Che periodo straordinario per la GAMeC! Proprio nell’anno in cui la pandemia ce la sta mettendo tutta per mettere in ginocchio i luoghi della cultura, di fatto tutti “congelati” fino a data da destinarsi. E proprio quando si teorizza un impatto che non potrà non avere risvolti negativi a lungo termine, ecco che in questo momento invece il nostro museo di arte contemporanea diventa un modello, la dimostrazione che nelle pieghe di una crisi globale si nascondono anche possibilità e prospettive di crescita e di cambiamento. Se le si sa cogliere.
Questo ha fatto la GAMeC, non a caso dapprima citata nel report Unesco delle iniziative più meritorie dei musei del mondo in tempo di Covid e ora incoronata da Il Giornale dell’Arte come “Miglior museo del 2020”, soprattutto per le sue attività online, che ne hanno fatto il “simbolo dei musei nell’epoca del virus”.
Si perché, a porte forzatamente chiuse, la GAMeC da subito, sin dall’inizio del primo lockdown, ha saputo reinventarsi e costruire un palinsesto di attività innovative, trovando nuovi punti di contatto con il pubblico e sintonizzandosi con i temi e le esigenze, pratiche e di riflessione, del momento.
In primo luogo Radio GAMeC: 66 puntate in diretta sul profilo Instagram del museo che hanno scandito la vita della città durante il periodo più difficile della prima ondata, in una Bergamo simbolo mondiale della pandemia. Radio GAMeC è divenuto poi un progetto live, con performance e incontri dal vivo nel cortile del museo, e successivamente itinerante, con uno studio mobile a bordo di un camper attraverso i luoghi simbolo di Bergamo e della sua provincia.
E poi due importanti esposizioni: la mostra di Daniel Buren al Palazzo della Ragione che, con i suoi tessuti luminosi presentati per la prima volta in un museo italiano, ha riscosso un grande successo di pubblico (oltre 50mila visitatori) e di critica; e il progetto “Ti Bergamo - Una comunità”, non una mostra tradizionale, ma una riflessione sul rafforzarsi del senso di comunità nell’anno più difficile della storia recente della città di Bergamo (e non solo, ovviamente). Non ultimo, il progetto in corso di Aula Magna, incontri online su Arte, Cittadinanza e Costituzione rivolti a studenti e adulti.
Abbiamo cercato di mettere a fuoco con il direttore GAMeC Lorenzo Giusti ragioni e prospettive future di questa bella rivoluzione germogliata e cresciuta al tempo del Covid.
La svolta del digitale, finalmente
Sull’incredibile accelerazione dell’approdo al digitale, innescata sin dal primo lockdown, non si discute. In pochi giorni si sono bruciate le tappe di un’evoluzione che ancora languiva e avrebbe richiesto anni. Secondo una ricerca della Bocconi, l’81% delle istituzioni culturali nel 2020 ha proposto contenuti on line durante la pandemia, il 46% visite web e il 43% tour virtuali. Ma è anche vero che la maggior parte dei musei era ancora impreparata al salto nel web, limitandosi così a traslocare rapidamente in rete contenuti e attività.
Non così la GAMeC: “Noi siamo arrivati preparati a questo momento perché avevamo già alle spalle una ricerca teorica. Nel 2017 insieme a Nicola Ricciardi ho curato alle Officine Grandi Riparazioni di Torino un convegno internazionale sui musei alla svolta ‘post-digital’, accumulando un bagaglio conoscenze che ci è stato utilissimo quando ci siamo trovati di fronte alla necessità di operare in questa direzione. Sapevamo già che il web ha i suoi codici e il suo linguaggio e che non si può pensare di prelevare una cosa dallo spazio fisico e trasferirla semplicemente nel web”.
Così è nata Radio GAMeC: “L’idea di dotare il museo di una web radio era già in elaborazione ma quando ci siamo resi conto di trovarci ad operare in un passaggio storico, abbiamo fatto lo sforzo di interpretarlo e di relazionarci con le nuove condizioni e il nuovo contesto, a cominciare dalla città. Così abbiamo subito pensato Radio GAMeC come una piattaforma, un organismo capace di assecondare i cambiamenti e di mettere le arti visive a contatto con altri mondi con cui normalmente non interagisce, perché c’era l’esigenza di raggiungere un pubblico più ampio possibile, per promuovere la solidarietà e tenere saldi i rapporti comunitari”.
Più spazio alle emozioni
Se poi da un vissuto così difficile è nata una mostra come “Ti Bergamo”, costruita e dedicata al senso di comunità del nostro territorio, l’impressione è che si sia verificato un imprevisto avvicinamento con il pubblico, un imprevisto balzo in avanti nel tanto anelato dialogo con l’arte contemporanea che sembrava fino a un anno fa incontrare ancora molte, forse troppe difficoltà, in termini di linguaggio e di contenuti.
“Tutti gli schemi con cui solitamente operava un’istituzione culturale del contemporaneo sono saltati. L’arte contemporanea, che ha sempre fatto un po’ mondo a sé, negli ultimi anni ha coltivato molto l’intelligenza, l’analisi, la riflessione, trascurando un po’ il sentimento e l’emozione, che invece sono grandissimi motori, per la creatività in primis e per la condivisione in seconda battuta. È indubbio che la situazione che Bergamo ha vissuto e condiviso ci ha fatto percepire nuovamente l’importanza di questi elementi. Come museo civico non potevamo trascurare il forte commitment della città”.
L’“utilità” dell’arte contemporanea
In una dimensione di totale incertezza, l’elaborazione creativa di una realtà che ha sovvertito tutte le categorie consolidate sembra aver reso il pubblico più consapevole dell’“utilità” dell’arte nel suo ruolo sociale, formativo, emotivo e perché no, anche terapeutico e di evasione.
Forse così si può spiegare il successo della mostra di Daniel Buren, proposta da GAMeC al Palazzo della Ragione nonostante le tante incognite del momento: “Si trattava della prima apertura di una mostra importante in Italia dopo il lockdown, ma l’affetto che la gente ha riversato su questo progetto è stato unico e inaspettato. Stiamo parlando di teli luminosi geometrici, di lavori che non sono rappresentativi di altro, meno che meno di una elaborazione del lutto o del dolore. Eppure hanno rappresentato tantissimo per la comunità. Cinquantamila visitatori proprio non ce li aspettavamo e il regalo più bello è stato constatare che l’hanno visitata tutti i bergamaschi. La mostra precedente dedicata nell’estate 2019 a Jenny Holzer era stata vista da 52.000 persone, ma più della metà erano turisti stranieri”.
Utenti, non solo visitatori
Di che cosa il museo farà tesoro quando tutto sarà finito? “Dobbiamo continuare ad alimentare il legame che si è creato con la comunità. Perciò immagino per il futuro progetti che sempre più coinvolgono il visitatore come elemento attivo, che partecipa alla vita museo anche in termini di contributo creativo, fornendo stimoli e spunti. Per decenni si è parlato del museo come di una cattedrale laica. Io non lo condivido. Non lo si frequenta come una chiesa ma come una piazza, aperta e fluida”.
E adesso? “Ora la sfida è capire come riabituare il pubblico a frequentare i luoghi della cultura, in modo che siano funzionali uno per l’altro. E naturalmente non potremo più abbandonare il digitale. Una cosa è certa: non possiamo più considerare solo i visitatori come pubblico dei musei. Ormai viviamo in una dimensione in cui spazio fisico e digitale fanno entrambi parte della nostra realtà e materialità quotidiana. Oggi ha più senso parlare di utenti perché ci sono i visitatori, che i musei lo frequentano, ma c’è anche tutta una community che con il museo interagisce e scambia attraverso altri canali, e che è nostro pubblico a tutti gli effetti”.