Il crocifisso è diventato un simbolo controverso. Ogni due per tre assistiamo ad animate discussioni sull’opportunità di esibirlo in politica, in tv, nei luoghi pubblici. Dal bacio di Salvini al rosario, sino ai crocefissi affissi nelle aule giudiziarie e nelle scuole, il crocifisso è segno di “scandalo”. Non lo scandalo cristiano della croce, che là dove irradia il dolore, la sconfitta e la morte al contempo esprime “tutta la potenza dell’Amore sconfinato di Dio” come disse Benedetto XVI in un’udienza del 2008. Ma lo scandalo di una conduttrice tv che porta il crocifisso al collo (Simona Ventura lo “sdoganò” alcuni anni fa) oppure di quello banalizzante e osceno di qualche pop star a corto di idee come Madonna, che nel suo Confession Tour cantò “appesa” alla croce con tanto di finta corona di spine.
Sullo sfondo del dibattito intorno a un simbolo che va oltre la fede e per molti indica un significato universale di umanità, riecheggiano le parole della scrittrice ebrea Natalia Ginzburg: “Non togliete quel crocifisso! C’è sempre stato. È il segno del dolore umano, della solitudine della morte, dell’ingiustizia. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo”.
Che lo si voglia guardare come il Cristo che è morto per salvare il mondo o come l’Uomo sulla croce, è un fatto che il mistero della crocefissione ha affascinato pittori e scultori di ogni tempo, a prescindere dalla loro visione di fede.
Ne sono nati capolavori straordinari, anche sul territorio bergamasco, dove un percorso tra i crocifissi più belli e venerati può riservare emozioni inaspettate. Ne abbiamo scelti alcuni per voi, significativi per la bellezza esecutiva, per la loro storia, per la venerazione che li circonda. Ma tanti, tanti altri li potrete scovare in prima persona, in ogni dove.
Una storia al femminile
Con la sua aura arcaica, sofferente, potente, il Crocifisso appeso sopra l’altare maggiore della Basilica di Santa Maria Maggiore è di certo una delle opere più commoventi e ammirate della città. Grazie alle ricerche della storica Maria Teresa Brolis, oggi sappiamo anche che questa scultura nasconde una storia di inaspettata intraprendenza femminile in quelli che, forse non del tutto a ragione, siamo abituati a chiamare i “secoli bui” del Medioevo.
È infatti nella primavera del 1350, nel pieno furoreggiare della peste, che la bergamasca Belfiore, sola e pure un poco avanti negli anni, decide di affrontare il pellegrinaggio verso la Città Eterna. Prima di partire, com’era consuetudine, predispone il suo testamento, destinando una bella somma perché venisse scolpito e dipinto un Crocifisso per l’altare della Basilica. Uno spaccato che apre una finestra sulle figure delle donne committenti d’arte, non solo regine e principesse ma, come dimostra la vicenda di Belfiore, anche donne benestanti appartenenti al ceto medio-alto.
Crocifisso senza il chiodo
Basta entrare nella Cattedrale in Città Alta, nella Cappella del Crocifisso, per individuare al primo colpo d’occhio ciò che tanto intriga del misterioso “Crocifisso di Rosate”: il Cristo, è evidente, porta capelli veri e ha una mano priva del chiodo che lo dovrebbe aggrappare alla croce.
Intorno a questo crocifisso – approdato in Duomo nel 1810, a seguito della chiusura del monastero di Rosate all’epoca delle soppressioni napoleoniche – da sempre secondo la tradizione sono fioriti miracoli, tant’è che la venerazione è ancor oggi viva più che mai.
Ma se la presenza dei capelli veri è facile da ricondurre alle cure delle suore del monastero, come spiegare la mancanza del chiodo? Si narra che una suora, accusata ingiustamente dalla superiora, si sfogò inconsolabilmente parlando a tu per tu con il crocifisso e chiedendo che cosa mai avesse fatto per meritarsi tali accuse. Fu allora che la mano sinistra si staccò dalla croce per abbracciarla. Da quel momento fu stabilito che la mano del Cristo non venisse più inchiodata e così ancora oggi è un nastro che la tiene fissata al legno della croce.
A grandezza naturale
È stato ricollocato qualche mese fa nella Basilica di S. Alessandro in Colonna, dopo un complesso intervento di restauro, un grande Crocifisso ligneo a grandezza naturale, che sino ad oggi era stato custodito nella Domus attigua alla chiesa. Ora è stato sospeso in alto, a dominare non a caso quella Cappella del Crocifisso che in passato, grazie alla devozione dell’omonima confraternita, doveva essere affollata di dipinti, sculture, fregi, dalla “Pietà” di Lorenzo Lotto al presepe e ai bassorilievi in terracotta di Jacopino Scipioni. Se la mano dello scultore del Crocifisso non è ancora stata identificata, ammirarlo da sotto in su svela la sua bellezza carica di “pathos” e raffinatezza esecutiva: un volto allungato e scavato, il corpo affilato, il legno combusto a segnare le piaghe della Passione. E il prezioso perizoma originale, riaffiorato soltanto a seguito del restauro, eseguito da Antonio Zaccaria, sotto una spessa coltre di rigessature e ridipinture che per secoli ci avevano mostrato un Crocifisso dalle fattezze completamente diverse.
Il rito del Deposto
Dal 1725, cioè da quando i fabbriceri della chiesa commissionarono ad Andrea e Gian Bettino Fantoni la statua in legno del Cristo Crocifisso, ogni anno una vera e propria folla il Venerdì Santo raggiunge Vertova per assistere al rito della Deposizione del Cristo dalla Croce e della processione per le vie del paese, con gli attori in costume che mettono in scena il racconto evangelico.
La singolarità di questa scultura processionale, uscita dalla bottega dei Fantoni di Rovetta, una delle più straordinarie “officine” di intaglio ligneo nella storia dell’arte lombarda, sta nell’essere dotata di braccia snodabili proprio in funzione della sacra rappresentazione, in modo che la si potesse deporre dalla croce e adagiarla sul baldacchino da portare in processione.
Nella cerimonia della Deposizione, rimasta sostanzialmente invariata da allora, figuranti in costume rappresentanti i Giudei raggiungono in alto il Crocifisso, fanno passare un lenzuolo bianco dietro il capo di Gesù, ne fasciano il braccio destro e asciugano con delicatezza le ferite alla mano e al costato. Ai colpi di martello che riecheggiano in chiesa, le braccia snodabili sono liberate dai chiodi e, con un realismo impressionante, ricadono abbandonate lungo il corpo del Cristo che a questo punto viene calato e deposto sulla lettiga.