“Agghiacciante” per i frequentatori dei social; “improponibile sistemazione” per il pittore Mario Donizetti; una “porcata” per il deputato leghista Daniele Belotti; “se diventerò ministro la farò togliere” è la promessa di Vittorio Sgarbi. Di contro, l’Assessore ai lavori pubblici Marco Brembilla difende quella che rivendica come “una grande opera per la nostra città” e il Comune di Bergamo è costretto a un lungo, articolato post per chiarire non solo che l’intervento è stato avallato da Soprintendenza e Commissione paesaggio, ma anche per squadernare una per una le motivazioni di accessibilità ed estetica da cui è scaturito.
Ovvero l’abbattimento dell’ultima barriera architettonica presente sull’anello delle Mura, in linea con le prescrizioni Unesco: maggior sicurezza e percorribilità del tratto per tutti, non solo disabili ma anche anziani e mamme con il passeggino, senza contare l’affinità con il modello della maggioranza delle ringhiere presenti lungo le Mura, e così via. Non è mancata anche la voce dei primi destinatari dell’intervento, le persone con difficoltà motorie, che –giustamente – hanno sottolineato il valore prioritario del loro diritto a poter finalmente percorrere le Mura in sicurezza.
Premesso che ci sarebbero anche problematiche urbane ben più urgenti e complesse della passerella di Porta San Giacomo, al netto di pregiudizi, politica, giudizi di gusto, valutazioni economiche e procedure di legge, una sola domanda salviamo di questa bufera: “Non si poteva fare diversamente?”. E, in filigrana: “Ma da quando monumenti e città storiche, abbattimento delle barriere architettoniche e pensiero estetico sono fattori incompatibili o in competizione tra loro?”.
Tra le opinioni raccolte nei giorni scorsi, mi ha colpito quella dell’architetto Attilio Pizzigoni: “Penso che quello che manca oggi nella gestione urbana è la cultura della manutenzione, importante forse più che far cose nuove. E anche quando si tratta di cose nuove, bisognerebbe farle come se le avessimo sempre viste. A questo servono gli architetti, a lavorare su problemi e complessità di fattori per risolverli in modo esemplare. Il bravo architetto non deve proporre interventi che stupiscono, ma soluzioni di cui nessuno quasi si accorge”.
Non si capisce, dunque, perché anche il superamento delle barriere architettoniche non possa essere pensato e disegnato per inserirsi con naturalezza in un contesto storico come quello di Porta San Giacomo. E se le idee non ci sono, perché non attingere alle belle intuizioni altrui. Un esempio su tutti? “Il restyling del Museo della Cultura, in pieno centro storico di Basilea, realizzato nel 2010 dagli archistar Herzog & de Meuron” suggerisce Pizzigoni.
Per l’occasione, lo studio svizzero – che vanta la progettazione di musei e centri culturali a ogni latitudine del mondo, dalla Vancouver Art Gallery, passando per il Campus Vitra, la Fondazione Feltrinelli di Milano e l’iconico nuovo volto della Tate di Londra così come il centro culturale M+ al porto di Hong Kong – invece di ampliare il vecchio edificio in orizzontale, ha preferito aggiungere una sopraelevazione e abbassare il livello della corte storica, nota come Schürhof, per creare un nuovo ingresso comodamente accessibile a tutti, comprese le persone con difficoltà, che diventa uno spazio semi-pubblico.
Un semplice piano dolcemente inclinato degrada dalla piazza senza che si avverta alcuna soluzione di continuità e conduce dentro il Museo attraverso una selva di piante pensili e rampicanti. Soluzione semplice quanto geniale.
Per carità, non si pretendeva che per l’intervento in Porta San Giacomo si dovessero scomodare progettisti che hanno scritto la storia dell’architettura contemporanea. Ma non c’è dubbio che il luogo meritasse una riflessione progettuale più articolata, che coinvolgesse bravi architetti: “Una porta urbana è il biglietto da visita di una città. – conclude Pizzigoni – Porta San Giacomo è un monumento storicamente già massacrato. Questo intervento poteva essere l’occasione per trovare una soluzione efficace ma ragionando sulla memoria delle preesistenze, sul recupero di un brano di città e della sua dimensione di piazza urbana all’interno delle Mura. Lo stesso vale per Porta Sant’Agostino che è il principale ingresso in Città Alta. Là dove gli architetti del Settecento avevano creato una dimensione costruita, con tanto di fontana, oggi siamo accolti da rampe, lampioni, strisce pedonali, aiuolette cimiteriali”.
Eppure tutta la nostra comunicazione turistica continua a promuovere Porta San Giacomo come la più elegante e scenografica tra le porte delle Mura, un vero highlight nello skyline di Città Alta: l’unico varco nelle Mura visibile dalla Città Bassa; l’unico realizzato in lucido marmo bianco di Zandobbio; la fronte più ornata delle porte cittadine perché pensata per essere ben visibile da quel Prato di Sant’Alessandro su cui si svolgeva la famosa Fiera di Sant’Alessandro, manifestando la doppia valenza delle mura di chiusura e difesa ma anche di balcone e luogo di parata.
“La più bella e la più maestosa di tutte le altre, che si mirano nella fortezza”, già annotava il Calvi nel 1592. Ancora oggi è uno dei luoghi più fotografati di Bergamo e non a caso è scelto come perfetto sfondo per proiezioni di luce (come il tricolore della bandiera italiana durante le ricorrenze nazionali). Insomma, ci pare ora che la polemica si chiuda, ma la “passerella” di Porta San Giacomo resta senz’altro un’occasione perduta.