“A Olera la notte è luminosa per la presenza divina, nell’arte e nella coscienza, di Cima da Conegliano, duro contro l’oro”: così Vittorio Sgarbi ha commentato qualche anno fa la sua visita al piccolo borgo di Olera, nel comune di Alzano Lombardo.
Sono trascorsi più di cinque secoli da quando un anonimo manipolo olerese di tagliatori di pietre trasferitisi a Venezia per lavoro, commissionò a un giovane Cima, già sulla via per diventare un protagonista assoluto della pittura a Venezia, una scintillante macchina d’altare da per fare un dono di bellezza alla chiesina parrocchiale del paese di origine, appena costruita e dedicata a San Bartolomeo. Il polittico di Olera è uno di quei capolavori che tutti citano, ma in quanti lo hanno visto con i loro occhi? Eppure è una di quella opere che non puoi non vedere in diretta, al pari di un museo come l’Accademia Carrara o degli affreschi di Lorenzo Lotto per l’Oratorio Suardi di Trescore.
Proviamo allora a concederci qualche ora per raggiungere il piccolo borgo abbarbicato sulle falde del Canto alto, nel comune di Alzano Lombardo. Una manciata di case strette attorno alla parrocchiale, che pure può vantarsi, oltre che della presenza di Cima da Conegliano, anche di aver dato i natali al Beato Tommaso Acerbis, uno dei mistici più interessanti del Seicento.
Un sorprendente paradosso che a ben pensarci ha un’unica origine: tutto grazie alla pietra.
Olera germoglia dalla montagna, lo dichiara già il suo nome. È il luogo delle “öle”, le pignatte di pietra ollare con i quali un tempo si cucinava. La pietra ollare, tecnicamente detta Serpentina, era estratta proprio dalla montagna su cui è posto l’abitato. Dalle cave di pietra sono nate anche le case addossate l’una all’altra, le chiesine, le gradinate, le scalette, gli anditi, a comporre un reticolo tipicamente medievale di viuzze che è rimasto inalterato nel tempo e che, ovviamente, ancora oggi si può percorrere soltanto a piedi.
Alla pietra, infine, è legata a doppio filo la storia del borgo e dei suoi abitanti. La maestria con cui gli oleresi sapevano tagliare la pietra, utilizzata poi con una peculiare tecnica costruttiva incrociata e “legata” con sabbione locale, li rese noti in tutto il territorio di quello che era il dominio veneto. Tanti furono i tagliapietre originari di Olera che emigrarono a Venezia, richiestissimi per la costruzione dei palazzi signorili e nei più importanti cantieri della laguna. Ma chi emigrava non dimenticava il borgo di origine e a questo forte legame di affetto e gratitudine dobbiamo l’approdo nella chiesina di San Bartolomeo del quattrocentesco polittico di Cima da Conegliano, scintillante di ori e di Santi.
Immancabile l’effetto sorpresa: entrando nella piccola chiesa, che mantiene grosso modo le proporzioni e le misure di quella antica, si ha un impatto ipnotico con quest’opera che appare immediatamente “spropositata” al contesto, un vero capolavoro nato per suscitare stupore e meraviglia. Anche se possiamo immaginare che un tempo, alla luce mobile delle candele, doveva davvero apparire come una presenza viva. Forse fu proprio questo che i tagliapietra oleresi chiesero a Cima e che induce a riconsiderare da un altro punto di vista il giudizio perdurante che considera questo polittico su tre ordini con una scultura al centro come una struttura arcaica. Ciò che risulta arcaico, probabilmente, è proprio ciò che nella Olera del Cinquecento (e ancora oggi) ha reso quest’opera sbalorditiva: quella profusione d’oro e quella finezza di pittura che lo rende uno strabiliante oggetto di devozione.
In questa “casa” preziosa si collocano la Madonna col Bambino - triste e dolce insieme, come è tipico del Cima – e, sotto di lei, Santa Caterina, bellissima, San Girolamo, Santa Lucia e San Francesco. Nell’ordine inferiore, a figura intera, in piedi ciascuno nel suo riquadro, San Sebastiano, San Pietro, San Giovanni Battista e San Rocco. Al centro, la nicchia che custodisce la statua lignea raffigurante San Bartolomeo. Il tutto ancora incastonato nella cornice originale, intagliata e dorata, certamente di manifattura veneziana.
Certo anche oggi permane quel senso di “incongruità”che suscita il ritrovare un’opera così straordinaria e preziosa in un borgo che conta si e no 350 anime. Ma questa, ricordiamolo, è un po’ la cifra di un territorio come quello bergamasco, dove hai la sorpresa di incontrare tesori incredibili anche nei luoghi che meno ti aspetti. Sta anche qui la storia e il mistero di cui è avvolto il Polittico del Cima, complici la posizione periferica e isolata della chiesa che lo ospita e il silenzio delle fonti, aggravato nel 1630 dall’incendio dell’archivio parrocchiale: “la storia non rara – scrive Emanuela Daffra – di un capolavoro venuto “da fuori” per una modesta chiesa di valle, ma un capolavoro rimasto a lungo ignorato perché lontano dalle strade più battute e perché anonimo, senza segni che ne indichino la paternità e i donatori, cosicchè ha finito per identificarsi essenzialmente con il luogo di destinazione che l’ha gelosamente preservato e custodito, contribuendo in modo sostanziale alle ragioni della sua importanza odierna”. È anche per questo che oggi il polittico è uno degli insiemi più conservati che ci siano giunti, documento pressochè intatto dell’abilità del giovane Cima. Ed è per questo che l’opera continua ad essere chiamata non “il polittico del Cima” o “il polittico di San Bartolomeo” ma, più semplicemente, “il polittico di Olera”.
Un’opportunità per conoscere il polittico da vicino sono le visite guidate gratuite al borgo di Olera organizzate ogni prima domenica del mese dal Comune di Alzano (ritrovo in Piazza Fra Tommaso, ore 16). Chi volesse navigare anche virtualmente all’interno dei dettagli del polittico, restituiti in altissima definizione, lo può fare sul sito www.olera.it