L a scrittrice inglese George Eliot (chissà perché nascosta dietro uno pseudonimo maschile: in realtà si chiamava Mary Anne Evans), si stupiva: “Certo che le donne sono stupide. Dio onnipotente le ha create per essere uguali agli uomini!” . Eppure San Paolo lo dichiara apertamente, nella Lettera ai Galati: “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più né maschio né femmina, perché voi tutti siete uno solo in Cristo” (Galati 3,28).
Esiste dunque quella che il Card. Ravasi ha definito una “her-story” del Vangelo? Sebbene il linguaggio della Bibbia sia evidentemente declinato al maschile, è indubbio che dalle pagine della Scrittura emergano potenti e complesse figure di donne – coraggiose, virtuose, ingannatrici o femme fatale – spesso figure a dir poco “scomode”, ma sempre capaci di ingegnarsi e rischiare percorsi inediti e poco ortodossi per rovesciare le sorti di una storia scritta dagli uomini. Senza di loro e senza i loro pregi e i loro difetti, il loro eroismo e i loro errori, il progetto di Dio non avrebbe potuto realizzarsi . Senza di loro Gesù non sarebbe un discendente di Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Salomone.
Prendiamo fra tutte la storia di Tamar che, rimasta vedova senza prole, si traveste da prostituta per sedurre il suocero Giuda: dal loro rapporto nacque Fares, da cui poi discese Gesù. Giuditta, Ruth, Ester , poi, sono tre personaggi femminili che danno il loro nome ad un libro della Bibbia. E il più “femminista degli evangelisti” è senza dubbio Luca, che comincia la sua narrazione della storia di Gesù dall’universo femminile, con le storie di tre donne che svolgono un ruolo fondamentale nel progetto divino della salvezza: Elisabetta, Maria e Anna .
Le mie preferite restano comunque le impavide cinque sorelle del Libro dei Numeri che fanno valere le loro ragioni, riuscendo ad ottenere da Dio la modifica delle disposizioni della Torà. Macla, Noa, Ogla, Milca e Tirza hanno il coraggio di presentarsi pubblicamente “davanti a Mosè, davanti al sacerdote Eleazar, davanti ai principi e a tutta l’assemblea all’ingresso della tenda di convegno” (Num. 27,2) per far valere i loro diritti sull’eredità del padre, che non aveva avuto figli maschi. “Dateci una proprietà in mezzo ai fratelli di nostro padre” chiedono, osando rivendicare il privilegio esclusivamente maschile della proprietà. Mosè porta il caso davanti a Dio che a sorpresa dà piena ragione alle cinque donne: “Le figlie di Zelofcad dicono bene. Sì, tu darai loro in eredità una proprietà tra i fratelli di loro padre e farai passare ad esse l’eredità del loro padre” . Il cosiddetto “precedente” è stabilito. Da lì in poi cambiano le norme sull’eredità maschile.
E poi c’è Miriam , la sorella di Mosè, pronta a guidare il popolo di Israele nella danza. Contesterà l’autorità esclusiva del fratello e per questo sarà punita. Eppure il popolo rifiuterà di mettersi in cammino senza la sua guida.
Certamente la storia dell’Incarnazione si cala per definizione nella realtà concreta e, dunque, non si preoccupa di mostrare anche il “lato oscuro” delle donne. La bella Betsabea , ad esempio, alle prese con intrighi e loschi accordi politici pur di consegnare il regno a suo figlio. E che dire della memorabile lite messa in scena, alla faccia della complicità femminile, tra Sara e Agar ? Sara, sterile e anziana, che propone ad Abramo di giacere con l’egiziana Agar, sua schiava, perché generasse un figlio per loro. Agar, che una volta rimasta incinta manifesta superiorità nei confronti dell’anziana padrona. Sara che per ritorsione obbliga Abramo a cacciare Agar e il figlio dal clan, costringendoli a vagare assetati nel deserto. E Abramo in tutto questo? Passivo, incapace di mediare i conflitti, sostanzialmente obbedisce alla moglie senza fiatare . Penserà Dio alla fine a promettere sia alla ricca e potente Sara che alla povera e straniera Agar che da entrambe nascerà una progenie.
Ancora oggi, tuttavia, le vicende di queste e altre grandi donne della Bibbia sono poco e per nulla conosciute. Ci ha pensato l’arte, tuttavia, a colmare più di una lacuna, portando in luce, o addirittura alla popolarità alcune di queste eroine .
Grazie alle innumerevoli rappresentazioni della scena della Visitazione tutti sappiamo chi è l’anziana Elisabetta (il cui consorte Zaccaria in questa occasione non entra mai nemmeno in scena).
Donne meno note dell’Antico Testamento popolano la serie di figure femminili che Francesco Hayez realizza tra gli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento – Tamar, Rut , Betsabea al bagno, Rebecca, Susanna – a dire il vero utilizzandole come “pretesto” per immortalare la sensualità femminile, a discapito di ogni significato storico e letterario.
Infine, sull’onda del #MeToo, la Giuditta che taglia la testa di Oloferne di Artemisia Gentileschi , twittata e ritwittata, è diventata una vera icona, una femminista ante litteram , e il gesto di Giuditta che salvò il suo popolo seducendo e poi decapitando il generale Oloferne diventa quello di Artemisia che si vendica del suo stupratore.
L’arte, dunque, ha tolto più di una eroina biblica dall’anonimato ma con qualche distorsione e più di una semplificazione di quella complessità dell’universo femminile che solo la lettura del testo biblico è in grado di restituirci.
Per chiudere, mi piace riportare l’illuminante “chiacchierata” avuta qualche tempo fa con Suor Miriam del Monastero delle Clarisse di via Lunga. Le sue parole restituiscono giusto merito ai volti delle donne del Vangelo, segnati dalla gioia e dalle lacrime, dal coraggio e dall’astuzia:
“Tutto il tempo che dall’avvento porta al Natale è gravido di attesa, di silenzio, ma anche è popolato di volti, messaggeri e oracoli, che annunciano la nascita del Messia. In questo scenario, un profumo di donna attraversa il tempo, crea un clima spirituale che si fa grembo, introduce l’eterno nel tempo . Figure femminili si sono avvicendate e sono divenute protagoniste interrompendo una storia popolata solo di uomini. Esse preparano la via dell’incarnazione del Figlio di Dio, spostando il centro della sua manifestazione dal tempio alla casa, da Gerusalemme a Nazareth, dalle celebrazioni maestose alla ferialità del quotidiano dove si consuma la vita. Quando si parla di una nascita, non può che essere protagonista una donna chiamata a generare e portare nel suo corpo la vita nascente ”.
E ancora: “La nascita del Salvatore è stata preparata da figure illustri, ma nella genealogia appaiono anche donne straniere: Tamar, Racab, Rut, Betsabea, che con la loro bellezza hanno intessuto un arazzo magnifico per il Messia . Eppure la loro è una bellezza che non eccelle in irreprensibilità, ma in audacia e coraggio: esse sono straniere o peccatrici, relegate ai margini dal giudizio dei pii del tempo, ma forse anche del nostro? La loro irregolarità appare provvidenziale, poiché attraverso le loro vicende il Messia giunge a noi. Nel disordine delle vicende umane, Dio tesse l’ordine del suo disegno di salvezza. Leggendo i Vangeli tutti gli incontri di Dio sono di misericordia, di perdono, di liberazione. Dio ricorre a vie insolite, va in cerca della pecorella smarrita, dell’umanità fragile e peccatrice. Si china su queste figure ai margini per farle rinascere e per metterle al centro della vita . Dio ama la fragilità, lui che per primo si è fatto fragile tanto da farsi Bambino” .
Infine: “Queste donne ci ricordano che il Vangelo è inclusivo, mai esclusivo. Noi purtroppo abbiamo ancora un’idea di Dio che giudica e divide il mondo tra buoni e cattivi. Ma Natale, con l’‘abbassarsi’ di Gesù nella carne umana, ci porta la buona notizia che per Dio siamo tutti suoi figli e dunque tutti fratelli, nessuno escluso” .