Mostre, spettacoli, convegni, eventi. Abbiamo già parlato di come, da qui alla primavera del 2022, il Comune di Albino e Promoserio abbiano organizzato un fitto programma di iniziative per celebrare i 500 anni dalla nascita del celebre pittore albinese. Un modo per tornare a valorizzare il territorio e le sue risorse, la sua cultura, attraverso il prezioso patrimonio collettivo di una delle personalità più rappresentative della Bergamasca e della pittura rinascimentale: Giovan Battista Moroni.
Ritenuto a livello internazionale tra i più raffinati ritrattisti rinascimentali, Moroni fu però anche autore di pale d’altare e di dipinti devozionali in genere. Opere forse meno note al grande pubblico, o addirittura sconosciute, ma di indubbio valore artistico. Riscoprirle in un nuovo splendore può contribuire a gettare nuova luce sullo smisurato talento del pittore bergamasco e sul suo legame con il territorio.
“Giovan Battista Moroni è al centro di un racconto corale, che saprà coinvolgere tutti, a partire dai più giovani” afferma Simona Bonaldi, vicepresidente della Fondazione della Comunità Bergamasca. “È un’occasione per riscoprire luoghi, opere e tradizioni che rendono la nostra comunità così ricca e unica. L’abbraccio tra Maria ed Elisabetta, raffigurato sullo stendardo albinese che abbiamo contribuito a restaurare, ci accomuna perché il sostegno della Fondazione si può riassumere anche così, come la volontà di abbracciare le nostre terre, il suo pregevolissimo patrimonio, la nostra gente”.
Lo stendardo
Lo stendardo dipinto dal Moroni per la comunità di San Giuliano di Albino è proprio una delle opere moroniane a sfondo religioso al centro dell’opera di restauro di Antonio Zaccaria. È dipinto su entrambe le facce: da una parte “La Madonna col Bambino” e dall’altra “La Visitazione”.
L’opera è praticamente inedita al pubblico perché la fragilità del suo stato di conservazione ha imposto innanzitutto la dismissione dalla sua originaria funzione processionale. E di conseguenza, la custodia in un apposito cassetto, visto anche lo stato di non leggibilità e fruibilità delle due facce.
“Un intervento di restauro eseguito nella seconda metà del secolo scorso – spiega il restauratore Antonio Zaccaria – si era occupato di far fronte ai problemi strutturali dell’opera, senza integrare pittoricamente le importanti e diffuse lacune di materia pittorica. Durante i cammini devozionali era stato soggetto a importanti cambiamenti termo-igrometrici e a movimentazioni ‘libere’, essendo gestito dal solo bastone processionale e dunque non vincolato a un telaio perimetrale in grado di attutire le vibrazioni e i movimenti più importanti. Inevitabili le ripercussioni direttamente sul supporto, sui lievi strati preparatori e sulla materia pittorica”.
Il restauratore racconta che all’arrivo in laboratorio la composizione dello stendardo si presentava “frammentata da una ragnatela di lacune pittoriche che si sviluppavano con andamento orizzontale, verticale e obliquo, e che interessavano parti ampie e cruciali della composizione. Una grande lacuna, causata da un’antica piegatura, interessava il dipinto con la Madonna col Bambino. Mentre nella scena della Visitazione una delle lacune interessava proprio il volto della Vergine, compresi gli elementi fisiognomici di riferimento. Gli occhi, ad esempio”.
(Foto Fondazione Credito Bergamasco)
(Foto Fondazione Credito Bergamasco)
(Foto Fondazione Credito Bergamasco)
(Foto Fondazione Credito Bergamasco)
(Foto Fondazione Credito Bergamasco)
(Foto Fondazione Credito Bergamasco)
(Foto Fondazione Credito Bergamasco)
La ricostruzione pittorica e il recupero della lettura organica della composizione, in particolare dei volti, sono gli interventi su cui si è concentrato Zaccaria con la collaborazione di Barbara Vitali e Michela Grinzato.
“Dopo aver colmato le mancanze con la stuccatura, la delicata fase della ricostruzione pittorica è stata preceduta da un’attenta riflessione in ragione delle numerose e ampie mancanze e lacune diffuse su tutta la superficie: spaziando su gran parte della gamma cromatica utilizzata da Moroni, imponevano un accorto metodo integrativo. Abbiamo scelto di garantire la continuità con i toni originali ricorrendo a una minuta grafia identificabile solo a una distanza ravvicinata e modulata anche nei minimi passaggi cromatici, per restituire la freschezza vibrante dei continui mutamenti di tono e di luce”.
Il recupero dello stendardo e la sua nuova disponibilità alla fruizione pubblica diventa una sorta di riscatto di un genere particolare, quello degli stendardi dipinti. Una volta dismessa la funzione processionale, il più delle volte finiscono relegati nel chiuso delle sagrestie, testimoni silenziosi della devozione popolare, per secoli oggetti di preghiere e invocazioni di intere comunità.
Lo Stendardo della Visitazione sarà esposto nella chiesa di San Giuliano, ad Albino, fino al 22 agosto, nel contesto della mostra “Il codice Moroni” (qui ne parliamo nel dettaglio).
Il “Crocifisso”
La seconda opera presentata in mostra a conclusione del restauro è il “Crocifisso contemplato dai santi Bernardino da Siena e Antonio da Padova”, considerato tra i maggiori capolavori sacri di Giovan Battista Moroni. Un’operazione resa possibile grazie al supporto della Fondazione Credito Bergamasco: “La nuova campagna di ‘Grandi Restauri’, programmata da Fondazione Creberg nel corso del 2021, è rivolta a sei opere di Giovan Battista Moroni – spiega Angelo Piazzoli, Presidente della Fondazione – provenienti da chiese delle valli bergamasche, da Bergamo città e dal suo hinterland. Tra di esse, anche la celebre Crocefissione della parrocchiale di Albino. Con questo intervento, con la restituzione dei capolavori moroniani restaurati attraverso un’esposizione diffusa, prevista in autunno, e con la pubblicazione del ‘Catalogo Generale’ di Moroni, Fondazione Creberg partecipa e sostiene, quale partner principale, il progetto Moroni 500”.
Per quanto riguarda il “Crocifisso” l’intervento conservativo è consistito in una delicata operazione di pulitura e di ricostruzione a mimetico, con una minuta grafia, delle lacune di materia pittorica. Ancora Antonio Zaccaria:
“Su tutta la superficie del dipinto era steso uno spesso strato di vernice alterata e ingiallita che uniformava e scaldava i toni grigi e freddi su cui Moroni aveva volutamente giocato tutta la composizione. L’eliminazione di questo film di vernice li ha fatti pienamente riemergere, ripristinando l’originario colpo di scena del contrasto con il lampo brillante del perizoma giallo-aranciato del Cristo. Possiamo oggi tornare ad apprezzare anche dettagli tecnici strabilianti, come la costruzione del paesaggio per pennellate, probabilmente realizzate alternando diversi leganti per i pigmenti, che mettono in movimento tutta la natura che abbraccia la Crocefissione, animando le fronde dei boschi del Serio come fossero spettinate da un vento che porta grandine”.
Il beneficio del restauro non si limita al recupero del paesaggio, così tipicamente lombardo, naturalmente. Zaccaria racconta che la rimozione della vernice stesa nel corso di un precedente restauro ha consentito a Vincenzo Gheroldi di condurre indagini tecnico-scientifiche che hanno svelato un dettaglio che doveva essere cruciale per la fruizione dell’opera nel Cinquecento:
“Moroni utilizzò lacca rossa legata con una vernice oleo-resinosa per dipingere il sangue di Cristo che sgorga dalle mani e dalle ferite del costato. Sangue che poi impregna il perizoma e cola dai piedi lungo la croce. Era proprio il sangue, che doveva spiccare lucido e saturo all’interno della composizione, il dettaglio su cui il pittore voleva attirare immediatamente l’attenzione e il pathos dei fedeli”.
Ogni arte è anche tecnica
Un ulteriore motivo per recarsi alla Chiesa di San Giuliano ad Albino è l’esposizione dei materiali principali utilizzati dall’artista, un curioso spiraglio sull’aspetto più squisitamente tecnico della realizzazione delle opere artistiche nel periodo rinascimentale.
Quello del colore, racconta Zaccaria, “era un vero processo creativo, dimenticato da noi avvezzi ai colori industriali in tubetto, pronti all’uso in centinaia di tonalità differenti. Alla base dei pigmenti, nel Cinquecento, c’erano coloranti di origine minerale, vegetale e animale, molti dei quali provenienti dall’Oriente, dal Nord Europa, dalle Americhe. Smistati in grandi porti come quello di Venezia, finivano nelle botteghe di pittori, tintori, vetrai. Le lacche rosse, di uso comune nelle tintorie tessili, avevano soppiantato la porpora anche in pittura: grana o lacca di kermes, ottenuta da insetti parassiti delle piante come la cocciniglia, lacca di Brasile o verzino, lacca di garanza dalle radici di robbia. La lacca di cimatura di drappo, invece, era ricavata dalla bollitura dei ritagli di tessuto già tinto con la lacca”.
Per Moroni, dunque, niente di più facile che attingere direttamente “alle tintorie che a quel tempo fiorivano in Val Seriana. I pittori poi ‘legavano’ pigmenti e lacche con olii siccativi, come quello di semi di lino o di noce, e da ultimo potevano stendere sul dipinto un film di vernice protettiva, a base di resine naturali ottenute da conifere o da piante di paesi caldi, come la Mastice o la Dammar, poi sciolte in olio, in distillati oleosi o in spirito”.
Insomma, c’è da riscoprire e godersi anche il racconto di tutto un universo tecnico, non solo artistico, che ruota attorno alla figura e al lavoro di Giovan Battista Moroni. Non perdete l’occasione.
Info
IL CODICE MORONI
3 giugno-22 agosto 2021
Albino (Bg) - Chiesa di San Bartolomeo e Chiesa di San Giuliano
Ingresso gratuito
Aperture:
giovedì e venerdì 15.00 – 18.00
sabato 9.30-12.30 e 15.00 – 20.30
domenica 9.30-12.30 e 15.00-18.00