“Ma insomma, cosa posso farci se la faccia di Sua Maestà assomiglia a una pera?!?”: nel 1831, nel tribunale di Parigi, esplodono impudenti le parole del vignettista francese Charles Philipon, alla sbarra per una “scandalosa” caricatura di Luigi Filippo d’Orléans. Finì in prigione, Philipon, ma ormai il tema del “re-pera” era diventato un tormentone.
La satira francese, piaccia o non piaccia, è sempre stata caustica, politicamente scorretta, dissacratoria, virulenta, cinica, scurrile anche, persino blasfema. Un’esprit che non si ritrova nelle tradizioni satiriche di altri Paesi, certamente più pacate, come quella anglosassone, o anche quella italiana dalla quale pure ha avuto origine il termine “caricatura” (dal latino caricare). Non è un caso che la Francia sia stata anche la patria dei “pamphlet”, scritti dove la polemica sconfinava nel sarcasmo più aggressivo e calunnioso.
Fino al 19 dicembre, alla Biblioteca Civica Angelo Mai una mostra ci accompagna alla scoperta di una delle più pirotecniche alleanze della storia tra penna e pennello, certamente la più innovativa graficamente, in quell’età dell’oro della caricatura che è stata la Belle Époque. In mostra, ben 119 illustrazioni tratte da “L’Assiette au Beurre” (espressione utilizzata alla fine dell’Ottocento per indicare un lucroso guadagno di origine più o meno lecita, ma forse risalente al Medio Evo, quando il burro era riservato all’élite), celebre settimanale di satira politica pubblicato dal 1901 al 1912 a Parigi, allora vivace, moderna e incontrastata capitale della cultura. Carta bianca sulla rivista ai più grandi disegnatori di tutta Europa, liberi di scagliarsi senza pietà contro ogni forma di autorità e potere, politico, ecclesiastico, militare, economico o sociale.
La mostra è curata da Paolo Moretti – collezionista bergamasco con “l’insana passione” per la satira, che ha condotto alla nascita del “Fondo Paolo Moretti per la satira politica”, considerato la raccolta specialistica più ricca e importante in ambito nazionale, nonché una delle più prestigiose collezioni private a livello mondiale riguardanti la satira politica e la caricatura: “La rivista L’Assiette au beurre, nata a Parigi nel 1901, è stata giudicata la più bella e significativa pubblicazione della Belle époque – spiega Moretti – In essa è possibile cogliere miserie e splendori di un periodo storico e culturale particolarmente interessante. Parigi all’inizio del secolo è la vera capitale artistica dell’Europa. Non stupisce che all’Assiette collaborino i disegnatori più famosi, da Steinlen a Vallotton, da Jossot a Grandjouan, da Kupka a Juan Gris”.
Nella mostra una sezione è dedicata ai disegnatori italiani, “molti dei quali (Soffici, Musacchio, Giri, Brunelleschi) vivono nella capitale francese, mentre altri, in particolare Galantara, collaborano dall’Italia. Una menzione merita Lionetto Cappiello, raffinato autore di affiches e disegnatore garbato quanto efficace. La sua presenza conferma la sensazione che nella rivista la satira politica, aggressiva, graffiante e corrosiva si coniughi felicemente con la satira di costume ironica, stuzzicante e non priva di intelligente cinismo”.
I temi sono molteplici: “anticlericalismo, antimilitarismo, anticolonialismo, giustizia di classe, questione sociale sono presentati in tavole di rara bellezza grafica e di grande potenza espressiva. Non manca l’attenzione alla politica interna, ma soprattutto a quella internazionale, a dimostrazione del cosmopolitismo che la caratterizza. Nota in Francia, L’Assiette au beurre non lo è altrettanto in Italia: la mostra va a colmare questa lacuna e dimostra in maniera inconfutabile come la satira politica e la caricatura possano rappresentare un intrigante connubio tra politica, cultura, sociologia e storia ad un elevatissimo livello artistico”.
Si può ridere di tutto?
L’ultimo caso lo scorso gennaio: strepiti sui social, l’accusa di “transfobia”, le scuse di Le Monde per aver pubblicato una vignetta sull’incesto, e il vignettista Xavier Gorce, celebre per i suoi pinguini, che si dimette sbattendo la porta perché “la libertà non si negozia”. Ma l’affaire Gorce ha dei precedenti, che tutti ricordiamo bene, nella satira di Charlie Hebdo, che nell’agosto 2016 non aveva risparmiato le vittime del terremoto del Centro Italia, con una vignetta, “Sisma all’italiana”, che le seppelliva sotto le macerie come fossero “penne al pomodoro”, “penne gratinate” e “lasagne”. Alla scossa di indignazione che aveva attraversato la Rete e il mondo politico, Charlie aveva risposto con una seconda vignetta: una vittima che agonizzava sotto le macerie dicendo “Italiani, non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, è la mafia!”.
Da parte sua, il giornale duramente colpito dall’attentato jihadista del 2015, si è sempre difeso invocando la libertà di espressione e di satira, tanto che un anno fa, alla vigilia dell’apertura del processo per l’attentato, ha ripubblicato le caricature di Maometto che lo avevano trasformato nel bersaglio dei terroristi islamici.
Certo è che a sei anni da #JeSuisCharlie, il grido di solidarietà e in difesa della libertà di espressione che si era alzato in tutto il mondo dopo la strage, la domanda resta sempre la stessa: si può ridere di tutto e di tutti? La domanda è destinata probabilmente a rimanere aperta in eterno, perché mette in gioco la natura stessa della caricatura, una macchina per sua natura, appunto, dissacrante, trasgressiva, caustica, indifferente al consenso, alle comfort zone, e anche al buon gusto. E dunque divisiva.
“Un pugno in faccia” l’ha definita François Cavanna, il fondatore di Charlie Hebdo. Efficace solo se produce shock. E anche oggi che la censura alla satira non riguarda, come nei secoli passati, lo Stato e il potere, ma i social, torniamo ogni volta a interrogarci se la battaglia della satira coincida davvero con quella per la libertà. O se abbiamo semplicemente la caricatura che ci meritiamo.
L’originale catalogo della mostra, progettato da Dario Carta, è disponibile in offerta libera alla Biblioteca Angelo Mai.