Ben lungi dall’accontentarsi di una comparsata come migliori amici dell’uomo, gli animali nell’arte in realtà sono comprimari, talvolta protagonisti assoluti, sempre chiave di volta – reale o simbolica – della narrazione (il bue e l’asinello nella Natività già ci indicano la strada).
Che cosa raccontano gli animali nell’arte? Ci sono i primi attori, gli animali in posa come i cani spesso protagonisti all’interno di scene di genere, potremmo dire le “nature vive”. Oppure sono presenze di forte valenza allegorica, come nella pittura a soggetto sacro e mitologico. I compagni fedeli dei santi, come Girolamo con il leone, Giorgio con il drago, Giovanni Battista con l’agnello. Oppure i soggetti ispirati dalla letteratura classica, quali Prometeo e l’aquila, Leda e il cigno, Diana cacciatrice e il Ratto di Europa. E ancora l’affascinante incantesimo con cui la maga Circe trasformava i suoi nemici in animali, e quello di Orfeo che, suonando la lira, incantava le fiere e la natura.
Quel che è certo è che non sono mai scelte casuali e che all’interno del suo racconto per l’artista l’animale è importante al pari, se non di più, dell’uomo co-protagonista. Talvolta addirittura si assiste a un’inversione di ruolo, come nel dipinto del Cavalier Tempesta che facendo campeggiare gli animali in primo piano, più che “S. Giovanni Battista e l’agnello” potrebbe intitolarsi “L’agnello e S. Giovanni Battista”. E ci sono pittori che per tutta la vita hanno ritratto esclusivamente animali, come il nobile bresciano Giorgio Duranti, una sorta di birdwatcher della fauna locale, o il pittore Rosa da Tivoli, il più grande pittore di capre, caproni e torelli della storia dell’arte italiana. Lo stesso Sgarbi lo ha voluto nella sua collezione, sfoggiandolo come fosse un emblema del suo tormentone “capra! capra! capra!”.
E poi c’è l’affascinante capitolo della fantasia, primo su tutti quello dedicato all’unicorno, l’animale fantastico per antonomasia: la “Dama col liocorno” di Raffaello docet. Non dimentichiamo che all’epoca dell’Urbinate in ogni “Camera delle meraviglie” che si rispetti non può mancare un dente di narvalo che, con la sua caratteristica spiraliforme, veniva spacciato per il corno dell’unicorno.
Gli animali che dimorano nell’arte a Bergamo
L’Accademia Carrara, naturalmente, visitata con l’occhio attento all’animalier, è un vero e proprio zoo. Tra i tanti i “Due tarabusi” di Giorgio Duranti, i tacchini del Crivellone e quel vero e proprio capolavoro di recente riscoperto che è “Leda e il cigno”.
Non dimentichiamo, poi, che era un bergamasco doc, nativo di Vilminore di Scalve, quell’Enrico Albrici che divenne di moda tra i collezionisti del Settecento con le sue “bambocciate”, mirabolanti e grotteschi teatrini dipinti che richiamano i “Viaggi di Gulliver”: un popolo di nani è protagonista di bizzarre avventure che spesso coinvolgono animali domestici, ma che nascondono metafore dal significato ben più profondo.
Valenza narrativa e allegorica si intrecciano indissolubilmente negli animali che fanno capolino nell’arte sacra. Di buoi, asinelli, pecore e agnelli, ne abbiamo a portata intere mandrie nelle nostre chiese, dove ciascuno di noi può “adottare” il gruppo che più gli piace.
Se invece volete andare in cerca di incursioni più curiose, provate a partire dallo scoiattolo. Lo ritroviamo nell’amatissima “Madonna dello scoiattolo” di Giacomo Gavazzi (1512) custodita nella Basilica di S. Alessandro in Colonna. Qui il Bambino si protende verso il simpatico animaletto, mentre nel bel dipinto di Lorenzo Lotto “Madonna con il Bambino, San Giovanni Battista e Santa Caterina” (1522), custodito nel castello di Costa di Mezzate nella collezione Palma Camozzi Vertova, Gesù appena nato si ritrae terrorizzato rifugiandosi nelle braccia di una preoccupatissima Maria. La spiegazione è nei significati simbolici: nella tradizione antica si pensava che lo scoiattolo fosse in grado di sentire in anticipo l’arrivo della tempesta che, sulla scena della Natività, allude alla tempesta della Passione.
Lo stesso presagio è presente nella “Madonna del cardellino” di Bartolomeo Vivarini della chiesa di Almenno S. Bartolomeo, in cui il Bambino trattiene un cardellino, associato alla Passione perché si credeva che si fosse trafitto il capo cercando di estrarre le spine dalla corona posta sulla testa di Cristo.
Infine, la “Madonna dei colombi” del Cariani conservata in Duomo, in cui il cestino “abitato” da due soffici colombe e il piccolo forziere aperto su cui siede il Bambino alludono alla Presentazione di Gesù al Tempio, e alla legge ebraica secondo cui ogni figlio maschio andava riscattato al Tempio attraverso l’offerta di cinque sicli e di due giovani colombe.
Inutile spiegare a che cosa alludono, nel grande affresco della Danza Macabra sulla facciata dell’Oratorio dei Disciplini di Clusone, rospi, scorpioni e vipere che strisciano sulla tomba in cui giacciono il Papa e l’Imperatore. A far da controcanto sono i cavalli, i cani e i falconi che rappresentano l’ultimo guizzo di bella vita per i tre giovani che andando a caccia finiscono per imbattersi negli scheletri killer, aiutanti della Nera Signora.
Per saperne di più
Per un’affascinante immersione nel rapporto millenario che lega uomini, animali e arte, non perdetevi il catalogo della bella mostra “Gli animali nell’arte dal Rinascimento a Ceruti” (Silvana editoriale), curata da Davide Dotti a Palazzo Martinengo di Brescia nella primavera 2019. Una prestigiosa carrellata di dipinti di maestri del Rinascimento e del Barocco italiano.
Gli animali nell’arte contemporanea
Quella degli animali è una magnifica ossessione che rapisce anche l’arte contemporanea, con esiti spesso discutibili e spiazzanti, che non mancano di accendere polemiche e proteste da parte delle associazioni animaliste di tutto il mondo.
Basti pensare all’effetto suscitato dai cavalli appesi al soffitto o con la testa conficcata nella parete dal sempre eversivo Maurizio Cattelan. Ha fatto degli animali una vera e propria cifra di riconoscimento l’artistar Damien Hirst che esplora il tema della morte attraverso corpi di mucche, tigri e squali dissezionati o immersi in formaldeide, installazioni per le quali sono immancabilmente volate sul mercato cifre da capogiro.
Gli animali popolano immancabilmente anche l’arte e il teatro del celebre coreografo, regista, artista visivo belga Jan Fabre, uno dei più bersagliati dagli animalisti: cani e gatti randagi imbalsamati, scarabei iridescenti, falene.
Talvolta nel gran teatro dell’arte sono entrati anche animali vivi, come nell’indimenticabile installazione “12 cavalli vivi” realizzata nel 1969 dal maestro dell’Arte Povera Jannis Kounellis sfidando la storia dell’arte a presentare la natura così com’è invece di limitarsi ad imitarla.
In altri casi gli artisti sono andati alla ricerca di una comunicazione a tu per tu con gli animali, come quando Joseph Beuys nel1974 si è fatto chiudere per tre giorni in una gabbia insieme ad un coyote, per mettere in scena l’utopia di una riconciliazione tra uomo e natura, istinto e razionalità.
Troppo spesso utilizzati come protagonisti di opere-shock, gli animali diventano invece un affascinante universo da esplorare per il grande fotografo americano Steve McCurry. I suoi “Animals” nascono nel 1992, quando McCurry è nell’area del Golfo per documentare il disastroso impatto ambientale e faunistico nei luoghi di guerra. McCurry tornerà dal Golfo con alcune “iconiche” immagini, come i cammelli che attraversano i pozzi di petrolio in fiamme e gli uccelli migratori interamente cosparsi di petrolio. Con questo reportage vincerà nello stesso anno il prestigioso Word Press Photo, con un premio assegnato da una giuria molto speciale, la Children Jury, composta da bambini di tutte le nazioni.
Via alla sopravvivenza o amati come compagni di vita: gli animali immortalati da McCurry raccontano le mille storie di vita quotidiana che legano indissolubilmente l’animale all’uomo e viceversa. Un affresco corale dell’interazione, della condivisione, che tocca i temi del lavoro e del sostentamento che l’animale fornisce all’uomo, delle conseguenze dell’agire dell’uomo sulla fauna locale e globale, dell’affetto che l’uomo riversa sul suo “pet”, qualunque esso sia.