la genesi di “The Floating Piers” di Christo sulle acque del lago d’Iseo, ha deciso di farsi un’opinione solo dopo aver osservato e vissuto l’installazione. Alla fine ne avevo concluso che, al di là di dietrologie e polemiche anche legittime, quel segno dorato pullulante di gente che solcava deciso le acque del lago poteva piacere e non piacere ma era comunque uno spettacolo alto e imperdibile di forma, paesaggio e “democratizzazione” della cultura.
Per questo oggi, che l’opera di Lorenzo Quinn sia salutata come degno sequel di quella magica esperienza mi fa rabbrividire. Lo stesso Quinn che non disdegna che i media lo qualifichino per prima cosa come figlio dell’attore Anthony Quinn; lo stesso Quinn “Peace & Love” che al comparire di una nuova maxi-opera, dispensa trionfalmente pillole di saggezza, del tipo “l’arte deve parlare un linguaggio semplice e il suo messaggio deve essere immediatamente compreso” o “le mie opere parlano di amore, speranza, fratellanza”.
Lo stesso Quinn che è entrato per ben due volte a gamba tesa nel paesaggio unico della laguna di Venezia (nel 2017 con le maxi-mani emerse dal Canal Grande per sorreggere l’hotel di Ca’ Sagredo minacciato dall’alta marea e due anni dopo con un nuovo ponte, nella città dei ponti, fatto di gigantesche mani che si intrecciavano in gesti di amicizia, amore, fratellanza e via di retorica moraleggiante) ma non in un momento qualsiasi ma sempre in coincidenza della Biennale creando un astuto equivoco, visto che queste installazioni non sono mai state nel programma della manifestazione.
Lo stesso Quinn che ora approda sul lago d’Iseo, non quando si tratta di uno specchio d’acqua semi sconosciuto ma veleggiando sulla lunga scia lasciata dall’opera di Christo e dalla sua ribalta internazionale.
Lo stesso Quinn che, a ben vedere e forse non a caso, non è mai stato presente in musei, mostre istituzionali, collezioni pubbliche e monografie di rilievo (ci ha pensato l’Italia a dare per prima all’arte di Quinn un patentino di “arte pubblica”, con l’accoglienza che – tra lo sconcerto di tanti – ha riservato alla sua opera “Give” (Dono) la scorsa estate a Firenze, tra le meraviglie del Giardino di Boboli…).
Per tutti questi motivi condivido con voi non le risposte – la cui complessità è facilmente intuibile – ma alcuni semplici interrogativi. Trovate che l’opera di Quinn sia bella (alla faccia delle splendide mani “parlanti” del David di Michelangelo, del Pensatore di Rodin, della canoviana Paolina Borghese o di quelle rapaci di Plutone come Bernini le fa affondare nella coscia di Proserpina)?
Vi sembra che l’installazione di Quinn dialoghi con il paesaggio del lago e soprattutto che questo paesaggio ne abbia bisogno? Vi pare che Quinn sia degno “erede” di Christo? L’arte si può ridurre a una questione di dimensioni? La legittima incompetenza in ambito artistico di chi per mestiere fa il politico o l’amministratore pubblico è una scusante per queste scelte? La altrettanto legittima mancanza di strumenti culturali del grande pubblico è una discolpa? La folla – o per meglio dire la massa – garantita è motivo sufficiente? L’arte è ridotta ad evento per attirare le folle?
È questo il modo per democratizzare l’arte? È questo il modo migliore per promuovere il lago d’Iseo come luogo di natura e cultura?
Ormai pare certo. Nel 2022, come recitano con un’ironia scontata e inconsapevolmente infelice tanti titoli sui media, Lorenzo Quinn “metterà le mani” sul Lago d’Iseo. Lasciamo che a parlare al mondo di arte sia il suo monumentale linguaggio dei segni.
Poco importa se sulle sponde del Sebino se ne resteranno, ancora una volta, in silenzio musei come l’Accademia Tadini di Lovere o capolavori vertiginosi come gli affreschi del Romanino.