Bergamo e la sua provincia pullulano di chiese contemporanee. Che non dobbiamo guardare semplicemente come architetture. Progettare una chiesa significa infatti incrociare un complesso di fattori: identità, riconoscibilità, misticismo, accoglienza, comunità. E se le architetture ecclesiastiche storiche erano ormai familiari e rassicuranti, nel mondo che cambia rapidamente le sperimentazioni contemporanee sono sempre molto controverse.
Perché una chiesa non può rischiare di essere un non-luogo, deve sempre avere un significato preciso all’interno di un territorio e di una comunità.
In compagnia di don Giuliano Zanchi vi proponiamo un itinerario tra le “cattedrali” contemporanee di Bergamo e provincia che sembrano aver vinto la sfida. Quale? Quella, assai difficile, di reimmaginare il luogo sacro dentro le nuove coordinate del presente.
Zanchi è segretario generale della Fondazione Adriano Bernareggi e autore di diversi volumi sul tema del rapporto tra architettura, arte e liturgia.
Insomma, la guida ideale per questo nostro viaggio. Prima però cerchiamo di capirci di più.
Che cosa si intende per chiese contemporanee
“Lo spartiacque è il 1965, anno in cui si è concluso il Concilio Vaticano II dando il via a una nuova fase che è ancora oggi in corso. Le nuove chiese sono comprensibili all’interno di quel clima di trasformazioni epocali”. È da questo momento che la chiesa cerca di confrontarsi, per capire quale è il suo ruolo nel presente e le nuove forme che deve assumere. Anche la liturgia cambia e i nostri nonni lo scoprono perché alla messa domenicale le cose erano diverse.
“Dopo il Concilio ha subito preso il via un processo di adeguamento liturgico delle chiese storiche, condotto tuttavia in maniera arrembante, caso per caso, senza un modello condiviso e senza troppa alfabetizzazione sul tema. Dall’altra parte, questo avveniva in anni in cui le città si stavano trasformando in modo repentino e profondo”.
Insomma nascono le grandi periferie, l’urbanistica e le condizioni sociali chiedono la costruzione di tante chiese nuove. Sono le cosiddette chiese contemporanee, che avevano il compito di confrontarsi con una liturgia nuova “ma anche con un architettura nuova, nata fuori dai cortili religiosi, non più familiarizzata con i temi della chiesa, ormai abituata ad essere laica”.
Questa difficoltà continua a perdurare. “Per l’architettura l’applicazione al tema sacro è del tutto marginale. Le grandi opere architettoniche oggi si esercitano sui grandi musei e i grandi auditorium, ossia su quei grandi edifici civili che esprimono quelle attività che di fatto hanno ereditato nella società la qualità spirituale che un tempo era della religione”. Quando oggi l’architetto si trova a progettare una chiesa è consapevole il più delle volte di fare una cosa un po’ “esotica”. E la committenza stessa spesso non riesce ad essere chiara, esprimendo criteri diversi, non sempre convergenti.
L’edificio chiesa è e deve essere, anche visivamente, immagine di un modello di Chiesa in generale. E se le capitali storiche di questi decenni di sperimentazioni in Italia sono state Roma, Bologna, Milano e Torino, “anche Bergamo nel suo piccolo ha saputo produrre esperienze magari precoci, ma per lo più corrispondenti alla nascita di nuovi quartieri della città”.
Ecco dunque le 6 chiese contemporanee bergamasche da conoscere.
Chiesa ipogea del Seminario Vescovile di Bergamo
Vittorio Sonzogni, 1967
“Con il suo sapore contemporaneo ma un calore ecclesiale molto tangibile, è quella che più di tutte è riuscita a incarnare lo spirito del post Concilio, creando uno spazio assembleare che funziona: quando si è dentro, si percepisce il clima di un momento gioioso e pieno di slancio della Chiesa”.
E c’è davvero una grande sapienza dei materiali: “l’idea del cemento a vista, tipica di quegli anni, con la sua autosufficienza anche decorativa; l’aula costruita come un grande spazio unico in cui la scelta è di far ‘cantare’ il legno con il cemento; il grande altare che è un oggetto davvero solenne e persuasivo, non come gli altarini posticci che vediamo in tante chiese”. E poi il bellissimo Crocifisso di Erminio Maffioletti, “una più belle opere arte sacra contemporanea che abbiamo”.
Chiesa della Beata Vergine Immacolata, Longuelo
Pino Pizzigoni, 1965
“Ancor oggi controversa, è la chiesa che forse più di tutte subisce gli effetti del senso comune riguardo alla chiesa contemporanea”. Difatti le persone quando si danno appuntamento lì, dicono “ci troviamo davanti alla chiesa brutta di Longuelo”.
In realtà è ritenuta da tutti il vero gioiello architettonico di matrice ecclesiastica dei primi tempi dell’applicazione del Concilio. Pizzigoni, “in quel momento l’architetto più colto, rappresentativo e ricco di relazioni internazionali della città”, sperimenta con audacia e si inventa una specie di tenda di cemento poggiata per terra, che per le tecniche del tempo diventa anche una sfida ingegneristica.
Il tentativo è di dare all’edificio chiesa il compito di rappresentare “un modello di Chiesa contemporanea che cammina dentro la storia, attingendo al modello biblico dell’Esodo”. All’interno, Pizzigoni rinuncia a caratterizzare l’edificio con gli elementi tradizionali che identificano una chiesa, creando una sorta di caverna che è tutta una modulazione di curve “su cui gioca la luce, che è il vero elemento mistico e religioso”.
Chiesa San Pio X, Celadina
Sandro Angelini, 1959
Nata alla periferia della città , è un progetto architettonico non così ardito come quello di Longuelo. “Mantiene una conformazione più riconoscibile, ma tutta giocata sullo spigolo dentro il quale si apre l’ingresso e sul cemento che diventa anche elemento di decorazione scultorea”.
Per i bergamaschi questa chiesa era la piccola Sistina di Bergamo, perché racchiude lo stato dell’arte sacra in città negli anni Sessanta grazie alle opere di tre artisti protagonisti di quella stagione: “le vetrate di Normanni, la Via Crucis di Cornali e il Crocifisso di Maffioletti”.
Centro Pastorale Giovanni XXIII, Paderno di Seriate
Mario Botta, 2004
“Mario Botta rappresenta la transizione dell’architettura negli anni Ottanta: il tramonto dell’’impero’ del razionalismo e l’approdo all’architettura postmoderna, che rifiuta la severità geometrica e comincia a ripescare i modelli del passato”. Alla base l’idea che l’architettura non debba solo esaudire delle funzioni ma anche servire un’estetica.
Dal punto di vista dell’architettura ecclesiastica, Botta h introdotto novità che fin dal principio convincono. Si fa interprete del bisogno della Chiesa di riacquistare espressioni specifiche di identità, dopo tante chiese costruite per dissimularsi nel paesaggio urbano. “La chiesa di Seriate riesce a riqualificare e ridisegnare una zona urbana degradata, priva di riferimenti, e dal punto di vista architettonico è di grande qualità. L’interno è più timido, con un aspetto liturgico molto convenzionale in una pianta che avrebbe fatto sperare di più”.
I materiali, poi, sono una cifra di Botta: archiviato il cemento, tutto è rivestito di Rosso di Verona, legni con una pelle di oro zecchino, grandi lucernari. “È una memoria romanica e bizantina, spesso criticata perché costosa. Ma ci sono cose meno appariscenti che pure costano di più. È una chiesa di cui possiamo vantarci”.
Chiesa San Giovanni XXIII (Ospedale di Bergamo)
2014, Aymeric Zublena, Pippo e Ferdinando Traversi
“Una difficoltà che ancora oggi accompagna il rapporto tra architettura e liturgia è la sostanziale idiosincrasia dell’architetto nei confronti delle arti plastiche”. L’architetto concepisce la propria architettura come “un’opera d’arte gigante”.
Di solito una chiesa nuova è pensata prevalentemente nella sua natura di architettura e solo in un secondo momento si decide di inserire l’arte. In questo caso, invece, parliamo di una chiesa “con un forte significato civile, decisamente contemporanea, ma molto sobria, misurata, che non vuole svettare ma si abbassa come a incarnare una sorta di servizio spirituale custodito in modo non troppo visibile”. La cosa interessante è che è nata sin dall’inizio insieme agli interventi degli artisti, così che opere d’arte e aspetto strutturale quasi si confondono: le pareti sono opera di Stefano Arienti, le vetrate di Andrea Mastrovito sono parte della struttura absidale, e così anche per la via crucis di Ferdinando Ferrario.
Qui l’arte contemporanea “è riuscita a interpretare i bisogni della liturgia in modo non provocatorio ma persuasivo e adeguato, senza perdere il senso di una tradizione anche iconografica, illustrativa didattica, che nelle chiese c’è sempre stato”. Ed è una mancanza che di solito si rimprovera all’arte e all’architettura sacra contemporanea. “Si tratta di un progetto che resta per la città un valore che va al di là del fatto che si tratti di una nuova chiesa”.
Nuova chiesa e centro pastorale di Cavernago
Paolo Belloni, 2018
In uno scenario di cambiamenti urbanistici e di accorpamento delle parrocchie del territorio, la costruzione di questa chiesa in parte asseconda le trasformazioni umane del territorio. È un centro pastorale, una specie edificio polifunzionale e uno spazio di riferimento che fa da centro di un insediamento urbano in espansione. “C’è l’idea che un edificio ecclesiastico debba avere un suo carattere pur senza essere un’architettura pletorica e monumentale. Si ha da subito la sensazione di una differenza qualitativa che è indice del tema spirituale”.
All’interno, la luce proveniente da cannoni architettonici è l’amalgama principale di una bella assemblea. Come nel caso della chiesa dell’Ospedale, gli interventi artistici di Gianriccardo Piccoli sono stati pensati da subito con l’architettura stessa: “l’immagine mariana, le quattordici garze della Via crucis, non disposte nel solito itinerario lungo la navata ma concentrate in un unico punto in fondo alla chiesa pensato come spazio riservato alla devozione, il tabernacolo in vetro e l’affascinante, cielo stellato con l’invenzione della grande parete dove i genitori a graffito possono scrivere il nome del loro bimbo e la data del Battesimo”.
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