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Dove osano le immagini. Una mostra in Cattedrale e un percorso alla scoperta dei «Giudizi bergamaschi»

Articolo. «Lo avete fatto a me». Cinque parole per formulare il concetto cardine di una riflessione sulle “cose ultime” che attraversa tutta la storia della Chiesa fino a giungere alla contemporaneità

Lettura 5 min.
Antonio Cifrondi, Giudizio Universale, 1703, Clusone, Basilica di Santa Maria Assunta e S. Giovanni Battista

Al Giudizio, che insieme a morte, inferno e paradiso, è uno dei «Novissimi» – che non significa «recenti» ma «ultimi» – è dedicata la mostra «L’avete fatto a me. Immagini del Giudizio», visitabile con ingresso gratuito fino al 27 novembre (tutti i giorni, dalle 15.00 alle 17.30), nella Cattedrale di Sant’Alessandro in Città Alta. Il progetto nasce nella ricorrenza annuale delle feste dedicate a tutti i Santi e alla Commemorazione dei defunti, dalla collaborazione tra Fondazione Adriano Bernareggi, Archivio Storico Diocesano e Biblioteca Diocesana, con il patrocinio dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Bergamo e della Parrocchia di Sant’Alessandro in Cattedrale.

La mostra si articola in due sezioni. La prima, a carattere storico, ospita nella Sacrestia dei Canonici documenti preziosi, come le cinquecentine con incisioni provenienti dalla Biblioteca Diocesana, le miniature del quattrocentesco Corale del Capitolo della Cattedrale manoscritto su pergamena, i manuali di devozione provenienti dall’Archivio Diocesano che illustrano gli «esercizi della Buona Morte». Ma poiché la riflessione escatologica non appartiene solo ai secoli passati, ma è centrale anche nella contemporaneità, la seconda sezione, presenta, nel coro barocco della Cattedrale, una grande installazione tessile delle sette opere di Misericordia disegnate da Andrea Mastrovito.

La mostra si spinge là dove osano le immagini, che si addentrano con il potere dell’immaginazione in quelle “cose ultime” a cui non arrivano gli occhi e in cui si muovono con cautela anche le parole. In Sacrestia, un video ci accompagna in un percorso tra le «Immagini del Giudizio», visionarie testimonianze pittoriche dedicate al Giudizio Finale che campeggiano in diverse chiese del nostro territorio. È Silvio Tomasini della Fondazione Bernareggi ad accompagnarci tra le tappe di un itinerario, sempre percorribile anche in autonomia, tra i «Giudizi bergamaschi».

L’Aula Picta della Curia in Città Alta

«Il “Giudizio Finale” è posto a conclusione del ciclo di immagini duecentesche che racconta la vita di Cristo. Tre sono le immagini che catturano la nostra attenzione. Nella prima, Cristo è rappresentato in una mandorla (segno della sua appartenenza sia alla sfera divina che a quella umana) che inscrive un cielo stellato, sorride e benedice».

«A questa visione di eternità paradisiaca segue quella di Cristo giudice, ora seduto su di un essenziale arcobaleno, segno di Alleanza. In bocca tiene la spada a doppio taglio, di cui parla la visione dell’Apocalisse di San Giovanni, immagine della potenza e profondità della parola di Dio, e mostra le piaghe, memoria della sua vittoria sulla morte, mentre gli angeli richiamano a vita i morti suonando la tuba. Le anime appaiono in due sepolcri scoperchiati: dal primo escono i beati pronti a prendere posto in Paradiso, nel secondo si assiepano invece i dannati destinati alla reclusione negli Inferi. Nella vicina campitura murale dell’arco, infine, l’arcangelo Michele pesa le anime secondo il suo diritto di psicostasia, mentre con una lancia trafigge definitivamente il demonio».

San Giorgio in Lemine ad Almenno San Salvatore

«Negli straordinari affreschi romanici, ad intercedere per le anime beate ecco giungere Maria che, con le braccia incrociate sul petto, ne chiede l’accoglienza in paradiso. Da Cristo, ieratico e quasi trasfigurato, si dipartono gli angeli tubicini che ancora una volta risvegliano i defunti dal riposo nei numerosi sarcofagi. San Giovanni Battista completa la composizione della “Deesis”, ovvero l’immagine bizantina di supplica per intercessione» .

«Sulla destra della composizione, che conclude il percorso narrativo del registro inferiore lungo la parete destra della navata, ecco un nuovo gruppo di anime che spiccano per le espressioni caricaturalmente corrucciate. Sono solertemente spinti da San Michele verso la mostruosa bocca di Leviatano, che si fa immagine della condanna eterna per le colpe derivanti dal peccato mortale».

Il Santuario di San Patrizio a Colzate

«Nel cuore del complesso monumentale, realizzato in posizione dominante sul fiume Serio, sopra uno spettacolare sperone roccioso, si trova un antico sacello. Qui, Jacopino de’ Scipioni nel 1514 realizzò una serie di affreschi dedicati all’evangelizzatore d’Irlanda collocando, sopra il piccolo abside, una potente immagine del Giudizio Finale. Vi si vede Cristo, ancora una volta inserito in una mandorla e seduto sull’arcobaleno, che divide i morti che risorgono».

«A destra di Cristo si raccolgono i beati che San Pietro si prepara ad introdurre nel paradiso, mentre in posizione opposta dei diavoli trascinano i condannati verso il fiammeggiante inferno. Originalissima è la presenza del giglio e della spada posti in relazione con il capo del Salvatore. Echeggiano le parole del profeta Isaia che ricorda l’avvento del Salvatore come fiore germogliato dalla radice di Jesse e il giudizio finale di Dio che non giudicherà secondo quello “che gli appare agli occhi, ma condannerà secondo quello che sente con gli orecchi”».

Santuario della Santissima Trinità a Casnigo

«La grande aula aggiunta nel Cinquecento alla chiesa, più antica, è dominata dal grandioso affresco che si sviluppa sul fronte dell’arco trionfale a coronare il presbiterio. L’analogia persistente con il dipinto di medesimo soggetto nella chiesa della SS. Trinità di Urgnano, ad opera di Cristoforo Baschenis il Vecchio, ha portato ad assegnarlo al pittore di Averara. L’impressionante teoria di personaggi satura letteralmente lo spazio, suggestionando circa la moltitudine universale di coloro che saranno giudicati alla fine dei tempi. In questo campionario di umanità, santi e beati si dispongono con i loro attributi lungo l’asse superiore volgendosi al tribunale celeste incoronato da angeli e cherubini che recano i simboli della passione».

«Più in basso, le iscrizioni dei cartigli suggeriscono il destino di coloro che si radunano attorno a San Michele intento nel consueto esercizio di valutazione delle anime, visibilmente disturbato da un demone. Il contesto ambientale è quello della valle di Giosafat ai piedi del monte di Gerusalemme, secondo la profezia di Gioele. Ma è sulla destra della composizione che l’artista dà prova di sapienza compositiva radunando, al di sotto, le anime dannate ormai giunte nei gironi infernali e al di sopra il disperato corteo di coloro che, incalzati dai diavoli, si gettano tra le fauci della mostruosa bocca dell’Inferno. Tra di essi, è facile scorgere membri del clero e tonsurati, in esplicita polemica con il parroco, il vescovo e persino un pontefice del tempo. Questa situazione riflette anche la lunga stagione della polemica protestante che investe il XVI secolo e che sfocerà nella conseguente Riforma Cattolica».

Giovan Battista Moroni nella parrocchiale di Gorlago

«È proprio nel clima dell’applicazione dei dettami del Concilio di Trento che matura, nel 1577, la commissione a Giovan Battista Moroni del grande “Giudizio Universale” per la parrocchiale di Gorlago, opera destinata a rimanere incompiuta per la morte del pittore e terminata poi da Francesco Terzi. Il dipinto “che rende a chi bene lo rimira alto spavento e meraviglia insieme” cita direttamente, almeno nelle campiture inferiori dipinte da Moroni, il celebre modello michelangiolesco della Sistina, da cui si discosta per esempio per la vasta narrazione infernale che fiammeggia tra i crateri che conducono alla città di Dite».

«Stupefacenti sono le battaglie ingaggiate tra angeli e demoni per il possesso delle anime, in un turbinio ove i corpi dei defunti, rivestiti di carne, ora levitano beati verso il cielo popolato di santi e ora si inabissano calcati dal peso dei peccati e dalla violenza dei demoni».

Antonio Cifrondi nella parrocchiale di Clusone

«In prossimità del celebre “Trionfo della Morte” nella “Danza Macabra”, la monumentale Basilica barocca accoglie nel 1703 la vasta composizione di Antonio Cifrondi destinata alla volta come due gruppi angelici impegnati nel fragoroso richiamo delle tube. L’ardito groviglio prospettico di figure mantiene l’antica suddivisione tra il piano celeste e quello terreno, che vede il risveglio dei defunti, doverosamente qui rappresentati anche come scheletri. Se la dannazione infernale è accennata dal gesto severo di San Michele sulla destra, a sinistra sembra aprirsi la visione di un luogo di attesa e purificazione: il Purgatorio. L’accorata mediazione di Maria riporta alla mente le parole di San Giovanni della Croce “Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore”».

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