“Di frontiera” è anche l’organigramma del progetto, che è curato da Marco Albertario, Silvia Capponi ed Elena Lissoni, ma si avvale anche della collaborazione di studiosi e istituzioni sia bergamasche che bresciane, Accademia Carrara e Fondazione Brescia Musei in primis.
È interessante come l’esposizione, che nasce da una lunga attività di ricerca, si proponga di portare in luce le ampie connessioni della ritrattistica di Tallone con le dinamiche storiche, culturali e politiche che hanno animato Bergamo e Lovere tra il secondo Ottocento e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. La sua galleria di ritratti “dal vero” deve in sostanza essere sì goduta nella sua disinvoltura pittorica, ma anche letta come un percorso di affermazione del potere e come strumento di identità sociale.
Per la high society di Bergamo e Lovere, il ritratto è stato un mezzo e un punto di arrivo. Afferma Marco Albertario, direttore della Tadini: «Al centro di questa mostra c’è una società dinamica e attiva, che trova nell’architettura e nella pittura di Cesare Tallone una risposta alle proprie esigenze celebrative. Il tema centrale è quindi quello dell’essere e dell’apparire, ma la qualità della pittura di Tallone, considerato uno dei più grandi ritrattisti dell’Ottocento, proietta i visitatori in un racconto fatto di materia e di colore. Sullo sfondo c’è Lovere che, in quegli anni, si apre alla modernità».
Un pittore di fama per una nuova élite
La mostra sul lago raccoglie un importante nucleo di opere provenienti da collezioni pubbliche e private, compresi quei patrimoni famigliari che normalmente non sono accessibili al pubblico. Attraverso una quarantina di dipinti di Tallone, accostati a fotografie, sculture, progetti architettonici, il percorso segue la parabola talloniana dal “preludio” romano all’arrivo a Bergamo, nel 1885: «Tallone è stata una delle figure più innovative nel panorama artistico bergamasco – sottolinea Elena Lissoni – non solo per la modernità del suo linguaggio, ma anche per il ruolo di professore di Pittura all’Accademia Carrara, testimoniato dal suo allievo più celebre, Pellizza da Volpedo, e dall’episodio straordinario della fondazione di una scuola di pittura femminile».
Poi Tallone si addentra nella trama dell’interessante “caso Lovere”, cittadina vivace e in fermento economico, politico e culturale grazie ad alcune famiglie della borghesia imprenditoriale, che eleggono l’artista a “curatore” della propria immagine: «Famiglie come gli Zitti, i Gregorini, i Camplani, i Volpi sono i protagonisti di un contesto che ha necessità di autorappresentarsi, di costruire e comunicare la propria identità» spiega Albertario. Lo faranno attraverso tanti strumenti: le alleanze matrimoniali, le relazioni economiche e politiche, la moda e anche provando a modellare il paesaggio loverese “a propria immagine e somiglianza”: «I disegni architettonici dell’epoca ci mostrano i progetti di Ville come quelle di Zitti e Gregorini, pensate come luoghi in cui la famiglia si propone alla società, ma anche i progetti di stabilimenti, come quello della Ferriera Gregorini firmato da Tagliaferri».
Strumento principe di questa autorappresentazione diventa la pittura, in particolare quella di un artista di fama nazionale ma fuori dagli schemi come Tallone: quest’ultimo diviene infatti il pittore più ricercato non solo per il ruolo di esecutore dei ritratti di quella società, ma anche come artista da collezionare in tutti i generi da lui frequentati, tra il cui il paesaggio e il ritratto-genere. «Dotato di una sorprendente capacità di indagine psicologica e di una vigorosa pennellata – evidenzia Silvia Capponi – Tallone ci consegna attraverso i ritratti esposti in mostra un avvincente caleidoscopio sociale, fatto di racconti personali che si rispecchiano nella storia politica e culturale che ha animato Bergamo e Lovere nell’ultimo quarto dell’Ottocento».
L’artista non esita a calarsi in questo milieu di relazioni che ruotava in particolare attorno alla figura di Giovanni Battista Zitti, possidente ed ex garibaldino che, come ricorda Albertario, «fece della sua villa sui colli di Bossico, ribattezzata Caprera, una sorta di santuario garibaldino, con i busti di Mazzini e Garibaldi esibiti in facciata e, all’interno, quella raccolta di documenti e cimeli del Risorgimento che poi saranno ereditati dalla Tadini, facendo in sostanza del museo il fine ultimo di questa forma di rappresentazione della società, facendola diventare immagine collettiva».
La ricostruzione allusiva in mostra – attraverso cimeli, dipinti e oggetti d’arredo – dell’atmosfera di villa Caprera si sposa con la preziosa testimonianza degli album fotografici di famiglia. Ci sono tutti i protagonisti di queste vicende nelle opere di Tallone: gli uomini ma anche le donne, tutt’altro che attrici secondarie. E sullo sfondo è più che percepibile quella Lovere così come nel 1860 appariva al neoeletto governatore della Provincia di Bergamo, Stefano Centurione, quando «con scelta comitiva entrava in battello onde ad una certa distanza meglio osservare il bel panorama che Lovere presenta, e che al primo aspetto e’ ti pare una città».
In filigrana, la mostra è una narrazione avvincente delle strategie e dei meccanismi con cui un gruppo sociale emergente (e di fatto dirigente) punta sulla costruzione e diffusione di una propria identità visiva. Un processo che nell’era dei social è ormai alla portata di tutti ma che all’epoca degli Zitti e dei Gregorini poteva essere assolta da pittura e fotografia, architettura e collezionismo. Non solo: l’artista traspone sulla tela anche il potente linguaggio di autorappresentazione veicolato dalla moda, restituendo un’immagine fedele e preziosa dello stile e del gusto maggiormente in voga nell’alta società alla fine dell’Ottocento.
La mostra è accompagnata da un calendario di visite guidate speciali, incontri di approfondimento, laboratori per le scuole. Per info, basta visitare il sito.